Comune di Crespino – (RO)

Informazioni

  • Codice Catastale: D161
  • Codice Istat: 29019
  • CAP: 0
  • Numero abitanti: 2030
  • Altitudine: 0
  • Superficie: 31.92
  • Prefisso telefonico: 0
  • Distanza capoluogo: 0.0

Storia dello stemma e del comune

La posizione del territorio di Crespino lungo la riva sinistra del fiume Po1 ha ispirato l’adozione, come emblema civico della figura di Fetonte2.

Una celebre versione del mito narra che Fetonte (Phaeton) figlio di Elio, e della ninfa Climene, un giorno per provare ad Epafo di essere veramente il figlio del dio del sole, chiede al padre di lasciargli guidare il carro dell’astro ma, a causa della sua inesperienza, perse il controllo del cocchio; i cavalli si imbizzarrirono e corsero senza controllo per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo (che, secondo questa versione, divenne la Via Lattea), quindi scesero troppo vicino alla terra, bruciando il territorio della Libia che divenne un deserto. Allora gli abitanti della terra chiesero aiuto a Giove (Zeus) che, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, il quale cadde annegando alla foce del fiume Eridano (nome aulico del Po) tra le odierne Crespino e Alfonsine. Le sorelle di Fetonte, le Eliadi, sconvolte e inconsolabili piansero amare e abbondanti lacrime. Per sopire il loro tormento Zeus le trasformò in pioppi, mentre le loro lacrime divennero ambra. Nello stemma di Crespino è rappresentato il momento del fulmine che colpisce Fetonte, mentre tre pioppi assistono alla scena lungo la riva del fiume.

Alla figurazione si accompagna il motto PHÆTHONTEI ARVA PADI (letteralmente: “i campi del Po dove [precipitò] Fetonte), tratto dagli “Epigrammi” di Marziale3.

La zona è abitata fin dalla più remota antichità, reperti etruschi ritrovati in località San Cassiano, testimoniano uno stabile insediamento intorno al v secolo a.C. in questa zona fertile del Polesine, mentre nel periodo cristiano è un possedimento dell’estesissima arcidiocesi di Ravenna, alla quale resterà soggetto ecclesiasticamente fino al 1818.
Nel periodo romano divenne un Vicus, che solo in una bolla del 920 di papa Giovanni X al vescovo di Adria viene riportata nella denominazione di CRESPINO. Nel XII secolo diviene possesso civile dei duchi Estensi di Ferrara, e molte famiglie nobili sceglieranno la zona per costruirvi residenze di campagna.

Contesa tra i Veneziani e gli Estensi di Ferrara fu oggetto di attacchi durante la cosiddetta “Guerra del Sale” (1482-1484).

Nel 1598 la zona passa, con tutto il territorio del Ducato di Ferrara (esclusa la porzione di Modena e Reggio Emilia), allo Stato della Chiesa, al quale resterà legato fino all’arrivo dei Francesi nel 1796. Il dominio dei napoleonici è mal tollerato dalla popolazione per l’atteggiamento “coloniale” con la quale viene trattata la popolazione, che si ribella (viene abolito il diritto di cittadinanza ed imposte tasse esose finché non sono individuati trovati i fautori della rivolta; un povero pescivendolo soprannominato “Veneri” viene ghigliottinato nella piazza del paese il 2 gennaio 1807 come “capro espiatorio” per contro d0altri). Con la Restaurazione, Crespino diventa parte del Regno Lombardo-Veneto austriaco. Anche questa nuova “signoria” non viene apprezzata, tanto che la zona diviente la culla della Carboneria nel Polesine, introdotta da Felice Foresti, pretore del paese. I cospiratori vengono però scoperti dalla polizia, arrestati e processati nel 1821 e infine condannati al carcere duro nel castello dello Spielberg.
Nel 1866 Crespino entra a far parte del Regno d’Italia.
Nel 1951 fu una delle località pesantemente colpite dalla disastrosa alluvione del Po.

(1): negli anni ’60 fece da scenografia per le riprese del film “Il mulino del Po” tratto dal romanzo di Riccardo Bacchelli che ne curò l’adattamento (la storia originale è ambientata sulla sponda ferrarese) assieme al regista Sandro Bolchi.

(2): a lui è anche dedicata la scenografica piazza principale del paese.

(3): Marco Valerio Marziale: “EPIGRAMMI” Libro X, capitolo 12;

Aemiliae gentes et Apollineas Vercellas
Et Phaethontei qui petis arva Padi,
Ne vivam, nisi te, Domiti, dimitto libenter,
Grata licet sine te sit mihi nulla dies:
Sed desiderium tanti est, ut messe vel una
Urbano releves colla perusta iugo.
I precor et totos avida cute combibe sole
s, –
O quam formosus, dum peregrinus eris! –
Et venies albis non cognoscendus amicis
Livebitque tuis pallida turba genis.
Sed via quem dederit, rapiet cito Roma colorem,
Niliaco redeas tu licet ore niger.

(Per quanto senza te nessun giorno mi sia gradito, ch’io muoia, Domizio, se non prendo volentieri commiato da te che parti per i popoli dell’Emilia, Vercelli sacra da Apollo e i campi bagnati dal Po in cui precipitò Fetonte: ma il desiderio vale la pena che tu, anche per una sola mietitura risollevi il collo oppresso dagli affari della città. Va’, ti prego, e assorbi con avida pelle tutto il sole, quanto sarai piacevole a vedersi finché lontano da Roma! Tornerai non più riconoscibile per gli amici dalla bianca cute e la folla smorta nel suo pallore avrà invidia delle tue guance. Ma Roma presto ti defrauderà di quella tintarella donatati dal viaggio, anche se farai ritorno con una faccia scura come un egiziano).

Nota di Massimo Ghirardi

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