Comune di Jette – (02)

Informazioni

Storia dello stemma e del comune

Jette è un comune della regione di Bruxelles-Capitale, praticamente un sobborgo, celebre per aver ospitato al civico 135 di rue Esseghem il pittore surrealista René Magritte, che vi abitò dal 1930 al 1954, nella casa-museo sono custodite alcune tele, una serie di locandine pubblicitarie e di manifesti cinematografici che l’artista, non ancora affermato, accettava di creare per poter guadagnare qualcosa. Lui stesso, con grande ironia, le chiamava le sue “opere alimentari”.

 

Ma la storia della località è legata alla scomparsa abbazia premostratense di Sainte Marie de Dieleghem (in fiamingo: Abdij van Sint Maria van Dieleghem), una fondazione di non chiara origine, che sembra nata come capitolo di canonici secolari nel 1095, osservanti la regola agostiniana, come attestato da un documento di Gaucher, vescovo di Cambrai, che ricevette da Onulphe, signore di Wolvertem, il terreno necessario alla fondazione, assieme ad una birreria, un mulino e alle decime del territorio di Melsbroek e di parte di quelle di Wolvertem.

 

Secondo le ricerche più recenti pare che la comunità abitasse inizialmente la fattoria di Auwderheyden dalla quale furono costretti ad andarsene durante i contrasti armati che opposero per più di trent’anni (dal 1142 al 1179) i duchi di Brabante ai Berthout, procurando gravi danni al monastero. In ogni caso, la fattoria compare tra i beni dell’abbazia fino al XVIII secolo.

 

Nel 1140, quindi, il convento venne trasferito a Jette (dall’antico nome del torrente «gatwa») e adottò la regola premostratense di Grimbergen, diffusa nell’attuale Belgio da Hugues de Fosses, uno dei primi discepoli di San Norberto di Xanten, e praticò le attività previste dalla regola dell’Ordine: ospitalità ai pellegrini, predicazione e particolare cura della liturgia. Il monastero venne elevato in abbazia indipendente nel 11061.

 

Nel 1210, Henri, signore di Zottegem, cedette alcuni terreni contigui, attorno alla località di Dieleghem, e l’abbazia adottò da quel momento quel nome. Nel 1217 tra le località soggette all’abbazia compaiono: Jette, Ganshoren, Denderleeuw, Wolvertem, Meise, Wemmel, Rossem, Neder-over-Heembeek e il monastero è oggetto di donazioni e lasciti, che consentirono all’abate di Dieleghem di assumere il ruolo di membro degli Stati Generali del Brabante nel XIV secolo, come signore feudale e proprietario terriero. Dal 1532, il superiore ebbe dal papa il privilegio dei paramenti pontificali, della mitra e del pastorale.

 

All’inizio del XIV secolo, vennero donate all’abbazia da parte di Margherita di York, sposa del duca Jean II di Brabante, alcune reliquie di San Biagio, medico e vescovo di Sebaste, la popolarità del santo dette avvio ad un importante flusso di pellegrini.

 

Le turbolenze religiose e politiche della regione coinvolsero pesantemente l’abbazia, nei momenti di pericolo la comunità poteva però cercare rifugio nel quartiere bruxellese di Saint-Géry, dove possedeva diversi beni e residenze. Lasciando che l’abbazia, esterna alle mura della città, subisse saccheggi e distruzioni.

 

Nel febbraio 1489 le truppe del signore di Ravenstein, che non ricevevano paga, devastarono il monastero, dandolo alle fiamme. L’episodio si inscrive nella guerra delle città brabantine, sostenute dal duca Philippe di Clèves, contro la volontà centralizzatrice del reggente dei Paesi Bassi Borgognoni, Massimiliano I d’Asburgo, che vinse le ultime resistenze dopo la battaglia di Tirlemont, i cruenti contrasti armati tra le fazioni ridussero l’abbazia a rovine. Solo nel 1495 i premostratensi poterono tornare nel loro monastero.

 

Nel 1578, durante le Guerre di Religione, l’abbazia venne nuovamente assalita dai brabantini, in rivolta contro le politiche dispotiche del re Filippo II di Spagna, che non volevano che gli edifici diventassero una base d’appoggio per le truppe di don Giovanni d’Austria. Per lo stesso motivo, tutte le abbazie intorno alla capitale vennero attaccate e devastate e trasformate in fortificazioni di difesa contro “gli Spagnoli”. A Dieleghem essi resistettero ben sette anni, procurando devastazioni e sacrilegi; furono cacciati dopo la capitolazione di Bruxelles ottenuta dal duca di Parma, Alessandro Farnese. Per lungo tempo la comunità non fu in grado di ricostruire il monastero.

 

Il restauro degli edifici, nel suntuoso stile barocco brabantino controriformista, venne completato solo nel 1721, con la costruzione anche del caratteristico campanile carillon ottagonale. Ma le politiche espansionistiche di Luigi XIV furono un altro evento nefasto per la comunità e l’intera regione, che venne intristita dalla carestia.

 

Imitando altre importanti abbazie circonvicine anche gli abati di Dieleghem si lanciarono in ambiziosi progetti di ricostruzione, secondati dall’architetto Laurent-Benoît Dewez (1731-1812), che operò in loco tra il 1775 e il 1791, ma tutto venne ridotto in nulla dopo l’annessione dei Paesi Bassi Austriaci alla Francia repubblicana il 1° ottobre 1795. L’abbazia venne soppressa il 1° settembre 1796, i monaci deportati in un’isola bretone, e gli edifici messi in vendita con il vincolo di demolire gli edifici principali, compresa la chiesa abbaziale.

 

Attualmente del fastoso e vasto edificio rimangono il portico d’entrata, una parte della clausura e il neoclassico palazzo abbaziale, risalente al 1775, edificato dall’abate don J.B. van den Daele, che lo trasformò in una dimora di lussuosa. Nel XIX secolo in esso trovarono rifugio i gesuiti portoghesi esiliati, nel 1896 venne acquistato dal celebre egittologo Jean Capart, che vi dimorò con la famiglia. Nel XX secolo divenne una casa di cura per bambini mentalmente disagiati mentre la cappella al pianterreno servì come parrocchia provvisoria (dal 1929 al 1954 mentre si terminava la nuova parrocchiale di Saint-Joseph), per poi essere acquistata dal comune di Jette (creato nel 1841) quando ormai era ridotto in rovina, il 17 gennaio 1950, per ospitare il museo civico (che racconta anche la storia dell’abbazia) e restaurato allo scopo dall’architetto Simon Brigode. È stato restaurato e riaperto nel 1972: oggi il suggestivo edificio funge anche da sala per i matrimoni del municipio.

 

Nel Medioevo, Jette e altri nove villaggi (tra cui Molenbeek e Ganshoren) furono raccolti in un unico feudo. Alla fine del 1659, il signore di Rivieren, François de Kinschot, ricevette la Comté de Jette-Saint-Pierre che, a seguito di un matrimonio di una erede, divenne proprietà di Paul-Philippe de Villegas, fratello di Jacques-Ferdinand de Villegas, barone di Hovorst, presidente della Camera dei Conti.

 

Jette (il cui toponimo è uguale nelle due lingue; francese e fiammingo) fu riconosciuta come un comune indipendente nel 1841.

 

Sul sito degli altri edifici abbaziali venne realizzato nel XIX secolo il quartiere di Saint-Joseph, e ancora oggi la toponomastica locale ricorda il passato claustrale: rue de l’abbaye de Dieleghem, drève de Dieleghem, chaussée de Dieleghem, bois de Dieleghem, etc.

 

Come stemma proprio la città di Jette ha adottato quello della famiglia Kinschot. François II de Kinschot fu signore della località nel XVII secolo, egli usava un sigillo con la figura della Vergine con il bambino entro una nicchia gotica (riferimento all’abbazia di Dieleghem) con, a destra uno scudo con una fascia contro merlata e, a sinistra, un elmo con lambrecchini e cimiero

 

Lo stemma della città è invece il sigillo degli echevin (scabini) della Contea di Saint-Pierre-Jette e compare in un atto comunale del 28 maggio1661. Lo scudo è accollato alla spada dell’Ordine di San Giacomo di Compostela, e tenuto da una vergine che, con la mano libera, tiene un velo azzurro seminato di stelle e una corona reale d’oro (essa sarebbe un riferimento alle Vergine Maria, alla quale era dedicata l’abbazia) e da un liocorno.

 

Lo stemma comune ad entrambi è quello comitale dei Kinschot: «d’or, à la fasce contre-bretessée de sable» (d’oro, alla fascia contro merlata di nero).

 

Lo stemma dell’abbazia era completamente diverso e venne adottato abbastanza presto, anche se non proprio nel 1106 come asserito da alcuni: nello stemma si vede la nota figura cristologica del pellicano che, colpendosi il petto con il becco, nutre col proprio sangue i suoi figli, simbolo del sacrificio di Cristo per la redenzione dell’umanità. Ad esso era associato il motto DILIGAM TE DOMINE, tratto dal Primo Libro dei Salmi della Bibbia (17:2) “Diligam te Domine, fortitudo mea” (ti amerò, Signore, mia forza).

 

In occasione della scelta della bandiera della città non vennero presi i colori dello stemma, che sarebbero stati troppo simili a quelli del Brabante o della Fiandra, e si preferì la coppia oro-blu derivata proprio dall’emblema abbaziale.

 

 

Nota di Massimo Ghirardi

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Profilo araldico


“D’oro, alla fascia contro merlata di nero”.

Pezze onorevoli dello scudo:
fascia contromerlata
Profilo Araldico

“Drappo partito di azzurro e di giallo”

bandiera ridisegnata

Disegnato da: Massimo Ghirardi

bandiera Ufficiale
no bandiera
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