Vieri Favini

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“Ma allora il mondo è giallo rosso e blu!” pensò nel 1976 dopo aver scovato nell’atlante De Agostini di suo fratello la pagina delle bandiere che iniziò a ricopiare su quaderni e quaderni, arricchiti ogni volta di paesi nuovi, aggiungendo con la fantasia quello che le carte allora a disposizione non rivelavano. Poi, l’anno dopo, quando la sorella portò da Londra un poster dei clan scozzesi, si accorse che esisteva qualcosa di più affascinante di stelle, strisce e mezzelune e, con la devozione di chi allestisce il suo presepe, avviò a riprodurre compulsivamente quelle figurine colorate anche se il fatto che appartenessero a enti così evanescenti e poco visualizzabili, come le famiglie, non lo eccitava quanto le bandiere che però, uffa, erano sempre le stesse. Che strano ragazzino, attratto dai segnali stradali, dai pittogrammi degli sport olimpici e dai sistemi di scrittura.. gli amichetti ammiravano le automobili? Ebbene lui se ne disinteressava pur conoscendo a memoria i marchi delle varie Mercedes, Chrysler e De Tomaso. A scuola si scambiavano le figurine dei calciatori? Offresi il rarissimo Pasquale Fiore per i disprezzati scudetti delle squadrette di C2, acquisendo, a suo modo, molta popolarità. Ma fu nel 1982, quando ancora in Versilia transitavano parecchi turisti dalla Germania e dalla Svizzera, che capì che anche i territori e le città potevano disporre di quegli scudetti così carini… affare fatto, da allora, decise che ogni città, terra, castello, monte, fiume e angolo di casa dovesse avere il proprio stemma.. Nel 1991 per il suo ventesimo compleanno ricevette in dono dall’amore della sua vita, una copia di Insegne e Simboli, il manualone ufficiale dell’araldica italiana, e allora capì molte cose: che le figure araldiche non sono quasi mai frutto di una scelta casuale ma offrono a colui che è capace di interpretarle varie informazioni: chi è, cosa fa, come la pensa, chi sono gli amici del proprietario dell’insegna.. e poi capì che questi segni sono molto antichi e che hanno subito un’evoluzione mutandosi al variare della storia del proprietario. Divenne urgente riprendere a mano la sua raccolta e cercare di capire se questi principi potevano applicarsi a questa.. Contemporaneamente incominciò a interessarsi di storia locale, a scrivere qualcosa e a frequentare gli archivi pubblici, ma fu grazie soprattutto alle indicazioni di metodo recepite negli scritti di Luigi Borgia, che riuscì a trovare la chiave per visionare e comprendere (o almena così gli pareva) il cosa-come-quando degli stemmi pubblici toscani. E soprattutto di trovarne a centinaia, una vendemmia durata una decina d’anni, un’ubriacatura di attestazioni di tutte le epoche che riempivano un casellario di località che, a vario titolo, dal duecento in poi avevano goduto di una qualche forma di autonomia amministrativa, la patente che comportava l’acquisizione di un segno di riconoscimento, lo stemma (o il sigillo, o la bandiera..). Cosa fare di queste migliaia di attestazioni? A chi potevano interessare, ma poi, era così necessario divulgarle? “Favini, per carità, vada avanti coi suoi studi e pubblichi quello che può!” gli disse perentoriamente il Borgia, allora vice sovrintendente archivistico a Firenze che promosse la pubblicazione del suo meticoloso e maniacale repertorione per comunità. Era il 2000, e da allora cominciò a scrivere qualcosa di più o meno di nicchia “Lo stemma dell’ex comune di Medicina in Valdriana”, “Gli stemmi dei comuni della vicaria di Coreglia”, cosine fatte per caso, per aver incontrato persone nell’emergenza di divulgare qualcosa di molto insolito. Poi riuscì a imbucarsi nelle grazie di colui che più di ogni altro aveva chiaro il ruolo e la funzione di questi dispositivi di riconoscimento rapido, Alessandro Savorelli, con cui potè abbinare la quantità dei risultati delle sue ricerche, alla qualità e finezza dei ragionamenti di quel grande. E ora come Sherlock Holmes e Watson girano l’Italia con la lente d’ingrandimento puntata su emblemi grandi e piccoli, noti o sconosciuti, e quando le sue aziende, tiranne, glielo permettono ancora si concede di raccontare a qualcuno il molto, o anche il poco, che sono riusciti a trovare. Eccolo qua, le persone sono, alla fine, la risultante delle proprie affinità elettive e delle proprie esperienze.