Siena – Insegne al tempo della Repubblica

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Siena: insegne al tempo della Repubblica

 

 

La prima attestazione di un segno araldico riferito a Siena è costituita da un sigillo, datato 1239, che rappresenta un castello con tre alte torri e altrettante porte aperte che rappresentano probabilmente Castelvecchio, il primo nucleo cittadino posto sul colle più alto, anticamente fortificato; il sigillo reca la leggenda Vos veteris Sene signum noscatis amene. Un altro sigillo di qualche decennio posteriore mostra invece la Vergine col Bambino, affiancata da due angeli, in atto di calpestare un drago; la leggenda recita Salvet Virgo Senam quam Natus signat amenam. È tuttavia ben noto che lo stile delle matrici sigillari e quello delle insegne araldiche perseguivano vie del tutto diverse: l’una complessa ed elaborata per evitare falsificazioni, l’altra essenziale e ben contrastata per una immediata identificazione sui campi di battaglia.

L’insegna di Siena, conservata immutata nel tempo, è la cosiddetta Balzana, termine tutto toscano col quale si definisce un troncato, in questo caso d’argento e di nero. La sua conformazione essenziale rimanda a una diretta emanazione del vessillo alzato in battaglia dalle milizie comunali, primo fra tutti quello issato sul pennone del carroccio, del quale – qui come in altri casi – lo stemma in un certo senso è la testimonianza fossile, in quanto la tipologia vessillare non si è conservata per un tempo così lungo.

Le prime attestazioni rimandano alla metà del XIII secolo. I Libri di Biccherna del 1246 registrano l’acquisto di panni bianchi e neri per il confezionamento delle bandiere del Comune; Il Libro dei Consigli del 1255 – citato da Giovanni Antonio Pecci, storico senese del XVIII secolo – fa menzione di un contingente armato inviato «colla Bandiera della balzana contro gli Aretini»; esiste inoltre una Balzana scolpita nella fontana fuori Porta Ovile, datata 1263.

La bicromia d’argento e di nero, non troppo frequente nell’araldica civica della regione, nella quale com’è noto si registra una netta prevalenza dell’argento e del rosso, fa pensare che sia stata adottata proprio per distinzione, in modo da rendere ben distinguibili le milizie senesi da quelle delle città vicine, con le quali non erano rari conflitti armati.

La tradizione lega invece questa bicromia alla leggenda della fondazione della città, intimamente collegata a quella di Roma. Seno e Ascanio (o Aschio), figli di Remo, dopo l’omicidio del padre da parte dello zio Romolo, avrebbero precipitosamente lasciato Roma per fuggirne la persecuzione dirigendosi a nord, cavalcando l’uno un cavallo bianco e l’altro uno nero, forniti loro da Apollo e Diana. Giunti in Etruria avrebbero fondato una nuova città, che fu battezzata Sena dal nome del maggiore dei fratelli. Altre fonti, più che al manto dei cavalli cavalcati dai fratelli, fanno riferimento ai colori assunti dal fumo sprigionato dalla pira augurale accesa nel corso della cerimonia di fondazione.

Oltre ai colori, Seno e Ascanio avrebbero adottato come animale totemico la lupa, che fu nutrice del padre e dello zio; in alcune versioni si legge che se la sarebbero addirittura portata appresso. È caratteristica peculiare delle principali città toscane far uso di un particolare bestiario, secondo il quale ognuna viene tradizionalmente associata in forma allegorica a un animale, reale o chimerico, spesso raffigurato come supporto dello scudo, ma sentito dalla popolazione tutta come un vero e proprio totem. Se ne trova traccia nel monumentale pavimento istoriato del Duomo di Siena, nel quale si trova rappresentata la lupa senese che allatta due gemelli, contornata in circolo da un cavallo per Arezzo, un’oca per Orvieto, un elefante caricato da una torre per Roma, un pellicano per Perugia, un unicorno per Viterbo, una lepre per Pisa, una pantera per Lucca, un leone per Firenze. Negli angoli si vedono poi un leone sormontato dal capo d’Angiò per Massa Marittima, un grifone per Grosseto, un drago per Pistoia, un avvoltoio parlante (vulture) per Volterra. Molti di questi animali si ritrovano nei nomi e nei simboli delle Contrade, forse non per caso.

Come tutte le maggiori realtà comunali, anche Siena affiancava alla Balzana altre insegne. La più importante è costituita da quella del Popolo, costituito dalla ricca borghesia dei mercanti, banchieri e artigiani, che nel corso della seconda metà del XIII secolo – analogamente alle altre realtà urbane coeve – seppe elevarsi a classe dirigente del Comune, fin lì dominato dalla ristretta oligarchia dei milites. L’insegna del Popolo di Siena, che nel pavese ufficiale affiancava invariabilmente la Balzana, si blasona di rosso, al leone d’argento, coronato d’oro. Secondo la tradizione lo stemma sarebbe stato concesso da Ottone di Brunswick nel 1213.

L’insegna del Popolo, priva di corona e brisata da una figura distintiva, in genere parlante o agiografica, venne adottata (o forse imposta) da molte comunità soggette allo stato di Siena, quali Buonconvento, Pienza, Radicondoli, Radicofani, Sarteano, Sovana, Torrita e altri centri minori. Oggi viene usata come stemma della Provincia di Siena.

Altra insegna che campeggia nel pavese cittadino, primo fra tutti il carroccio che sfila nel sontuoso corteo in occasione del Palio della Contrade, è la cosiddetta insegna di Libertà, costituita da uno scudo azzurro nel quale si legge, blasonato in lettere d’oro e posto in banda (o in fascia) il motto «libertas». Tale insegna veniva ostentata, nel corso del XIII secolo, anche da altre realtà comunali (Bologna, Lucca, Firenze, Pisa, Forlì, Genova) che ancora mantenevano la propria indipendenza repubblicana, in anni in cui potenti prosapie locali si insignorivano della propria città.

 

La città di Siena era suddivisa nel Medioevo in terzieri, ognuno dei quali alzava una propria insegna.

Il Terzo di Città portava di rosso alla croce d’argento.

Il Terzo di San Martino portava di rosso con al figura del santo cavaliere nell’atto di donare la metà del mantello al povero.

Il Terzo di Camollia portava infine d’argento, alla maiuscola “K” di nero, lettera iniziale secondo la grafia medievale.

 

Note a cura di Michele Turchi

 

 

Bibliografia essenziale:

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