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Il mistero di Camposanto

Il Mistero di Camposanto

Note a seguito della lettura de “Lo Stemma Comunale di Camposanto” di G. Marchesi 

La lettura è estremamente interessante e cerca di dirimere il “mistero” circa la doppia concessione dello stemma e del gonfalone del Comune di Camposanto (Modena). A seguito di  quella nota dopo aver verificato, grazie alla disponibilità dell’amico Pasquale Fiumanò, la documentazione presente presso l’Archivio Centrale dello Stato all’EUR (di seguito ACS) e concertato il nostro parere (un bel divertimento: come membri del Gruppo Italiano di Araldica Civica), ne abbiamo ricavato alcune note che inviamo per provare a fare insieme un poco di chiarezza su questa intrigante (e intricata) vicenda.

Alla luce della Regolamentazione e della legislazione in vigore non è propriamente corretto affermare che «Camposanto, così come tutti i comuni privi di simboli specifici, ebbe il permesso di usare temporaneamente lo stemma Sabaudo», infatti lo “Stemma del Regno” veniva usato in maniera “abusiva” dalle amministrazioni locali in quanto lo stesso emblema era legalmente riservato alla sola amministrazione centrale dello Stato. 

Come viene formalmente confermato dal successivo Regolamento Tecnico Araldico della Consulta Araldica del Regno d’Italia, approvato con Decreto del 13 aprile 1905 n. 234, e stilato dal barone e senatore Antonio Manno, commissario del Re presso la Consulta (da cui il nome improprio che alcuni gli attribuiscono di “Codice Manno”). Esso stabilisce che «Province, Comuni ed Enti Morali non possono servirsi dello stemma dello Stato, ma di quell’arme o simbolo del quale avranno ottenuto la concessione o il riconoscimento». È pur vero che, soprattutto negli anni dopo il 1861, molti sigilli degli Enti Locali furono realizzati con lo stemma del Regno d’Italia, abitudine in vigore già con gli Stati pre-unitari (e imposta durante l’Amministrazione Francese, che dotava spesso le nuove Mairies di un sigillo con l’aquila “napoleonica”, coronata e posata su un fascio di folgori, circondata dalla legenda MAIRIE DE… DEPARTEMENT DE…).

Precedentemente il Ministro dell’Interno Cavallini, con Circolare del 31 luglio 1870 (l’unica che siamo riusciti a recuperare, ma l’invito era già stato fatto in precedenza), aveva ricordato «come da parecchi comuni e da alcune provincie siasi incominciato ad usare stemmi che non risultino né da uso antico né da concessione, eludendo così la Legge 26 luglio 1868 n. 4520, con cui furono sottoposte a tassa le concessioni degli stemmi nuovi ed i riconoscimenti degli stemmi irregolarmente portati» e si considera un «… abuso, il quale mentre offende una prerogativa regia, torna di danno all’Erario nazionale» e minacciando ripercussioni per gli inadempienti (anche se, per bontà di cuore, si aggiunge «… ben sicuro che basterà questa sola notizia perché la suddetta irregolarità abbia subito a cessare») si ribadisce che l’uso dello stemma di Stato non è consentito («… non usino negli atti propri dello stemma dello Stato»).

In Riti ed emblemi. Processi di rappresentazione del potere principesco in area subalpina (XIII-XVI secolo) di Luisa Clotilde Gentile si legge: 

«[…] comunque gli Statuta Sabaudiae promulgati da Amedeo VIII nel 1430 al capitolo XLIII, De insigniis et armis, affidavano ai castellani e agli ufficiali locali il compito di cancellare gli scudi di coloro che non potessero provare il loro diritto allo stemma ab antiquo o per concessione dell’imperatore, del duca o di altra autorità che ne avesse la podestà. Il duca avocava a sé e ai suoi rappresentanti il controllo dell’araldica, della quale conosceva l’importanza come linguaggio sociale: un atteggiamento accentratore, che inaugurava una delle più antiche e rare regolamentazioni in materia. L’iniziativa di Amedeo – ripresa in età moderna dai successori – contrapposta alla consuetudine della libera adozione dello stemma, che rimase in vigore nella maggioranza degli Stati europei, era seconda solo alle analoghe lettere di Enrico V d’Inghilterra del 1417 e sarebbe stata seguita nel 1466 dalle norme emanate da Alfonso V di Portogallo» (pp. 98-99).

Ancora: «In secondo luogo, l’istruzione del 1424 sembra animata da quello stesso intento di ordinare gerarchicamente la società sin nei rapporti interni della famiglia ducale, che si legge nelle disposizioni suntuarie degli Statuta Sabaudiae promulgati sei anni dopo» (p. 35).

Sugli ornamenti esteriori quelli “standard” sono effettivamente la corona di rango (Comune o Città) e il serto vegetale, ma a queste prescrizioni si può (in linea teorica) derogare come previsto del Regolamento Tecnico-Araldico stesso con la locuzione «salvo diversa concessione» e previsto quindi in un decreto di riconoscimento o concessione particolare. 

Da notare che fino all’adozione del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno del 1905 (RD n. 234 del 13 aprile 1905) le corone per i Comuni erano di due tipi: i Comuni con popolazione superiore ai 3000 abitanti avevano una corona formata da un cerchio d’oro aperto da 4 porte e sormontato da 8 merli dello stesso (5 in vista) uniti da muriccioli d’argento. Mentre i Comuni con popolazione inferiore  ai 3000 abitanti portavano un cerchio d’oro senza porte con 8 merli (5 in vista) uniti da muriccioli tutti d’argento. (Massime e Deliberazioni della Consulta Araldica del Regno 4 maggio 1870, artt. 13 e 14). È quest’ultima corona che timbra lo stemma di Camposanto (come giustamente rilevato dalle figure da 2 a 7 della nota Marchesi). Anche la corona per le “città” era leggermente differente da quella in uso.

Per quanto riguarda il serto con fronde di palma, concesse a Camposanto, si tratta di una tipologia affatto rara: esistono ancora oggi numerosi stemmi regolarmente concessi a città (o riconosciuti, se in uso già in precedenza, ad esempio Cuneo, Vercelli, Chivasso…) per meriti di guerra (di solito ricordano storici fatti d’arme, come nel nostro caso quello dell’8 febbraio 1743 o, come nel caso del Comune parmense di Colorno, la devozione ad un particolare santo martire, nella fattispecie Santa Margherita d’Antiochia). In tal senso la Consulta Araldica dispose: «Le consuetudini storiche di ciascuna provincia o famiglia, relative agli stemmi, ai loro accessorii [sic] e ornamenti, purché corroborate con antichi esempi locali o domestici, si possono rispettare e confermare, quando si chieda, non ostante le prescrizioni espresse  negli articoli precedenti, le quali però saranno obbligatorie in ogni nuova concessione» (Massime e Deliberazioni della Consulta Araldica del Regno 4 maggio 1870, art. 44).

Il R.D. n. 1440 del 12 ottobre 1933 riguarda l’istituzione del “Capo del Littorio” una pezza araldica ispirato dall’uso Napoleonico che fu ideata durante il Fascismo per contrassegnare tutti gli stemmi civici e blasonata: Di rosso al fascio littorio d’oro circondato da una corona composta di un ramo d’alloro e uno di quercia legati da un nastro. Il fascio è un’insegna di origine etrusca costituito da un mazzo di verghe e da una scure, tenute insieme per mezzo di corregge: è il simbolo del potere coercitivo della legge, quindi dell’autorità dello Stato. Era portato da Littori, ufficiali di scorta al servizio degli alti magistrati Romani, che, per loro ufficio, comminavano pene corporali e capitali. Mussolini lo rese obbligatorio ma, alla sua caduta, la norma che lo imponeva fu cancellata e la figura abrasa dagli stemmi (D.L. del 26.10.1944); alcuni Comuni però si limitarono ad eliminare il fascio, mantenendo il serto vegetale. La cancellazione del fascio e delle fronde che l’accompagnavano ha dato origine alla curiosa figura 10 del Marchesi, realizzata nel 1945/46 e in uso di fatto fino al 1980.

Lo stemma “ufficiale” del Comune di Camposanto fu concesso con RD del 23 agosto 1868 nel quale è blasonato (come sulla relativa nota di www.araldicacivica.it). Nel fascicolo conservato all’Archivio Centrale dello Stato esistono sia la copia del bozzetto, timbrata e firmata, che la copia del Decreto di concessione a suo tempo trasmesso al Comune per mezzo del Prefetto di Modena.

Come riportato da G.L. Tusini, prima di quel bozzetto il Comune aveva anche sottoposto all’approvazione uno stemma assai differente: «Infatti furono allo studio alcune versioni, nelle quali figurava invariabilmente un richiamo alla santità e all’idea di luogo cemeteriale (…) con croci di diversa foggia, anche accantonate da stelle (…) con chiaro riferimento toponimico». Il Comune aveva allegato alla richiesta di approvazione almeno cinque disegni, dei quali due con la croce patente d’argento in campo nero, accantonata da quattro stelle (a 5 o 8 punte) pure d’argento; uno dei due ha il capo di rosso con sciabola e spada in decusse.

Sessant’anni dopo, nel 1933, il Comune richiese la concessione ANCHE del gonfalone, per il quale è prevista una concessione specifica DIVERSA da quella del solo stemma, e decise di allegare alla richiesta il disegno di un gonfalone: troncato d’argento e di verde e caricato dello stemma di cui al citato decreto (di concessione dello stemma). Quest’ultimo bozzetto è presente nello stesso fascicolo. 

Il gonfalone in uso (Drappo di colore azzurro… etc.) fu concesso con RD del 19 febbraio 1934 (e comunicato con Regie Lettere Patenti date a Roma il 21 febbraio 1935). Non si sa bene come, ma alla lettera patente, risulta allegato un disegno (che è quello della figura 11 delle note del sig. Marchesi) diverso da quello che il Comune aveva effettivamente allegato alla richiesta. 

Da notare che, nella concessione non è descritto lo stemma caricato sul gonfalone, per cui il riferimento è da ritenersi allo stemma concesso con RD del 23 agosto 1868. 

Esistono, nel fascicolo, altre richieste di concessione di stemma e/o gonfalone diversi che però non hanno trovato riscontro. 

Da ultima, una richiesta di Riconoscimento dello Stemma e Gonfalone Comunale inoltrata il 31 dicembre 1949 cui seguì, il 7 gennaio 1950, l’invio all’ufficio Onorificenze e Araldica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, della «riproduzione dello Stemma di questo Comune, erroneamente non allegata alla pratica suddetta» (copiato testualmente).  È allegato un bozzetto su cartoncino di colore marrone riproducente lo stemma descritto in una precedente richiesta del 1936: Troncato; nel 1º di rosso, a due spade d’argento, dall’elsa di oro, poste in croce di S. Andrea, colle punte rivolte in alto; nel 2º, di argento, alla croce patente di rosso. Segni esterni di comune. (copiato integralmente). 

In basso, un nastro/cartiglio di colore azzurro riportante il nome del comune in lettere maiuscole latine d’oro. La croce del disegno è quella che segue, che ricorda molto la croce cosiddetta “templare” e, di fatto, diversa da quella poi riportata dalle figure 11 e 12 del sig. Marchesi:

Descrizione: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0d/Knights_Templar_Cross.svg/600px-Knights_Templar_Cross.svg.png


La domanda che sorge spontanea è: Come mai nel 1950 il Comune sente la necessità di presentare una nuova richiesta di stemma e gonfalone? Nel fascicolo presso l’Archivio Centrale dello Stato esiste anche una nota scritta a matita, purtroppo non datata, riferita al bozzetto del 1868, che dice che il comune di Camposanto «ha già uno stemma».

Inoltre: l’immagine della figura 2 e la riproduzione della concessione del gonfalone riportata in calce alle note del Sig. Marchesi, provengono dal fascicolo di Camposanto conservato all’ACS.  Oseremmo pensare che qualcuno abbia consultato il fascicolo, copiando però solo una parte dei documenti. 

[Suggeriamo che il Comune disponga una richiesta di copia di tutto il fascicolo, per fare definitiva chiarezza sull’argomento]. 

Infine un’osservazione in merito alle referenze legali e normative: il DLgs del 28 gennaio 2011 n. 26  Competenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di onorificenze pontificie e araldica pubblica e semplificazione del linguaggio normativo ha ribadito, di fatto, il Regolamento Tecnico-Araldico del Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 652, che dispone per la Concessione formale da parte dello Stato degli Stemmi degli enti morali (quindi anche locali). 

Ma il Decreto Legislativo n. 267/2000 Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (TUEL, spec. art. 6, § 1 e 2) indica per l’adozione dello stemma da parte del Consiglio (Comunale, Provinciale, Regionale) un semplice atto proprio, prescrivendo sola la menzione nello Statuto dell’Ente: «… Lo Statuto [Comunale e Provinciale] stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell’Ente, le forme di collaborazione tra Comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico» (art. 6). 

Ciò non toglie quindi che, per essere legalmente tutelato l’ente può richiedere la formale Concessione, attraverso istanza presentata all’Ufficio Onorificenze e Araldica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Il Consiglio Comunale nell’adozione dello Statuto ha curiosamente fatto un mix di tutto, riportando (art. 5, stemma e gonfalone) parzialmente i blasoni precedenti nel tentativo (al vero, dal punto di vista tecnico formale, un po’ maldestro) di uniformare i due bozzetti «1. Negli atti e nel sigillo il Comune di Camposanto viene identificato con lo stemma concesso con R.D. del 23 agosto 1868 e raffigurante uno scudo d’argento su cui campeggia una croce sovrastata da spada e scimitarra incrociate, lo scudo accostato da due rami e sovrastato da corona turrita e merlata [sic]. 2. Nelle cerimonie e nelle pubbliche ricorrenze può essere esibito il gonfalone comunale nella foggia autorizzata con D.R. in data 19 febbraio 1934, raffigurante lo stemma comunale su drappo azzurro ornato di ricami d’argento, con l’iscrizione centrata in argento COMUNE DI CAMPOSANTO».

In estrema sintesi: il Comune di Camposanto, anche alla luce dei documenti consultati presso l’ACS, ha due concessioni diverse per lo stemma e per il gonfalone, non coerenti tra loro ma, dal punto di vista formale, aventi ciascuno valore legale: per cui il Comune dovrebbe far uso dello stemma con croce nera nella comunicazione e nei sigilli e del gonfalone  con croce patente rossa nelle pubbliche manifestazioni (il gonfalone non è strumento accessorio: rappresenta ufficialmente il Comune).

A nostro avviso si può tranquillamente sanare la situazione assumendo, tramite deliberazione e menzione dettagliata nello Statuto, una delle versioni (allo stato, quella con la croce patente rossa) per entrambi gli usi.

Bruno Fracasso, Pasquale Fiumanò, Massimo Ghirardi, Giovanni Giovinazzo

Gruppo Italiano di Araldica Civica

Inserito il 11 Maggio 2020

Tag: Aggiornamenti, Curiosità

Articolo riferito al Comune di Camposanto

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