Pio VI – Braschi
Pio VI – Braschi
Storia e informazioni
Giannangelo Braschi nacque a Cesena il 25 dicembre del 1717 dal conte Marco Aurelio Tommaso, figlio di Francesco, e da Anna Teresa dei conti Bandi. I Braschi “dei Servi”, ai quali apparteneva il futuro pontefice, conseguirono il titolo comitale.
Il Braschi era il primogenito di otto figli, quattro maschi e quattro femmine.
Angelo ricevette la prima educazione dai Gesuiti e si laureò giovanissimo “in utroque iure” il 20 aprile 1735; fu subito aggregato al Collegio dei venti giuristi di Cesena. Completò i suoi studi di giurisprudenza all’Università di Ferrara, sotto la guida dello zio materno Giovanni Carlo Bandi, futuro vescovo di Imola, che ricopriva allora la carica di auditore del legato pontificio, il cardinale Tommaso Ruffo.
La protezione dello zio gli valse la benevolenza del Ruffo e la nomina a suo segretario, che segnò l’avvio della carriera amministrativa nello Stato.
Per il conclave del 1740, dopo la morte di Clemente XII, seguì come conclavista il cardinale a Roma senza più far ritorno nella città natale.
Il nuovo pontefice Benedetto XIV nominò il cardinale Ruffo, divenuto decano del Sacro Collegio, vescovo suburbicario di Ostia e Velletri e il Braschi, succedendo allo zio a sua volta nominato vescovo “in partibus” di Botra, divenne il suo auditore. Con la nuova carica dovette amministrare l’importante diocesi, nella quale fissò la sua residenza, ed ebbe una parte di un qualche rilievo nella difesa del vescovado e nella protezione di Velletri all’epoca della battaglia che vi si svolse, l’11 agosto 1744, tra Austriaci e Napoletani nel corso della guerra di successione austriaca.
I servigi resi in quella occasione al re di Napoli, Carlo di Borbone, e i buoni rapporti da allora intrattenuti con il sovrano convinsero il pontefice a incaricarlo, nel 1746, di dirimere alcuni conflitti giurisdizionali insorti tra Roma e il Regno meridionale in materia di competenza del foro vescovile; a ricompensa della conseguita composizione delle divergenze, anche attraverso l’ottenimento delle dimissioni dell’arcivescovo di Napoli cardinale G. Spinelli, venne nominato cameriere segreto, entrando così in prelatura.
Dopo la morte del Ruffo, nel 1753, il pontefice lo nominò segretario particolare e quindi canonico di S. Pietro (17 gennaio 1755).
Nel settembre 1758 prestò giuramento in qualità di referendario del cardinale N. Corsini, prefetto della Segnatura, e, nello stesso anno, avendo oramai deciso di abbracciare lo stato ecclesiastico, ricevette gli ordini maggiori e fu ordinato prete.
Se l’atteggiamento del Braschi fu oggetto di critiche da parte dei filogesuiti, tuttavia esso non impedì che, il 26 settembre 1766, venisse destinato, in sostituzione di monsignor Canale, all’importante carica di tesoriere generale della Camera apostolica che apriva la porta alla porpora cardinalizia. Vi venne chiamato con l’appoggio del cardinale Rezzonico, che ricopriva a sua volta il più alto incarico economico dello Stato in qualità di camerlengo, e vi pervenne proprio al culmine di una delle più catastrofiche carestie che colpirono lo Stato della Chiesa come il resto dell’Italia.
In qualità di tesoriere operò con competenza e attivismo, preoccupandosi del risanamento finanziario dello Stato, gravato da un pesante debito pubblico, e tentando di instaurare un nuovo sistema tributario per aumentare le entrate, all’interno di un organico progetto di riforma elaborato fin dal 1767.
Il 26 aprile 1773 Clemente XIV, su pressione delle corti borboniche, gli accordò il cappello cardinalizio con il titolo di S. Onofrio e, subito dopo, le cariche di abate commendatario del convento dei Camaldolesi di S. Gregorio al Celio e del monastero di Subiaco.
Qui egli stabilì la propria residenza, avviando subito le visite pastorali in tutto il territorio, ma dovette presto lasciare l’abbazia per il lungo e difficile conclave del 1774-1775. Questo, che ebbe inizio il 5 ottobre 1774 e si protrasse per oltre quattro mesi, si svolse in una atmosfera carica di tensione, di sospetti e di conflitti, suscitati dalla traumatica recente soppressione della Compagnia di Gesù.
Il conclave, se vide lo scontro tra i cardinali delle Corone, portavoce degli interessi dei sovrani, e cardinali “indipendenti” o “zelanti”, preoccupati di respingere le interferenze dei poteri politici sul governo della Chiesa, provocò anche la divisione delle corti: così, grazie al sostegno di Francia e Spagna, e nonostante l’opposizione del Portogallo, il Braschi venne eletto papa, il 15 febbraio 1775. Il 22 febbraio, simultaneamente, venne consacrato vescovo dal cardinale decano F. Albani e incoronato; la domenica seguente aprì la Porta santa della basilica di S. Pietro, dando inizio all’anno giubilare con cui si avviava il suo pontificato.
La scelta del nome di Pio non fu affatto casuale. In una fase di ridefinizione radicale del ruolo della Chiesa nella società e all’interno di quello che si annunciava come uno scontro con la cultura e con la politica della modernità, egli decise consapevolmente di succedere a quel Pio V, fino ad allora primo e unico papa santo dell’Età moderna, a cui il Braschi professava grande venerazione, che era stato l’applicatore rigoroso dei precetti del concilio di Trento, il nemico dei protestanti, il creatore della Congregazione dell’Indice e, soprattutto, l’artefice della Lega Santa contro i Turchi e della vittoria di Lepanto.
Fin dagli esordi del suo pontificato marcò una rottura con lo spirito conciliante e aperto al rinnovamento del suo predecessore. La sua prima enciclica condannava assai duramente le idee del secolo dei Lumi. Il pensiero moderno era accusato di diffondere l’ateismo e di voler spezzare la tradizionale concordia tra la Chiesa e gli Stati, ciò che avrebbe dissolto ogni forma di consorzio civile; i vescovi erano richiamati all’unità, a rafforzare strutture e istituzioni di derivazione controriformistica e a vigilare sull’ortodossia dottrinale del clero in modo da contrastare infiltrazioni nella Chiesa delle tesi avversate.
L’editto del 5 aprile 1775 ripristinava antichi divieti per gli ebrei ed evocava “il pericolo di sovversione” costituito da questi, divenne il punto di riferimento della politica papale antiebraica successiva. Coerentemente con queste scelte, il pontefice andò sempre più emarginando le forze intellettuali cattoliche riformatrici e tolleranti, aperte al rinnovamento della Chiesa e del suo rapporto con il mondo moderno, che avevano avuto modo di esprimersi nel pontificato precedente. L’affermazione dell’assolutismo e del primato del pontefice condussero prima all’isolamento, poi alla lotta aperta contro i giansenisti oramai pervenuti anch’essi a posizioni radicali.
Nel 1789, inoltre, il papa ordinò l’arresto di Cagliostro e di un piccolo circolo di massoni, romani e francesi: il processo che venne intentato dal Sant’Uffizio e la condanna a morte del Cagliostro, poi commutata nel carcere a vita nel 1791, colpirono molto l’opinione pubblica europea e costituirono un ulteriore segnale dell’irrigidimento papale.
Nel 1790, poi, furono proibite come sediziose le tragedie di V. Alfieri. I rapporti con gli Stati italiani ed europei divennero molto presto assai difficili per i contrasti relativi ai problemi dottrinali, ai conflitti giurisdizionali e alla questione dei Gesuiti. Mentre veniva ribadita la scomunica nei confronti dei vescovi della Chiesa olandese scismatica di Utrecht, soprattutto violento fu il contrasto con il riformismo ecclesiastico dell’imperatore Giuseppe II. Gli interventi di quest’ultimo concernevano nuove disposizioni relative alla legislazione matrimoniale, alle dispense e all’ammissione del divorzio, alla soppressione dei monasteri degli Ordini regolari contemplativi e delle Confraternite, alla riduzione e al disciplinamento delle feste, dei pellegrinaggi e di molte espressioni della devozionalità barocca, alla tolleranza nei confronti di ebrei e acattolici, alla riorganizzazione e valorizzazione delle parrocchie. Le riforme ecclesiastiche giuseppine, oltre a colpire le prerogative pontificie sulla base delle dottrine giurisdizionaliste e a smantellare i pilastri del sistema postridentino, puntavano inoltre a creare una Chiesa nazionale nel quadro della monarchia asburgica, operando in accordo con il rilancio delle idee episcopaliste che colpivano direttamente il primato pontificio. Tali idee erano state diffuse in Austria, fin dal 1763, dal libro De statu ecclesiae et legitima potestate Romani Pontificis di Giustino Febronio (Johann Nikolaus von Hontheim, vescovo suffraganeo di Treviri), poi, nel 1782, dal vero e proprio pamphlet antipapale, Was ist der Papst?, di Joseph Valentin Eybel, professore di diritto ecclesiastico all’Università di Vienna, che contestava l’infallibilità del papa. La ritrattazione dell’Hontheim del 1° novembre 1778, ottenuta dai nunzi di Colonia e Vienna, Bellisomi e Garampi, con cui quello riconosceva i diritti del papato, e assai desiderata da P. che la lesse in Concistoro e la fece pubblicare, benché molto esaltata dal “partito ultramontano”, non segnò che un’effimera vittoria. Nel tentativo di far recedere l’imperatore dalla sua politica ecclesiastica, P. si risolvette ad intraprendere, tra il febbraio e il giugno del 1782, il famoso viaggio a Vienna, prima uscita di un pontefice fuori dei confini dello Stato ecclesiastico dopo più di due secoli. Giuseppe II ricevette il papa come un sovrano estero qualsiasi, ma il viaggio del papa suscitò una vasta eco e vivaci discussioni negli ambienti colti e fu gravido di importanti conseguenze per il futuro, soprattutto sul piano della risposta e della mobilitazione popolari. L’entusiasmo e la devozione che suscitò lungo le tappe del percorso il “pellegrino apostolico” confermavano il papa “come il capo di una opposizione crescente contro le riforme che venivano dall’alto a sconvolgere la vita tradizionale”. Questo ruolo di guida prestigiosa dell’ondata crescente di reazione religiosa contro il regalismo e il riformismo dei sovrani rese, dunque, assai meno deludente il bilancio finale della visita papale. Inoltre, da parte del pontefice il viaggio a Vienna, se sul piano politico e diplomatico registrò una debole capacità di intervento romano, sul piano ideologico costituì uno spartiacque decisivo.
Pio VI non proclamò alcun santo, fece però numerosi beati, soprattutto tra i Francescani.
Come sovrano temporale giocò un ruolo attivo e dinamico nell’ammodernamento dello Stato ecclesiastico. Principe fastoso e magnifico, amante dello splendore delle cerimonie e generoso mecenate, egli diede un grande impulso alle iniziative artistiche e archeologiche e allo sviluppo della scienza antiquaria.
Gli interventi modernizzatori di Pio VI sulla realtà economica dello Stato furono numerosi e degni di nota.
Allo scoppio della Rivoluzione in Francia, P., nonostante la preoccupazione provocatagli dalle nuove vicende, adottò dapprima un atteggiamento prudente e prese tempo di fronte alle prime iniziative in materia religiosa. Tuttavia, in seguito ai rilevanti provvedimenti antiecclesiastici francesi espresse le sue preoccupazioni in una allocuzione concistoriale del 29 marzo 1790.
Con il breve Quod aliquantum del 10 marzo 1791 indirizzato ai vescovi, egli condannò in blocco non solo tutto l’operato dell’Assemblea nazionale costituente in campo ecclesiastico, poiché esso mirava a distruggere la religione cattolica, ma anche i principi di libertà e di eguaglianza che avevano guidato l’azione dei costituenti in campo politico, che egli definiva contrari ai diritti di Dio, nonché l’ideologia del contratto sociale, in virtù del carattere divino della organizzazione sociale.
Il breve di condanna aggravò la frattura in corso in Francia tra clero refrattario e clero costituzionale, con la contrapposizione tra due culti cattolici e due Chiese, e diedero avvio alla rottura tra cattolicesimo romano e Rivoluzione destinata a durare oltre il concordato napoleonico e ad influire anche sugli eventi successivi.
L’esecuzione di Luigi XVI (21 gennaio 1793), appresa con grande emozione dal papa che, in una allocuzione solenne al Sacro Collegio, il 17 giugno, conferì al sovrano defunto la qualifica di “martire”, l’assassinio quasi simultaneo alla morte del re del rappresentante francese a Roma Bassville (13 gennaio) da parte del popolo romano inferocito.
Con la campagna di Bonaparte in Italia, Pio VI si piegò a trattare con un Direttorio irriducibilmente ostile alla Santa Sede, deciso ad abbattere il potere temporale e a incamerarne le risorse. Tuttavia, proprio Bonaparte era ben consapevole dell’importanza di un intervento papale per la pacificazione religiosa interna e del vantaggio che ne poteva ricavare sul piano del potere personale: di qui le sue esitazioni di fronte alle sollecitazioni direttoriali di arrivare fino a Roma. Mentre il papa aderiva ad una coalizione di Stati italiani, nel giugno 1796, Bonaparte invase lo Stato della Chiesa e occupò le Legazioni fermandosi a Bologna e trattando con i rappresentanti papali un armistizio (23 giugno) con il quale impose pesanti condizioni e contribuzioni, in denaro e in opere d’arte, anche in riparazione dell’assassinio di Bassville, l’occupazione delle Legazioni e la liberazione dei prigionieri politici.
In realtà, la caparbietà del pontefice e dei suoi negoziatori nel tener distinte le due sfere, la temporale e la spirituale, non solo riuscì a salvare totalmente e a rafforzare quest’ultima, ma pose le premesse della stessa ricostituzione del potere temporale nella prima Restaurazione.
Il 10 febbraio 1798 truppe del generale Berthier entravano a Roma e il 15 febbraio venne proclamata dai patrioti nell’antico Foro la Repubblica Romana.
Mentre si andava organizzando il nuovo governo democratico, il vecchio papa non si mosse da Roma. La sua presenza e i suoi comportamenti di grande dignità e fermezza preoccupavano i Francesi che dapprima tennero il pontefice relegato nel Palazzo Vaticano e poi, il 20 febbraio, lo costrinsero a partire, con pochi familiari, per Siena, dove restò fino alla fine di maggio, raggiunto anche dal nipote Luigi. Da qui lo trasferirono nella Certosa di Firenze.
Nonostante l’aggravamento del suo stato di salute, P. continuò dall’esilio toscano ad occuparsi delle questioni religiose, a mantenere contatti diplomatici e a fornire istruzioni ai cattolici e ai suoi ex sudditi.
In questo periodo, il papa fu al centro di diversi tentativi del Direttorio di rompere l’unità della Chiesa cattolica e di determinare una crisi destabilizzante al suo interno: tentativi che rivelavano la percezione dei Francesi del ruolo ancora centrale del papato e, in particolare, del prestigio della stessa figura di Pio VI.
Era intenzione dei Francesi costringere il Braschi a rinunziare al papato e procedere poi all’elezione democratica del nuovo “patriarca d’Occidente” da parte del clero inferiore e del popolo di Roma, secondo l’antica consuetudine della Chiesa dei primi secoli.
Pio VI promulgò nuove disposizioni per il caso di sede vacante e a regolare le modalità di convocazione di un eventuale prossimo conclave. Suggeriva inoltre ai cardinali di trasferirsi nell’ex Stato veneto, sotto la protezione imperiale, sempre in vista di una prossima elezione.
Dopo l’occupazione del Granducato di Toscana da parte dei Francesi, alla fine di marzo del 1799, il papa fu condotto a Parma, poi a Torino e quindi avviato in Francia. Giunse a Briançon dove restò per due mesi. Infine, nel timore di un colpo di mano austro-russo per liberarlo, in giugno fu rimesso in viaggio in direzione di Valence, nella cui cittadella fu custodito e ove morì il 29 agosto 1799.
Se le prime esequie si svolsero a Valence, ove il corpo restò insepolto fino al 29 gennaio 1800, i novendiali per la morte di Pio VI ebbero luogo a Venezia, all’apertura del conclave; l’orazione funebre fu pronunciata in presenza del Sacro Collegio il 30 ottobre 1799. Tuttavia, la vicenda di P. non era terminata e anzi culminò sul piano simbolico nelle contese relative all’appropriazione del suo corpo.
Il successore Pio VII volle, infatti, riavere a Roma i resti del papa esule. Il 24 dicembre 1801 furono riesumate a Valence le spoglie papali che, imbarcate a Marsiglia per Genova, iniziarono da qui un trionfale viaggio di ritorno in cui ad ogni tappa venivano celebrate solenni esequie seguite da una folla venerante. Il 17 febbraio 1802 si svolse, dalla porta del Popolo, “il magnifico ingresso trionfale in Roma” delle spoglie del defunto pontefice, sormontate dal triregno papale, con una imponente processione che si snodò lungo un itinerario prestabilito fino alla basilica vaticana, ove vennero accolte da Pio VII e dal Sacro Collegio.
La glorificazione del corpo santo del papa morto “martire” si rifletteva inoltre sul papa vivente, Pio VII, rafforzandone il potere e il prestigio.
Lo stemma papale riprende l’arma dei Braschi, ma soprattutto, in modo quasi profetico, riprende le peregrinazioni di Pio VI durante il suo pontificato.
Il papa utilizzò quasi esclusivamente la versione semplificata dello stemma che si blasona: «Di rosso, al giglio di giardino d’argento, fiorito di tre pezzi, nodrito dal terrazzo di verde, inclinato in sbarra da uno zefiro uscente dal cantone destro del capo, il tutto del secondo, al capo dello stesso, caricato da tre stelle di otto raggi d’oro».
Solo nel suo primo anno di pontificato risulta che egli usò, e per lo più per coniare moneta, l’altro e più vecchio stemma familiare:
«Inquartato: nel 1° e 4° d’oro, all’aquila bicipite coronata di nero; nel 2° e 3° d’azzurro, alla fascia d’argento, caricata da tre stelle di sei raggi d’oro, ed accostata da due gigli dello stesso. Sul tutto, di rosso, al giglio di giardino d’argento, fiorito di tre pezzi, nodrito dal terrazzo di verde, inclinato in sbarra da uno zefiro uscente dal cantone destro del capo, il tutto del secondo, al capo dello stesso, caricato da tre stelle di otto raggi d’oro».
Note a cura di Bruno Fracasso
Liberamento tratto dall’Enciclopedia Treccani
STEMMA RIDISEGNATO

Disegnato da: Massimo Ghirardi
STEMMA ACS

STEMMA UFFICIALE

LOGO

BLASONATURA
«Di rosso, al giglio di giardino d’argento, fiorito di tre pezzi, nodrito dal terrazzo di verde, inclinato in sbarra da uno zefiro uscente dal cantone destro del capo, il tutto del secondo, al capo dello stesso, caricato da tre stelle di otto raggi d’oro».
ATTRIBUTI
SMALTI
OGGETTI
OGGETTI
ALTRE IMMAGINI
Stemma utilizzato nel primo anno di pontificato.
«Inquartato: nel 1° e 4° d’oro, all’aquila bicipite coronata di nero; nel 2° e 3° d’azzurro, alla fascia d’argento, caricata da tre stelle di sei raggi d’oro, ed accostata da due gigli dello stesso. Sul tutto, di rosso, al giglio di giardino d’argento, fiorito di tre pezzi, nodrito dal terrazzo di verde, inclinato in sbarra da uno zefiro uscente dal cantone destro del capo, il tutto del secondo, al capo dello stesso, caricato da tre stelle di otto raggi d’oro».

LEGENDA