Ordine Camaldolese


Ordine Camaldolese

La Congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto (in latino Congregatio camaldulensis; sigla O.S.B. Cam.) è un istituto religioso maschile di diritto pontificio costituito da eremi e monasteri sui iuris.

Le origini della congregazione risalgono al movimento eremitico promosso da san Romualdo nell’ambito del monachesimo benedettino. Romualdo fu fondatore o riformatore di una trentina di monasteri, soprattutto di quelli di Camaldoli e Fonte Avellana, i maggiori depositari dell’ideale romualdino di vita monastica ed eremitica.

Il primo corpo legislativo dei monaci camaldolesi fu compilato, sulla base degli insegnamenti di Romualdo, dal quarto priore del sacro eremo di Camaldoli, Rodolfo; intorno al monastero di Fonte Avellana, san Pier Damiani organizzò il primo raggruppamento di case istituite da Romualdo, approvato da papa Gregorio VII nel 1076.

Romualdo nacque a Ravenna dal duca Sergio e abbracciò ventenne la vita monastica tra i benedettini dell’abbazia di Sant’Apollinare in Classe. Si spostò poi a Venezia, dove si pose sotto la direzione dell’eremita Marino, e nel 978 seguì l’abate Guarino nel suo monastero di San Michele di Cuixá, sui Pirenei.

Presso l’abate Guarino, Romualdo apprese gli ideali del monachesimo cluniacense, ma poi si ritirò a condurre vita eremitica a Longadera insieme con Marino, l’ex doge Pietro Orseolo e i nobili Giovanni Morosini e Giovanni Gradenigo, giunti con lui a Cuixá da Venezia.

Rientrato a Ravenna, per volere dell’imperatore Ottone III nel 998 fu eletto abate di Sant’Apollinare in Classe, ma presto rinunciò all’ufficio e, dopo aver visitato Montecassino, fondò un eremo nei pressi di Roma che poi trasferì al Pereo, presso Ravenna.

Nel corso delle sue continue peregrinazioni per l’Italia centrale fondò e riformò numerosi eremi e monasteri, i più importanti dei quali furono quelli di Camaldoli, nel 1012 e di Fonte Avellana.

Camaldoli, nel Casentino, fu fondato da Romualdo e sorse su un terreno che il signore del luogo, Maldolo, gli aveva donato dopo un sogno: una scala partiva da quel sito e si innalzava fino in cielo, percorsa da una moltitudine di monaci vestiti di bianco. Dal nome del donatore, il luogo prese il nome di Campus Malduli, ovvero Ca’ Maldoli.

L’eremo di Camaldoli era costituito da poche celle allineate attorno a un piccolo oratorio e divise tra loro da un alto muro.

Contemporaneamente all’eremo, in una località da esso distante tre miglia, sorse il cenobio di Fontebona: gli eremiti di Camaldoli e i cenobiti di Fontebona formavano un’unica comunità sotto la guida del priore dell’eremo. Il cenobio era sede dell’amministrazione dei beni comuni, vi venivano accolti gli ospiti e ricoverati i religiosi infermi.

La principale novità della riforma romualdina non consistette tanto nell’unione tra eremo e cenobio, ma nell’esistenza di un unico superiore residente nell’eremo: il cenobio aveva una funzione quasi protettiva rispetto all’eremo, perché permetteva agli eremiti di dedicarsi alla contemplazione senza preoccupazioni di carattere economico e amministrativo.

Nel 1072 papa Alessandro II concesse a Camaldoli e a tutte le sue dipendenze il privilegio dell’esenzione dall’autorità vescovile e la protezione apostolica.

Per i primi anni i camaldolesi si ressero a norma della regola di san Benedetto e dell’insegnamento orale di san Romualdo.

Nel 1080 il beato Rodolfo, quarto priore di Camaldoli, scrisse le prime costituzioni, basandosi sugli insegnamenti del fondatore, stabilendo le norme sul rapporto fra cenobio ed eremo, uniti sul tipo dei monasteri orientali, e chiarendo lo scopo prevalentemente eremitico del monachesimo camaldolese. Nuove costituzioni furono pubblicate, nel 1253, dal priore generale Martino e rimasero sostanzialmente invariate sino al pontificato di papa Pio V quando questi concesse le Consititutiones camaldulenses nel 1572.

L’approvazione della Santa Sede però, era già stata concessa da papa Pasquale II con bolla del 4 novembre 1113

La riforma camaldolese riguardò anche altri centri come Sant’Apollinare in Classe, San Silvestro al Subasio, Santa Maria della Vangatizza.

Grazie all’opera di san Pier Damiani il monastero raggiunse una grande prosperità e un gran numero di monaci furono innalzati alla dignità vescovile e lo stesso Pier Damiani fu chiamato a riformare i monasteri di Pomposa e San Vincenzo a Fossombrone.

Dopo il riconoscimento pontificio, i camaldolesi si diffusero rapidamente in Toscana, Emilia, Romagna, Veneto, Sardegna e Corsica.

Dal XII al XIV secolo i papi videro in Camaldoli un baluardo di osservanza monastica. Gli archivi e le biblioteche di Camaldoli, Fonte Avellana, San Michele di Murano e Sant’Apollinare in Classe raccolsero numerosi e notevoli documenti e manoscritti.

A partire dal Cinquecento si formarono gruppi minori desiderosi di far rifiorire lo spirito della primitiva osservanza.

Per i primi tempi i camaldolesi condussero una vita essenzialmente eremitica, ma poi adottarono in gran parte una forma di vita cenobitica. Tra i monasteri di vita eremitica e quelli di vita cenobitica si venne a creare uno spirito antagonistico, tanto che, nel 1616, papa Urbano VIII divise l’ordine nella congregazione degli Eremiti camaldolesi di Toscana e quella dei Cenobiti camaldolesi.

Le leggi eversive dell’asse ecclesiastico del 1866 causarono la dissoluzione di numerose comunità in Italia.

Con la costituzione Inter religiosos, del 9 luglio 1935, papa Pio XI riunì i due rami nella Congregazione dei monaci-eremiti camaldolesi dell’Ordine di San Benedetto.

Nel 1966 la congregazione si è unita alla confederazione benedettina.

I monaci camaldolesi conducono una vita eminentemente contemplativa, caratterizzata da stretta astinenza e silenzio, e uniscono la vita cenobitica a quella eremitica: gli eremiti vivono in celle separate all’interno del recinto dell’eremo e sono dediti principalmente alla salmodia; i cenobiti vivono in edifici comuni e si dedicano a opere di ministero spirituale. Coltivano anche gli studi e le arti e si dedicano al lavoro manuale, particolarmente all’agricoltura e alla silvicoltura.

L’abito monastico dei camaldolesi è interamente di colore bianco, come simbolo di innocenza interiore, ed è costituito da tunica, scapolare, cappuccio e cingolo in tessuto; sopra la tonaca, durante le funzioni liturgiche indossano la cocolla o, al di fuori delle funzioni, la “capperuccia”.

 

Lo stemma dell’ordine reca, in un campo azzurro, un calice d’oro ai lati del quale due colombe d’argento si affrontano nell’atto di abbeverarsi; nel Seicento il calice viene sormontato da una stella o da una cometa d’oro e lo scudo viene timbrato da un cappello prelatizio, mitria e pastorale. Il motto della congregazione è Ego vobis, vos mihi, ovvero “Io sono per voi, voi siete per me”.

Tale stemma compare per la prima volta nel 1183 come sigillo del priore di Camaldoli e viene poi adottato da quasi tutti i monasteri e le congregazioni.

L’insegna è probabilmente ripresa da un popolare simbolo eucaristico medievale, ma fu spesso interpretato come allegoria dell’ascesi camaldolese poiché si ritiene che le due colombe rappresentino i cenobiti e gli eremiti che si abbeverano allo stesso calice, ovvero Cristo.

 

Note di Bruno Fracasso

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

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