Certosa di San Lorenzo in Padula
Certosa di San Lorenzo in Padula
Storia e informazioni
Questo celebre monastero certosino è situato nel territorio del Vallo di Daino, nel Comune di Padula (Salerno).
L’enorme complesso di edifici si distende su una superficie di 51500 m², disposti su tre chiostri, un giardino, un cortile ed una chiesa, ed è uno dei più sontuosi complessi monumentali barocchi del sud Italia, nonché la più grande certosa italiana e tra le maggiori d’Europa.
Dal 1957 ospita il museo archeologico provinciale della Lucania occidentale; nel 1998 è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO assieme ai vicini siti archeologici di Velia, Paestum, al Vallo di Diano e al parco nazionale del Cilento.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali ne gestisce il patrimonio storico-artistico tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. È visitato da oltre 70.00 visitatori all’anno.
I lavori di fondazione iniziarono il 28 gennaio 1306, per volere del conte di Marsico, Tommaso II Sanseverino, sotto la supervisione del priore della Certosa di Trisulti. Nel luogo si trovava già una grangia benedettina dell’abbazia di Montevergine dedicata a San Lorenzo. Il 17 aprile dello stesso anno, poi, il re Carlo II d’Angiò “lo Zoppo” ne confermò la fondazione.
Il Sanseverino donò all’ordine religioso dei certosini il complesso monastico per ragioni politiche: con la costruzione della Certosa voleva ingraziarsi i reali angioini del Regno di Napoli: i certosini erano un ordine religioso francese (la casa generalizia, fondata nel 1084 da San Bruno di Colonia, si trovava vicino sul massiccio montuoso della Grande Chartreuse presso Grenoble) e, quindi, la fondazione di una certosa a Padula non poteva che essere gradita al sovrano di cui Sanseverino era un potente vassallo. Inoltre i certosini avrebbero intrapreso la bonifica delle zone paludose presenti nel territorio del Vallo di Diano. Nacque così il secondo luogo certosino nel sud Italia, dopo la certosa di Serra San Bruno in Calabria, e la prima certosa della Campania.
L’attività commerciale dei beni primari prodotti nella certosa fu per molti secoli fondamentale in quell’area, potendo infatti contare su dei grandi campi fertili circostanti dai quali i monaci ricavavano vino, olio di oliva, frutta ed ortaggi per il loro ma soprattutto per la commercializzazione con l’esterno e avevano il controllo delle vie che portavano alle regioni meridionali del Regno di Napoli.
Caduti i Sanseverino nella metà del Quattrocento con la congiura dei baroni, i loro possedimenti andarono direttamente ai monaci certosini di Padula, divenendo così loro stessi feudatari dei terreni e del villaggio, nonché tra i principali baroni del Regno. Tra il XVI e il XVIII secolo fiorì il periodo di massimo splendore per il complesso di San Lorenzo.
Nel Cinquecento il complesso ospitò pellegrinaggi illustri, come Carlo V che vi soggiornò con il suo esercito nel 1535 di ritorno dalla battaglia di Tunisi (risale a quell’evento la tradizione secondo la quale i monaci prepararono una frittata di mille uova). Nello stesso periodo, successivamente al Concilio di Trento, si aggiunse alla struttura trecentesca il chiostro della Foresteria e la facciata monumentale nel cortile interno.
Nei secoli successivi, a partire dal 1583, la certosa subì estesi rimaneggiamenti, avviati dal priore Damiano Festini, che durarono fino alla seconda metà del XVIII secolo determinandone l’attuale disposizione architettonica barocca.
Tra il XVI e XVII secolo l’attività produttiva-commerciale della certosa crebbe e divenne così importante che fu necessario istituire nei territori vicini, dalla bassa provincia di Salerno fino in Basilicata, grancie e anche feudi, come a Sala Consilina dove in 1500 ettari di spazio nacque la grangia di San Lorenzo, o come a Pisticci, dove fu istituita quella di Santa Maria.
Durante i due secoli, il sito fu ancora una volta ampliato: con la realizzazione del chiostro grande, il refettorio e il famoso ellittico del retro che, datato 1779, è di fatto l’ultima opera architettonica della certosa, prima della soppressione dell’ordine da parte dei francesi.
Nel 1807, durante il decennio di governo di Gioacchino Murat, l’ordine certosino fu soppresso e anche i monaci della certosa, furono costretti a lasciare il monastero che fu destinato a diventare una caserma. I tesori d’arte e i volumi della biblioteca andarono dispersi (molti andarono a formare il Museo Reale di Napoli) e la chiesa fu spogliata delle tele seicentesche che possedeva.
Con la Restaurazione del regno borbonico i certosini rientrarono nel complesso. Per ridare lustro al complesso furono commissionate in questo periodo alcuni dipinti in sostituzione di quelle rubati, di fatto però il solo refettorio sarà l’unico ambiente artisticamente ripristinato.
La certosa non riuscirà mai più ad avere il ruolo che aveva precedentemente.
Nel 1866, dopo l’unità d’Italia, l’ordine fu nuovamente soppresso e i monaci dovettero nuovamente lasciare, definitivamente, la certosa, che verrà dichiarata monumento nazionale nel 1882.
Durante le due guerre mondiali della prima metà del Novecento il complesso fu usato come campo di prigionia.
Anche questa casa dell’Ordine Certosino ha adottato stabilmente una variante del monogramma CAR, abbreviazione del latino CARTHUSIAE (Certosa), sormontato e intrecciato alla croce, analogamente ad altri monasteri confratelli.
Alcuni priori, soprattutto del XVII e XVIII secolo, adottarono un vero a proprio stemma, con le insegne abbaziali, che si può vedere ancora oggi nelle suppellettili d’uso del monastero: all’interno dello scudo sono rappresentati un pastorale posto in decusse con un ramo vegetale (di palma o d’olivo) fuoriuscenti da una mitra (talvolta sostituita o integrata da una corona), il tutto sormontante una graticola, strumento del martirio del diacono san Lorenzo.
2025, Massimo Ghirardi
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