Cardinale Pietro Bembo


Cardinale Pietro Bembo

Il Cardinale Pietro Bembo è nato a Venezia il 20 maggio 1470 e morto a Roma il 18 gennaio 1547 è stato un cardinale, scrittore, grammatico, poeta e umanista italiano.

Appartenente a una nobile famiglia veneziana, fin dalla gioventù, Pietro Bembo ebbe modo di costruirsi una solida formazione e reputazione letteraria grazie ai contatti con l’ambiente paterno e, in seguito, all’amicizia con Ludovico Ariosto, con Baldassarre Castiglione e alla consulenza per Aldo Manuzio. Il suo merito principale fu quello di contribuire in maniera significativa alla «codificazione dell’italiano scritto», uniformato al modello boccacciano, nell’opera che più di tutte lo ha reso famoso, «la grammatica più importante dell’intera storia dell’italiano», ossia le Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua del 1525. Altrettanto decisivo fu il suo ruolo nella diffusione in tutta Europa del modello poetico petrarchista, legato a rime amorose dal sapore platonicheggiante a Maria Savorgnan e a Lucrezia Borgia. Dopo una vita avventurosa tra le varie corti italiane fu nominato cardinale nel 1539 da papa Paolo III, morendo a Roma nel 1547.

Discende dall’antica famiglia patrizia dei Bembo. I genitori erano Bernardo, importante uomo politico ed egli stesso umanista, ed Elena Marcello. La famiglia era impegnata attivamente nei traffici commerciali e nella produzione della ricchezza di Venezia che stava vivendo una vera «età dell’oro.

Pietro, nel 1478, seguì il padre, senatore della Serenissima, a Firenze, dove conobbe Lorenzo il Magnifico e imparò ad apprezzare il toscano, che avrebbe preferito alla lingua della sua città natale per tutta la vita. Nel decennio successivo fu a Roma alla corte di Innocenzo VIII e poi a Bergamo, dove il padre fu nominato dalla Serenissima podestà. Tuttavia non intraprese la carriera politica, preferendo dedicarsi a quella puramente letteraria.

Dal momento che desiderava conoscere il greco antico, dal 1492 al 1494 studiò la lingua greca a Messina con il famoso grecista Costantino Lascaris.

Ritornato a Venezia, collaborò attivamente con il tipografo Aldo Manuzio con la pubblicazione il 28 febbraio 1495 della prima aldina, la grammatica greca di Costantino Lascaris.

Il suo esordio letterario avvenne con l’edizione, stampata dallo stesso Manuzio nel febbraio 1496, del dialogo latino De Aetna ad Angelum Chabrielem liber.

Pietro Bembo, successivamente, si laureò all’Università degli Studi di Padova. Il padre Bernardo, nel 1497, fu nominato ambasciatore ufficiale della Serenissima, a Ferrara, che gli Este avevano trasformato in un importante centro letterario e musicale.

Nei due anni (1497-1499) in cui rimase assieme al genitore nella città emiliana, il giovane Bembo incontrò Ludovico Ariosto, col quale strinse profonda amicizia e iniziò ad elaborare Gli Asolani, opera che portò a termine nel 1505 e che furono stampati con i tipi del Manuzio.

Nel 1499 Pietro fu costretto dal padre a rientrare a Venezia e, nell’ottobre 1502, poté tornare a Ferrara, soggiornando nella villa di Ostellato. Nella capitale del piccolo ducato conobbe Lucrezia Borgia, all’epoca moglie del principe ereditario Alfonso d’Este. Con Lucrezia ebbe un appassionato corteggiamento epistolare e forse anche una relazione, che almeno in apparenza rimase solo platonica.

Nell’aprile 1505 seguì il padre a Roma in ambasceria per conto della Serenissima, ma, anziché rientrare nella città lagunare, si fermò alla corte di Urbino.

Fra il 1506 e 1512, grazie ai buoni uffici della duchessa Elisabetta Gonzaga, Pietro visse a Urbino, dove iniziò a scrivere una delle sue opere maggiori, le Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua, con cui assurse ai più alti livelli della sua carriera di umanista.

Il soggiorno a Urbino non doveva però essere così lungo poiché Bembo era deciso ad avviarsi alla carriera ecclesiastica per sostenersi. Ottenne la commenda di san Giovanni di Bologna e dell’Ordine gerosolomitano, ma non poté recarsi a Roma per la politica bellicosa di papa Giulio II Della Rovere ai danni sia di Urbino sia di Venezia.

Nel 1513 morì Giulio II e gli succedette il ben più mite Leone X (1513-1521) che, conoscendolo di persona e sapendo della sua fama di letterato, lo nominò datario degli abbreviatori. Entrato al servigio di Leone X e divenuto amico del cardinale Giulio de’ Medici, futuro Papa Clemente VII, Pietro Bembo protesse molti letterati ed eruditi presenti nella capitale.

Durante il papato mediceo Bembo «fu uno dei protagonisti della vita culturale romana» e poté così accumulare vari benefici a Bologna o nell’abbazia benedettina di S. Pietro di Villanova presso Vicenza. In sostanza Bembo, pur di continuare indisturbato la sua carriera letteraria, fu spinto ad abbracciare la carriera ecclesiastica.

Nel febbraio 1522, dopo la morte di Leone X e l’ascesa al soglio pontificio dell’olandese Adriano VI, Pietro Bembo, con la scusa della cattiva salute, decise di abbandonare Roma a favore della sua antica patria, stabilendosi a vita privata a Padova e portando con sé dalla città papale Ambrogina Faustina Morosina della Torre, l’amante conosciuta probabilmente nella città papale nel 1513 che, nonostante Bembo avesse professato i voti religiosi entrando nell’Ordine Gerosolomitano, gli diede tre figli..

Nel 1525, pubblicò a Venezia le Prose della volgar lingua, che dedicò a papa Clemente VII. Il 26 settembre dello stesso anno Bembo, sessantenne, ricevette l’incarico di storiografo ufficiale della Repubblica di Venezia e di bibliotecario della Biblioteca Marciana.

Grazie alle sue conoscenze e alla volontà da parte del pontefice di riempire il Sacro Collegio di uomini valenti, il 19 marzo 1539, fu creato cardinale diacono, con titolo di San Ciriaco in thermis e la nomina cardinalizia lo riportò a Roma, dove, sempre nel 1539, fu ordinato sacerdote.

Il 29 luglio 1541 fu nominato amministratore apostolico di Gubbio quale successore di Federico Fregoso, mentre si trovava a Venezia in compagnia della figlia Elena, che si sposò nel 1543 con Pietro Gradenigo. Entrato a Gubbio l’11 novembre 1543, Bembo rimase nella città umbra fino al 18 febbraio 1544, data in cui divenne amministratore apostolico della diocesi di Bergamo. La diocesi lombarda, ben più ricca di quella eugubina, gli consentì di sanare i debiti che aveva contratto nel 1543 a causa della cospicua dote concessa alla figlia per il matrimonio. Ma un po’ per l’età avanzata e un po’ per la gotta, non si recò mai a Bergamo, nominando Vittore Soranzo, suo pupillo, come vescovo coadiutore con diritto di successione.

Morì in seguito ad una febbre a Roma, all’età di 76 anni, il 18 gennaio 1547, nella casa che fu di Giovanni Della Casa, con al fianco l’amico e confratello cardinale Reginald Pole. Fu sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva; la sua lastra tombale è collocata sul pavimento, dietro l’altare maggiore.

Anche nella Basilica di Sant’Antonio a Padova si trova un monumento dedicato al cardinale, opera del grande architetto Andrea Palladio, con il suo busto scolpito da Danese Cattaneo.

 

Lo stemma del Cardinale Pietro Bembo si blasona: “D’azzurro allo scaglione d’oro accompagnato da due rose araldiche poste due in capo e una in punta dello stesso”.

Lo stemma da cardinale non è altro che quello di famiglia corredato dalle insegne di rango, senza croce astile, giacché Bembo non era vescovo, i suoi titoli cardinalizi furono infatti:

cardinale-diacono di San Ciriaco alle Terme Diocleziane (1539-1542)

cardinale-presbitero di San Crisogono (1542-1544)

cardinale presbitero di San Clemente (1544-1539)

anche se ebbe l’incarico di Amministratore Apostolico (durante le sedi episcopali vacanti) di Gubbio (1541-1544) e di Bergamo (1544-1547), ossia preposto al governo temporaneo o permanente di una circoscrizione ecclesiastica cattolica a nome del papa.

Negli stemmari anche il numero di nappe (fiocchi) rossi pendenti dal galero cardinalizio è variabile (sovente solo sei per parte) dato che la codificazione con 15 nappe è solo del XIX secolo.

 

Note di Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Altre immagini



Profilo araldico


“D’azzurro allo scaglione accompagnato da tre rose, il tutto d’oro”.

Oggetti dello stemma:
rosa
Pezze onorevoli dello scudo:
scaglione

LEGENDA

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