Cardinale Gil Álvarez Carrillo de Albornoz


Cardinale Gil Álvarez Carrillo de Albornoz

Lo stemma del celebre cardinale Albornoz è molto semplice, fatto che ne testimonia l’antichità e si blasona: “d’oro alla banda di verde”.
Lo scudo è cimato da una croce doppia d’oro di rango arcivescovile e sormontato da un cappello cardinalizio con cordoni e fiocchi laterali (in numero variabile: più sovente 6 per lato).

 

Gil Álvarez Carrillo de Albornoz (meglio noto in Italia come Egidio Albornoz), nacque a Carrascosa del Campo (Cuenca), nel 1310, da Don Garcia, discendente da Alfonso V, re di Léon, e Teresa de Luna, della casa reale di Aragona. Suo fratello Alvaro Garcia fu un valente uomo d’armi.

Laureato in legge a Tolosa, ricevette la nomina di Cancelliere, Elemosiniere Reale, e poco dopo quella di Arcidiacono, nonché membro del prestigioso Ordine dinastico Militare di Calatrava, infine, quella di Arcivescovo di Toledo (e Primate di Castiglia) il 13 maggio 1338 succedendo nella carica allo zio materno Ximenes de Luna, che lo aveva avviato alla carriera ecclesiastica.

 

Durante la campagna di “riconquista” di re Alfonso XI di Castiglia fu al suo fianco e celebre è l’episodio avvenuto a Rio Salado (Tarifa) nel quale salvò la vita al re il 30 ottobre 1340, in seguito si distinse nella battaglia di Algeciras nel 1344. Cionostante non trascurò i suoi doveri di arcivescovo di Toledo: indisse due sinodi, uno a Toledo, nel maggio 1339, l’altro ad Alcalá, nell’aprile 1347.

 

Nel marzo 1350, ad Alfonso XI succedette il figlio Pedro detto “El Cruel”, che fu in varie occasioni duramente ripreso dall’Albornoz per la sua crudeltà e lussuria. Per questo motivo il re maturò un odio mortale nei suoi confronti e cercò di ucciderlo.

 

L’arcivescovo si rifugiò alla corte papale di Avignone, dove fu accolto benevolmente da Clemente VI, che era stato suo insegnante a Tolosa, che lo creò cardinale, del titolo di San Clemente il 17 dicembre 1350, che consentì all’Albornoz di rassegnare le dimissioni dalla carica di arcivescovo di Toledo.

 

Dopo due anni e mezzo, Innocenzo VI, anche in previsione del possibile ritorno del papato nella sede di Roma (che avvenne infatti una quindicina di anni dopo), lo incaricò di restaurare l’autorità papale nei territori della Chiesa in Italia. Durante il lungo periodo di soggiorno dei papi ad Avignone, infatti, i loro territori in Italia, pur essendo sempre rimasti nominalmente sotto l’autorità della Chiesa, di fatto erano da tempo in mano a diversi signori locali che esercitavano il loro potere in una situazione di quasi completa anarchia.

 

La bolla pontificia che lo nominava Legato e vicario generale degli Stati della Chiesa con poteri straordinari (vicario generale terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italiane partibus citra Regnum Siciliae) fu emanata il 30 giugno 1353. Con l’accorpamento della carica di legato a quella di vicario generale Albornoz ebbe la più ampia libertà d’azione in campo politico, nell’organizzazione dell’amministrazione e nei rapporti coi sudditi.

 

Scese in Italia nell’autunno 1353 alla testa di un piccolo esercito di mercenari. Dopo essersi assicurato il supporto dell’influente arcivescovo Giovanni Visconti di Milano e di quelli di Pisa, Firenze e Siena, iniziò le sue operazioni militari contro il potente Giovanni di Vico, prefetto di Roma, signore di Viterbo e usurpatore di vasta parte dei territori papali che venne sconfitto nella battaglia di Orvieto del 10 marzo 1354.

 

L’Albornoz, a questo punto, rivolse la sua attenzione al recupero della Marca di Ancona e delle Romagne. Dopo essersi guadagnato l’appoggio di Gentile da Mogliano di Fermo e di Rodolfo da Varano di Camerino, iniziò le operazioni militari contro i Malatesta di Rimini.

 

Il cardinale affidò il comando supremo del proprio esercito a Rodolfo da Varano che riportò una vittoria schiacciante su Galeotto I Malatesta intorno a Paterno, un castello di Ancona. Il 2 giugno 1355 fu sottoscritto il trattato di pace con i Malatesta che fu approvato da Innocenzo VI il 20 giugno. Da quel momento in poi i Malatesta divennero fedeli alleati delle forze pontificie.

Ad Ancona, il cardinale edificò una grande rocca che doveva servire anche come sede del pontefice nella Marca, una volta che fosse tornato in Italia (verrà distrutta dal popolo dopo l’assedio del 1383, al fine di ristabilire l’antica autonomia cittadina).

 

La sottomissione dei Malatesta fu presto seguita da quella dei Montefeltro, che portò Urbino e Cagli sotto l’influenza papale. Poco dopo, la città di Senigallia e i signori di Ravenna e Cervia (i fratelli Bernardino e Guido da Polenta) si sottomisero al cardinale.

Verso la fine del 1355 l’Albornoz fu nominato vescovo della Sabina.

 

Francesco II degli Ordelaffi, Signore di Forlì, e il suo alleato Giovanni di Ricciardo Manfredi, Signore di Faenza, si rifiutarono ostinatamente di sottomettersi. Nel 1356, per ordine del Papa, fu proclamata una crociata contro di loro. I Manfredi non se la sentirono di continuare nella lotta e cedettero Faenza all’Albornoz il 10 novembre 1356, ma l’Ordelaffi e sua moglie, la bellicosa Marzia degli Ubaldini, rifiutarono di sottomettersi.

 

A questo punto il cardinale chiese ad Innocenzo VI di poter rientrare ad Avignone, e il papa inviò Androin de la Roche, Abate di Cluny, per sostituirlo in Italia.

 

Prima di tornare ad Avignone, il cardinale incontrò a Fano tutti i vicari dei territori pontifici il 29 aprile 1357, alla presenza dei quali pubblicò le sue famose Costituzioni degli Stati Papali, Constitutiones Sanctæ Matris Ecclesiæ, note anche come “Costituzioni egidiane”, nelle quali si regolavano tutte le questioni relative allo Stato Pontificio. Il territorio veniva diviso nelle seguenti province: Campagna e Marittima, Ducato di Spoleto, Marca anconitana, Patrimonio di San Pietro in Tuscia e Provincia Romandiolæ (Romagna).

 

Il 23 ottobre l’Albornoz giunse ad Avignone, dove fu ricevuto dal Papa con i massimi onori e fu salutato come Pater Ecclesiæ.

 

Il suo successore in Italia, l’Abate di Cluny, abbandonò i metodi militari per trattare con buoni risultati con l’esperto e valoroso Francesco Ordelaffi. Tuttavia, gli intrighi di Giovanni di Vico (il prefetto di Roma) nell’Alto Lazio e in Umbria e nuove minacce verso l’Urbe richiesero nuovamente la presenza dell’Albornoz in Italia.

 

Il papa gli ordinò di tornare nel dicembre 1358 e il cardinale si fece affiancare dal valoroso e fedele nipote Gomez, figlio di Alvaro Garcia, che diverrà Legato a sua volta. Immediatamente, ricominciò le operazioni militari della crociata contro i Forlivesi (in realtà, si trattò di quattro crociate consecutive), diretta in particolare contro l’Ordelaffi, i cui tentativi di assoldare Konrad von Landau, detto il conte Lando, e la sua Grande Compagnia furono frustrati da un contratto siglato dal cardinale con il Lando stesso. L’Ordelaffi, dopo un’ultima fortunata operazione militare, fu finalmente costretto a trattare, per l’esaurirsi delle risorse, il 4 luglio 1359 e lo stesso giorno il cardinale prese possesso di Forlì, insediando nel Palazzo del Comune sia la sua cancelleria sia la propria residenza, comprensiva di una sala consiliare.

 

Nel 1360 l’Albornoz fu oggetto di un attentato, fallito, a Forlimpopoli: la rappresaglia che ne seguì comportò gravi distruzioni alla cittadina, il trasferimento della sede episcopale a Bertinoro e la traslazione delle reliquie di San Ruffillo a Forlì.

 

Una volta riconquistate tutte le terre della Chiesa, negli anni sessanta del XIV secolo il cardinale avviò un progetto di fortificazione militare dello stato, chiamata la “politica delle Rocche”, con la quale provvide a far edificare una serie di fortificazioni che andarono a costituire una sorta di spina dorsale armata lungo l’asse longitudinale Romagna-Marche-Umbria-Lazio con l’obiettivo di tenere sotto controllo i territori riconquistati

Il territorio pontificio ritornò nella quasi totalità sotto l’autorità papale. Rimase Bologna, che venne recuperata in seguito ad una complessa trattativa con i Visconti. Al principio degli anni sessanta, Giovanni Visconti da Oleggio, che governava su Bologna, entrò in guerra con Bernabò Visconti di Milano, che mirava ad ottenerne la signoria. Non potendo contrastare il potente Bernabò, il 17 novembre 1360 Giovanni Visconti consegnò la città al cardinale Albornoz, che in precedenza aveva cercato invano di raggiungere un compromesso con Bernabò. L’Albornoz cedette in cambio al Visconti la città marchigiana di Fermo.

 

Nel frattempo Innocenzo VI morì (12 settembre 1362) e pare che all’Albornoz venisse offerta la tiara, ma rifiutò e fu eletto il francese Guglielmo di Grimoard, che assunse il nome di Urbano V. Sotto di lui l’Albornoz continuò le operazioni militari contro Bernabò, la cui ostinata resistenza fu il principale ostacolo alla crociata che il nuovo papa voleva intraprendere contro i Turchi.

Quando tutti gli altri tentativi fallirono, nella primavera del 1363 il papa proclamò una crociata contro Bernabò. In aprile, il cardinale riportò una vittoria a Solarolo, presso Faenza.

 

Urbano V però dette credito ai nemici del cardinale, che lo accusavano di essersi appropriato del denaro pontificio e, a causa di ciò, l’amministrazione della Romagna fu tolta all’Albornoz e affidata all’arcivescovo di Ravenna. In conseguenza di questo, il cardinale chiese di essere richiamato dall’Italia e scrisse una lettera al papa nella quale faceva un resoconto della sua gestione. Il papa si rese conto del suo errore e, in risposta, concesse il dovuto riconoscimento per l’inestimabile servizio che l’Albornoz aveva reso al papato.

 

Nel 1367 Urbano V tornò a Roma; l’Albornoz lo ricevette a Viterbo, ma non riuscì ad accompagnarlo a Roma, visto che morì il 24 agosto 1367.

Secondo il suo desiderio fu sepolto nella Basilica di San Francesco d’Assisi, nella Cappella di Santa Caterina, da lui stesso commissionata all’architetto Matteo Gattaponi, che per il Cardinale aveva già progettato molte fortificazioni. Quattro anni dopo, i suoi resti furono però traslati nella cattedrale primaziale di Toledo.

 

Al cardinale Albornoz si deve la fondazione a Bologna nel 1365, del Collegio di Spagna (Domus Hispanica), uno dei più antichi Collegi Universitari al mondo, da lui riccamente dotato per testamento, per permettere agli studenti spagnoli di frequentare l’Università. Istituto ancora fiorente gestito dallo Stato spagnolo con la denominazione di Reale Collegio Maggiore di San Clemente degli Spagnoli e/o Reale Collegio di Spagna, godendo lo status di extraterritorialità.

 

Note di Massimo Ghirardi

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

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“D’oro alla banda di verde”

Colori dello scudo:
oro
Pezze onorevoli dello scudo:
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