Capitolo della Pontificia Basilica Cattedrale di Brindisi


Capitolo della Pontificia Basilica Cattedrale di Brindisi

Brindisi è ritenuta la più antica sede vescovile di Puglia e il Capitolo costituì la primigenia comunità presbiteriale adunata attorno al primo vescovo san Leucio.

La prima cattedrale brindisina fu consacrata da papa Urbano II nel 1089 (anche se l’edificio primitivo fu completato nel 1143 ed aveva le forme simili alla basilica di San Nicola a Bari) e con bolla di Onorio III, del 6 ottobre 1219, il Capitolo è stato posto sotto l’immediata protezione del Sommo Pontefice (l’importanza del provvedimento è rilevante e ripetutamente menzionato nelle conclusioni capitolari quali quella del 19 giugno 1664).

Come altrove il Capitolo della Cattedrale di Brindisi è il collegio dei sacerdoti a cui spetta assolvere alle funzioni più solenni della Chiesa Cattedrale, in comunione con il Vescovo (che gode del titolo di “arcivescovo” e titolare delle Diocesi unite di Brindisi e Ostuni, suffraganee di Lecce, infatti con la bolla De utiliori del 27 giugno 1818, papa Pio VII soppresse la diocesi di Ostuni, unendone il territorio a quello di Brindisi, che così perse l’unica sua sede suffraganea. Tuttavia la diocesi di Ostuni fu ristabilita il 14 maggio 1821 e concessa in amministrazione perpetua a Brindisi) e per adempiere ai compiti che gli sono affidati dal Diritto Canonico, dagli Statuti, e dal Vescovo diocesano stesso, a norma del can. 503 C. J. C. secondo l’art. 1 dello Statuto ha sede nella Chiesa Cattedrale (“Duomo”) della Visitazione di Maria e di San Giovanni Battista, che è stata insignita del titolo di Basilica Pontificia da Papa Pio IX il 30 luglio 1867. L’attuale edificio è una ricostruzione del 1746, dopo che quello precedente venne pesantemente danneggiato dal terremoto di tre anni prima.

Il collegio canonicale, già nella prima metà del XIII secolo, conduceva vita comune e comprendeva tre dignità: l’Arcidiacono, il Cantore e il Tesoriere. Era formato complessivamente da 29 ecclesiastici: tre dignità, nove canonici, diciassette partecipanti con beneficio; si avvaleva, inoltre, di un diacono, un suddiacono e un accolito.

Nell’anno 1630, con Decreto Pontificio, venne istituita una quarta dignità, l’Arciprete, di cui fu per primo insignito il can. Francesco Monetta che aveva anche la cura d’anime della parrocchia, collegata alla cattedrale.

Con decreto della Dataria Apostolica del 30 luglio 1912, la quarta dignità fu separata dalla cura delle anime, affidata ad un altro sacerdote, che diventava, qualora non lo fosse, membro del Capitolo.

Nell’anno 1737, il numero dei capitolari, comprese le quattro dignità, si ridusse a 46 canonici.

Nel 1837, con ulteriore riduzione il numero dei Canonici fu portato a 27, comprese le quattro dignità, e a 12 partecipanti.

Per la legge civile di eversione del 1867, il numero dei Capitolari effettivi venne ridotto a 18: quattro dignità: Arcidiacono, Cantore, Tesoriere, Arciprete, otto Canonici dei quali il più anziano prende il nome di Decano, e degli altri sette, uno è Penitenziere, l’altro Teologo, un terzo Parroco e gli altri partecipanti.

Lo Statuto vigente è stato redatto collegialmente dai canonici del Capitolo Cattedrale, approvato dall’arcivescovo monsignor Settimio Todisco (in cattedra dal 1986 al 2000), successivamente rivisto e aggiornato dai canonici d’intesa con l’arcivescovo monsignor Rocco Talucci (2000-2012), è conforme alla vigente legislazione canonica e alle consuetudini contenute nei precedenti statuti.

Lo stemma del Capitolo mostra una delle due colonne monumentali che, secondo la tradizione, indicano il termine della Via Appia.

Le Colonne romane di Brindisi sono situate presso l’antico porto della città, in origine erano due colonne gemelle alte quasi 19 metri, e rappresentavano un unicum dell’antichità, divenendo fin dal XIV secolo simbolo della città (tutt’ora presenti, con la testa di cervo, nello stemma cittadino). Simboleggia l’approdo dei naviganti nel porto sicuro della comunità brindisina. Ad essa è associato il motto NEC VI NEC METU (“Senza forza e senza timore”) richiama il celebre detto latino “Nec spe, nec metu” (“senza speranza e senza timore”) ma auspica la conversione ad una fede solida, come la colonna, senza coercizione e senza paura o minaccia. Dietro allo scudo è posta una croce arcivescovile. Nella versione scolpita sulla facciata della cappella sepolcrale dei canonici al cimitero monumentale lo stemma è insignito di un galero arcivescovile.

A seguito del crollo di una delle due colonne nel 1528, il monumento è rimasto mutilo. La colonna superstite è stata smontata durante la seconda guerra mondiale per evitare crolli o danni causati dai bombardamenti subiti dalla città; tra il 1996 e il 2002 la colonna è stata nuovamente smontata nelle sue parti componenti e questa volta interamente restaurata, mentre nel piazzale circostante sono state svolte indagini archeologiche; dopo il rimontaggio, il capitello originale è ora esposto in una sala del Palazzo Granafei-Nervegna, al suo posto è stata collocata una copia.

Al loro riguardo gli studiosi hanno messo in dubbio che siano state erette per indicare il termine della Via Appia, la loro collocazione nel rialzo prospiciente il porto di Brindisi e in relazione visuale con l’imboccatura dello stesso, dimostrerebbe furono innalzate con un intento celebrativo, forse a supporto di due statue bronzee. Alcuni ritengono che le due colonne (col Leone di san Marco e la statua di San Teodoro) che i veneziani innalzarono nella piazzetta San Marco, proprio in fronte alla banchina più importante della città lagunare, siano una replica medievale ispirata a quelle di Brindisi.

 

Note di Massimo Ghirardi

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Disegnato da: Massimo Ghirardi

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