Benedetto XI – Boccassio


Benedetto XI – Boccassio

Nacque nel 1240 a Treviso, da Boccassio e da Bernarda che gli imposero il nome di Niccolò. Il padre, che esercitava il notariato, era di umilissime origini e, a quanto pare, legato da oscuri rapporti di tipo semiservile ai signori di Colle San Martino.

La tradizione vuole che si chiamasse Niccolò Bocassini, ma quello era il cognome di un zio sacerdote a Treviso che gli diede la sua prima istruzione, mentre il suo cognome reale era Boccassio.

 

Nel 1257 fu accolto dal convento domenicano di Treviso.

 

Dei suoi studi e della sua carriera nell’ordine non si hanno molte notizie: avrebbe studiato logica a Milano dal 1262 al 1268 e, più tardi, fu lettore di teologia in vari conventi tra cui Venezia.

Nel 1282, insegnò nel convento di Genova. A questi anni di lettorato risalgono con tutta probabilità alcuni scritti teologici dei quali non si hanno notizie sicure.

 

Nel 1286 Niccolò fu eletto provinciale di Lombardia, carica che gli procurò una notevole esperienza di uomini e di cose, e un prestigio considerevole che il 12 maggio 1296 gli valse nel Capitolo di Strasburgo l’elezione a maestro generale.

Giunto alla direzione del grande Ordine, Niccolò si trovò subito nella necessità di prendere posizione davanti al conflitto che dilaniava in quel momento la vita della Chiesa: la ribellione dei cardinali Pietro e Giacomo Colonna contro Bonifacio VIII e quella dei Francescani Spirituali.

Nel Capitolo celebrato a Venezia, nel maggio del 1297, l’Ordine domenicano si schierò compatto in difesa di Bonifacio anche per l’atteggiamento assai risoluto di Niccolò.

 

Il papa non mancò di apprezzare questo deciso intervento in suo favore: nello stesso 1297 affidò a Niccolò l’incarico di intervenire presso i re di Francia e d’Inghilterra per indurli alla pace che i due sovrani accettarono di buon grado.

 

Subito dopo giunse a Niccolò la notizia della nomina a cardinale, decretata da Bonifacio il 5 dicembre 1298 e arrivò a ricoprire le funzioni di decano del Sacro Collegio.

 

Nel 1301 Bonifacio VIII affidò infatti a Niccolò una seconda missione diplomatica, nominandolo il 13 maggio legato in Ungheria con il compito di farvi prevalere i diritti di Caroberto d’Angiò alla successione. Gran parte della nobiltà e del clero ungherese, osteggiando una soluzione angioina della crisi dinastica, offrì la Corona a Venceslao di Boemia che il 26 agosto 1301 fu incoronato re dall’arcivescovo Giovanni di Colocza. Trasferitosi in Ungheria, Niccolò tentò di ovviare al fatto compiuto, convocando a Buda un sinodo inteso a trasferire la Corona a Caroberto. L’improvvisa morte dell’arcivescovo di Colocza sembrò agevolargli il compito, ma la missione si risolse tuttavia in un completo fallimento: la quasi totalità del clero e dei magnati ungheresi persistette nella fedeltà al re Venceslao.

 

Quando nel maggio del 1303 Niccolò rientrò a Roma, il contrasto con Filippo il Bello aveva raggiunto già il suo punto di massima tensione. Il 13 aprile il papa aveva dichiarato che il re era incorso nella scomunica. Nella notte fra il 6 e il 7 settembre il primo consigliere del re, Guglielmo di Nogaret, s’impadronì in Anagni della persona del papa che poté riacquistare la libertà solo dopo tre giorni, in virtù di una sommossa popolare, per morire, però, subito dopo a Roma, l’11 ottobre 1303. Niccolò, che si trovava ad Anagni, poté seguire da vicino tutta la drammatica vicenda.

 

Il conclave, riunito il 21 ottobre, dieci giorni dopo la morte di Bonifacio VIII, già il 22 elesse in prima votazione e all’unanimità Niccolò, che assunse il nome di Benedetto XI, a quanto pare in omaggio alla memoria di Benedetto Caetani. Cinque giorni dopo fu incoronato in S. Pietro alla presenza del re Carlo II d’Angiò.

 

Nella circostanza, i cardinali Colonna, principali esponenti della fazione filofrancese, non furono ammessi in conclave, Carlo II esercitò una notevole influenza sulla elezione del nuovo papa avendo seri motivi di riconoscenza verso Benedetto XI, i cardinali della fazione del defunto papa dovettero vedere il candidato di sicura fede bonifaciana.

Cardinale di nomina recente e dal passato curiale poco prestigioso, garantiva una sicura subordinazione all’influenza del Sacro Collegio. La sua elezione assume così il significato di una tregua tra le opposte fazioni cardinalizie sgomentate dal tragico epilogo del conflitto con la Francia.

 

Egli si trovò alla mercé del Sacro Collegio.

 

Un impegno più massiccio B. dedicò al settore del governo dello Stato della Chiesa che cercò di controllare direttamente con governatori di fiducia.

 

Questo tentativo di politica personale tradiva il disagio di un papa senza salde radici negli ambienti di Curia, dominati dai tradizionali consorzi famigliari romani e da prepotenti figure di cardinali quali Matteo Rosso Orsini e Napoleone Orsini.

Il suo rapporto di dipendenza dal Collegio cardinalizio fu inaugurato simbolicamente dal suo primo gesto di sommo pontefice: il dono ai cardinali della cospicua somma di 46.000 fiorini. La circostanza assume particolare rilievo, se si considera che Benedetto XI trovò le casse pontificie completamente vuote: persino il tesoro papale era stato trafugato nel corso dell’attentato di Anagni. La situazione finanziaria era disperata e non lasciava alcuna possibilità di movimento al nuovo papa.

 

Restava anche aperto il conflitto con i cardinali Pietro e Giacomo Colonna, deposti dal cardinalato che pubblicarono un violento memoriale nel quale contestavano la legittimità dell’elezione del papa. La lotta fra le due fazioni si riaccese così con l’antico furore e indusse il papa a un tentativo di compromesso: egli liberò i due cardinali e i loro parenti e partigiani dalla scomunica, ma senza reintegrarli nel cardinalato e nei beni. Tuttavia i due cardinali gli scatenarono contro tumulti popolari che costrinsero Benedetto XI a spostarsi a Perugia, nel 1304.

Il conflitto con la Francia richiedeva una risoluzione ufficiale. Il papa invio un invito a sospendere ogni attività all’ambasciatore di Filippo il Bello, ma il papa non accettò l’idea di concilio con la scusa che era indirizzata al precedente papa.

 

Benedetto XI non aveva dubbi nella valutazione della politica antipapale del re di Francia che egli considerava scomunicato. Le prospettive di resistenza non erano tuttavia facilmente perseguibili. Occorreva un’accorta politica di salvataggio delle posizioni irrinunciabili della Chiesa richiedeva l’immediato abbandono dell’eredità bonifaciana e la ricerca di un compromesso con la Francia su basi nuove che il papa non seppe seguire.

Questa condizione di assoluto isolamento favorì i Francesi che si trovò completamente paralizzato nelle sue possibilità di azione affidandosi a una tattica puramente dilatoria.

 

Il 25 febbraio 1304 Filippo IV affidò i poteri di trattare a Roma con il papa a una missione. La corte francese da un lato voleva liberarsi dalla scomunica nella quale era incorsa dall’altro non intendeva riconoscerne la validità. Subito dopo l’arrivo della delegazione francese a Roma il papa emise una bolla assolvendo il re e la famiglia reale dalle sentenze di scomunica. Il 29 dello stesso mese comunicò ufficialmente a Filippo il Bello la sua elezione e il 2 aprile gli indirizzò una lunga lettera, nella quale rivendicò alla sua iniziativa pastorale il provvedimento assolutorio, invitando il re ad accoglierlo come una prova di benevolenza, diretta a riportare la corte francese nel grembo della Chiesa e a riconciliarla con la paterna autorità del pontefice.

 

Particolarmente grave risulta, ai fini di una valutazione della condotta del papa, la carenza di ogni documentazione capace di illuminare in qualche modo il gioco delle fazioni cardinalizie che sicuramente non mancò di pesare sulla scelta di Benedetto XI. Con tutta probabilità l’ambiguità della formula assolutoria mascherava il proposito di corrispondere all’aspettativa del re, senza sconfessare minimamente la condotta di Bonifacio. B. preferì mantenersi sul piano generico di una paterna sollecitudine pastorale, probabilmente nella speranza di bloccare l’iniziativa francese con una forte concessione che non poteva tuttavia suonare come un’aperta capitolazione. Questo calcolo risultò completamente sbagliato: la bolla lo privò dell’unica arma disponibile per trattare con i Francesi. Ora non gli restava che capitolare su tutta la linea.

 

La minaccia del concilio si presentò così con forza ancora maggiore e indusse Benedetto XI ad accedere completamente alle richieste francesi. Il 18 aprile 1304 sospese il provvedimento emanato da Bonifacio per togliere ogni efficacia ai titoli accademici rilasciati dalle università francesi e rinunciò al diritto di provvisione sulle chiese di Francia. I processi intentati da Bonifacio contro Filippo e i suoi funzionari furono annullati. Tutti i partecipanti francesi, laici ed ecclesiastici, all’attentato di Anagni furono liberati dalla scomunica, eccettuato il Nogaret, alla cui assoluzione il papa si riservò di provvedere a parte. La bolla che proibiva al potere temporale di esigere contribuzioni fiscali dal clero non fu revocata, ma fu concessa al clero francese la facoltà di sostenere finanziariamente la monarchia. A testimonianza delle sue buone intenzioni su questo punto, il 14 maggio Benedetto XI concesse a Filippo la decima sulle rendite ecclesiastiche francesi per tre anni.

 

Come contropartita il papa ottenne il ritiro della richiesta francese del concilio e la libertà di azione nei confronti del Nogaret e degli altri partecipanti italiani all’attentato di Anagni.

 

Il 7 giugno 1304 B. poté prendere quei necessari provvedimenti contro gli esecutori materiali dell’attentato di Anagni che il prestigio della Chiesa richiedeva con ben altra tempestività. Citò a comparire davanti all’autorità pontificia entro il 29 giugno Nogaret e alcuni dei principali esponenti colonnesi presenti ad Anagni. Nessuno degli incriminati obbedì all’intimazione, ma la solenne cerimonia della promulgazione della scomunica fu impedita dalla morte del papa.

 

Per quel che riguarda la vita interna della Chiesa l’attività di Benedetto XI risulta scarsamente caratterizzata: va registrato tuttavia un tentativo di ridare slancio all’iniziativa pastorale degli Ordini mendicanti.

 

Fu assolutamente chiuso verso i Francescani Spirituali che non mancarono di reagire con la consueta violenza verbale.  

 

L’improvvisa morte dette corso alle solite dicerie che l’attribuirono al veleno dei cardinali o addirittura del Nogaret. Benedtto XI, invece, morì di dissenteria. Fu sepolto a Perugia nella chiesa di S. Domenico, dove il fedele cardinale Niccolò da Prato gli fece erigere un monumento sepolcrale. La santità della sua vita e l’insorgere di guarigioni miracolose subito dopo la sua morte gli valsero nel 1738 la beatificazione.

Lo stemma è una balzana, vale a dire uno scudo partito di argento e di nero. Ricorda, negli smalti, le armi dei Da Collalto, benefattori della famiglia.

Note di Bruno Fracasso

Liberamente tratto dall’Enciclopedia Treccani

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Disegnato da: Massimo Ghirardi

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“Partito di argento e di nero”.

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