Beato Ascanio Pallavicino


Beato Ascanio Pallavicino

Storia e informazioni

Ascanio nacque il 13 gennaio 1538 nel castello di Garessio, terzogenito di Giovanni Pallavicino e Caterina Scarampi, marchesi di Ceva e consignori di Garessio e di Ormea.

Il fratello primogenito Giorgio fu consigliere del duca Vittorio Amedeo I di Savoia; il secondogenito, Pompeo, vestì in giovanissima età l’abito di frate minore conventuale e si distinse per la sua bontà e l’integerrima dottrina.

Il marchese Giovanni, loro padre, scorgendo in Ascanio un’indole eccellente ed una propensione particolare allo studio, lo affidò all’abate Francesco Galbiati da Pontremoli (che sarà vescovo di Ventimiglia). Terminati gli studi teologici venne inviato a Roma dove, per la sua esemplare condotta e i suoi rari talenti, attirò l’attenzione del cardinale Alessandro Crivelli che lo nominò suo segretario.
Mantenne questo incarico per dieci anni, ma il suo amore per la solitudine lo spinse a rinunciare alle grandezze del mondo e chiese di poter passare alla vita religiosa tra i benedettini di San Romualdo nel monastero di Camaldoli in Toscana.

Ascanio vestì l’abito camaldolese e assunse il nome religioso di Alessandro. Emise la professione solenne il 1° novembre 1571. Distintosi per la santità dei costumi e la dottrina, nel 1592, fu nominato procuratore generale dell’Ordine e inviato a Roma. Nella Città Eterna fu ben accolto da Papa Clemente VIII che da cardinale era molto amico del Crivelli, già suo principale.
I camaldolesi intanto si erano diffusi anche in Piemonte grazie a San Giovanni Vincenzo, e nel 1596 fra’ Alessandro fu eletto priore del monastero camaldolese di Santa Maria di Pozzo Strada a Torino. Entrò dunque in relazione con l’allora arcivescovo torinese, monsignor Carlo Broglia, il quale lo presentò al duca Carlo Emmanuele I di Savoia che, conosciuti i meriti e la sua pietà, lo scelse quale suo confessore e gli propose l’edificazione di un nuovo eremo.
Questo progetto dovette però essere rimandato, a causa della terribile pestilenza che colpì Torino, durante la quale padre Alessandro si prodigò per assistere gli ammalati, cosa che gli procurò la riconoscenza della popolazione.
Al termine dell’epidemia Carlo Emanuele I ordinò la costruzione dell’eremo camaldolese, incaricando il suo ambasciatore a Roma, il conte di Verrua, di ottenere dal Santo Padre il breve di erezione. Si scelse uno dei punti più alti della collina torinese, nei pressi di Pecetto, e il sito fu visitato dallo stesso duca, dall’arcivescovo Broglia e dall’ingegnere Ascanio Vitozzi. Il 21 luglio 1602 si pose la prima pietra di quella chiesa, alla presenza del duca e dei principi reali.

Per tre anni di seguito fu confermato priore Padre Alessandro. Il sovrano ne apprezzò sempre più i meriti e lo propose per le sedi episcopali di Saluzzo, Ivrea e Tarantasia, ma l’umile religioso rifiutò ripetutamente tali offerte e addirittura avrebbe voluto rimettere l’incarico di confessore di Sua Altezza.
Padre Alessandro fu anche fondatore di altri due eremi in terra piemontese: quello di Lanzo e quella di Belmonte presso Busca nel cuneese. Fu amico dei suoi contemporanei papa Paolo V e San Francesco di Sales.

Alessandro morì nell’eremo di Pecetto il 16 ottobre 1612, dove gli furono tributati solenni funerali alla presenza del duca, quindi sepolto in una tomba terragna di fronte all’altare maggiore dalla quale verrà esumato e ritrovato incorrotto trent’anni dopo la sua morte.

Intorno al sepolcro cominciarono a verificarsi miracoli (che non erano mancati quando era ancora in vita).

Le sue spoglie mortali sono state in anni recenti traslate nella chiesa parrocchiale di Pecetto, dopo l’abbandono dell’antico eremo.
Il Menologio Camaldolese lo commemora quale “beato” al 6 ottobre, ma il suo culto non ha ancora ricevuto conferma ufficiale da parte della Chiesa. I “Praenotanda” del Martyrologium Romanum, nell’ultima edizione promulgata nel 2004, ricordano comunque come i calendari delle diocesi e delle congregazioni religiose costituiscano delle vere e proprie versioni locali del Martirologio e pertanto sia cosa legittima tributare il titolo di “santo” o “beato” a quei personaggi che già ne godono da tempo immemorabile.

 

Raramente i priori camaldolesi usano lo stemma proprio del loro casato, preferendo servirsi per umiltà dello stemma dell’Ordine (“d’azzurro, a due colombe d’argento affrontate e abbeverantesi al calice d’oro, sormontato da una cometa in palo dello stesso”). I marchesi di Ceva comunque hanno lo stemma “troncato: il primo d’oro all’aquila di nero, coronata del campo; il secondo scaccato di rosso e d’argento”.

2024, Massimo Ghirardi