Badessa Elena Porzia Orsini di Pitigliano


Badessa Elena Porzia Orsini di Pitigliano

Storia e informazioni

Una vicenda molto simile a quella di Virginia Maria Marianna de Leyva, la famigerata “monaca di Monza” è quella della badessa Elena Orsini.

Nata a Pitigliano nel 1545 dal conte Giovan Francesco Orsini di Pitigliano, venne battezzata col nome di Porzia, dopo fallite trattative matrimoniali con la famiglia dei Colonna, venne obbligata a prendere i voti nel monastero della Visitazione di Viterbo nel 1557 (a dodici anni!), dove prese i voti nel 1558 col nome di suor Elena, con una spesa per la dote monastica notevolmente inferiore a quella che la famiglia avrebbe dovuto sborsare in caso di nozze laiche. Pare che la monacazione fosse forzata e che il motivo fosse principalmente quello di allontanare la ragazza “dalle situazioni violente che viveva la famiglia” (Wikipedia)

Grazie alla sua intelligenza e alle origini aristocratiche (lo stesso monastero era stato fondato dalla zia Gerolama Orsini, moglie del duca Pier Luigi Farnese duca di Castro e, dal 1545, anche duca sovrano di Piacenza e Parma), a vent’anni, nel 1565, fu nominata prima priora, poi badessa e trasferita l’anno successivo, con le sue consorelle, nel monastero di Castro amministrato dal cugino cardinale Ranuccio Farnese (figlio di Gerolama Orsini), nominato agli inizi del 1566 vescovo della diocesi di Sabina e successivamente di Castro, a cui apparteneva il monastero. Improvvisamente però il cardinale Farnese morì il 29 ottobre del medesimo anno.

Nel 1573 Elena venne denunciata per una scandalosa relazione amorosa col vescovo di Castro, Francesco Cittadini (che il 19 novembre 1569 aveva sostituito Gerolamo Maccabei), del quale rimase incinta, partorendo un bambino, e la tresca viene alla luce. In una lettera di Pietro Ceuli, agente dei Farnese, al duca Ottavio (figlio di Pier Luigi, che venne assassinato a Piacenza da una congiura di feudatari) del 9 settembre 1573, scrive: “Si tiene per certo che la badessa di Castro ha parturito uno putto, dicesi il padre esser il vescovo”.

I due amanti vengono arrestati, trasferiti a Roma e messi sotto processo nell’Auditor Camerae: rubricato comeInquisitionis Processus contra Elenam Orsini Abbatissam de Castro, pro fornicatione cum Episcopo Castrensi; che sentenziò il trasferimento dell’ex badessa nel convento di stretta clausura di Santa Marta a Roma. Elena però, sciolta dai voti, avrebbe dovuto lasciare il monastero e contrarre matrimonio con Ottaviano Cittadini, fratello del vescovo. La morte, però, la colse prematuramente a causa di una febbre, forse scatenata dalle forti pressioni psicologiche e i rimorsi con cui conviveva (e ci fu chi disse avvelenata dalla sua stessa famiglia). 

Quanto al Vescovo Cittadini, che si dichiarò sempre innocente, inizialmente condannato per “stuprum” al carcere perpetuo in Castel Sant’Angelo, fu privato della carica e venne trasferito in una località vicino Lecco, poi a Milano, città di cui era originario e dove, grazie all’intervento di Carlo Borromeo, del quale era congiunto, riuscirà a svolgere altri incarichi di curia, anche se meno prestigiosi. La sua vita è documentata fino al 1603, anno nel quale se ne presume la morte.

Da questa spinosa vicenda trarrà un romanzo Stendhal nel 1839, dal titolo “la Badessa di Castro” (L’Abbesse de Castro), che ebbe una certa popolarità. La storia è anche narrata (e meglio chiarita attraverso i documenti originali) da Lisa Roscioni, nel saggio storico con lo stesso titolo (ed. Il Mulino, 2017).

 

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“Bandato d’argento e di rosso, al capodel primo caricato d’una rosa del secondo”.

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