Abbazia Territoriale di Grottaferrata


Abbazia Territoriale di Grottaferrata

L’abbazia territoriale di Santa Maria di Grottaferrata (Abbatia territorialis Beatae Mariae Cryptaeferratae), conosciuta anche con il nome di Abbazia di San Nilo, è una sede della Chiesa bizantina cattolica in Italia appartenente alla regione ecclesiastica Lazio.

 

I monaci del Monastero, formano la Congregazione d’Italia dei monaci basiliani (O.S.B.I.), sono provenienti maggiormente dalle comunità italo-albanesi e praticano liturgia e tradizione secondo il rito bizantino. L’Abbazia di Grottaferrata è l’ultimo dei numerosi monasteri bizantini che nel Medioevo erano diffusi in tutta l’Italia meridionale e nella stessa Roma.

L’abbazia territoriale comprende la sola abbazia di Grottaferrata e la chiesa abbaziale, dedicata a Santa Maria delle Grazie, che ne è l’unica parrocchia.

 

È stata fondata nel 1004 da san Nilo da Rossano a cui è dedicata, cinquant’anni prima dello scisma fra la Chiesa cattolica e ortodossa, su un terreno donatogli dal conte di Tuscolo, Gregorio I.

L’abate Nilo, nato nella Calabria bizantina e quindi greco di origine e di rito, fondatore di vari monasteri, decise di fondare un monastero sui colli di Tuscolo, sui ruderi di una grande villa romana, dove secondo la tradizione gli era apparsa la Vergine Maria.

L’abbazia venne terminata sotto l’abate (o, meglio, archimandrita: superiore di un monastero) san Bartolomeo, cofondatore dell’abbazia.

 

I primi archimandriti dell’abbazia, dopo san Nilo, non furono mai egumenoi, essi furono in successione: Paolo, Cirillo e (san) Bartolomeo il Giovane: sotto la loro guida l’abbazia si arricchì di decorazioni, di ricchezze e di possedimenti: in breve, da Grottaferrata dipesero ventidue chiese succursali sparse in tutta l’Italia centro-meridionale. Solo pochi anni dopo la sua fondazione, il monastero ospitava già circa 200 monaci basiliani, e le continue donazioni portarono l’archimandrita a controllare anche feudalmente territori vastissimi in Lazio e nel Sud Italia. L’abbazia inoltre ottenne il riconoscimento della propria autonomia rispetto ai cardinali vescovi della diocesi suburbicaria di Frascati.

 

Nel 1462 il cardinale Bessarione fu nominato primo abate commendatario dell’abbazia.

 

La Santa Sede ha elevato a monastero esarchico il cenobio di Grottaferrata nell’anno 1937, aggiungendola come terza circoscrizione dalla Chiesa bizantina cattolica in Italia insieme alle già presenti eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi, che seguono il rito liturgico codificato da san Giovanni Crisostomo.

 

Lo stemma proprio dell’abbazia di Santa Maria di Grottaferrata è costituito da una giovenca associata alle lettere O e N: è l’emblema dell’ospitalità del monastero, sopra la quale si vede la lettera N, sormontata dal simbolo greco di abbreviazione, che è l’iniziale di NEIΛOC (Nilo), il fondatore.

 

Secondo la tradizione l’animale probabilmente fa riferimento alla leggenda per cui l’imperatore Federico II, nel saccheggiare l’abbazia nel 1242, avrebbe portato via un pregiato gruppo bronzeo raffigurante una giovenca trattenuta per la cavezza da un contadino caduto a terra, è stato ipotizzato che sia quello noto dalle fonti e realizzato dallo scultore greco Mirone, nel V secolo a.C., un tempo collocato a Roma davanti al tempio di Apollo sul Palatino e poi trasferito a Grottaferrata probabilmente per volere dei conti di Tuscolo. Come risarcimento del furto del prezioso gruppo bronzeo, Federico II avrebbe fatto eseguire una copia per donarla all’Abbazia. Questa copia medievale sarebbe da identificarsi, secondo Pico Cellini, nel gruppo in marmo conservato presso il cenobio, risalente al XIII secolo.

A questo emblema è spesso associato quello dell’Ordine Basiliano, rappresentato da una colonna circondata dalle fiamme, simbolo di fede illesa, sotto il quale appare la scritta in greco ΟΜΕΓΑΣ ΒΑΣΙΛΕΙΟΣ – ΤΟΙΟΥΤΟΣ ΕΣΤΙΝ (talvolta in latino: “TALIS EST MAGNUS BASILIUS“, ossia “Così grande è Basilio”), e allude al fatto che la fede del santo, al pari della colonna che resiste al fuoco, resistette a tutte le tentazioni e rappresenta la vera colonna portante dell’Ordine costituito nel 1579 per il suo zelo e la dottrina.

 

Secondo Giulio Zamagni, studioso di emblematica religiosa, la colonna potrebbe essere un riferimento a quella “colonna di fuoco” che guidava il popolo ebreo nella marcia attraverso il deserto dopo aver lasciato l’Egitto (Es. 13,21 s.).

 

Decussati dietro lo scudo si vedono una croce astile e un pastorale ortodosso, la prima ricorda lo status di “monastero esarchico”, esentato cioè dall’autorità del vescovo locale, il pastorale, che ricorda il “Tau” dei primi superiori storici, termina con due serpenti che si fronteggiano davanti ad un globo crocifero, è simbolo della prudenza e il giudizio che devono guidare il superiore (abate o, meglio, archimandrita), richiama il serpente di bronzo creato da Mosé (la “guida” per antonomasia) come riportato i Numeri 21:8-9, ma anche il bastone di Asclepio/Esculapio che richiama il ruolo del vescovo come guaritore delle malattie spirituali.

Da citare anche il bastone di Mosè menzionato per la prima volta nell’Esodo (4,2), allorché Dio appare a Mosè nel roveto ardente gli chiese cosa avesse in mano, e Mosè rispose “un bastone” (“una verga”), il bastone viene allora miracolosamente trasformato in serpente e poi di nuovo in bastone. 

 

 

 

© 2022, Nota di Massimo Ghirardi

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