Abbazia di Sant’Antimo


Abbazia di Sant’Antimo

L’abbazia di Sant’Antimo è uno dei più noti monumenti romanici italiani, nato come abbazia benedettina. Ma non si sa quale sia esattamente il santo titolare…

 

Secondo la leggenda narrata nella biografia Acta Sancti Anthimi, un sacerdote di nome Antimo venne imprigionato durante le persecuzioni anticristiane di Diocleziano e Massimiano, ma avendo egli guarito Piniano (marito di Licinia, nipote dell’imperatore Gallieno) venne da questi protetto e nascosto in una sua casa lungo la via Salaria, il suo carisma gli consentì di guarire anche un sacerdote del dio Silvano e la sua famiglia, ma avendo distrutto il simulacro di quella divinità Antimo venne accusato arrestato e gettato nel Tevere con una pietra legata al collo, ma non affogò e uscì dalle acque limacciose indenne. Venne quindi decapitato per ordine del console Prisco nel 305 e sepolto nel piccolo oratorio nel quale era solito pregare, che divenne un santuario dove si onoravano le sue spoglie, poi trasferite nel 1658 nella cappella del santuario di Sant’Antimo presso Napoli.

Una tradizione locale afferma che papa Adriano I nel 781 avrebbe consegnato parte delle reliquie di Sant’Antimo e di San Sebastiano a Carlo Magno, che le donò all’abbazia all’atto della fondazione.

 

L’altro Antimo al quale potrebbe essere dedicata l’abbazia senese dovrebbe però essere un omonimo, diacono della Chiesa di Arezzo, martirizzato assieme al vescovo Donato nel 352. Secondo altri non sarebbe stato decapitato a Pionta, luogo del martirio di San Donato, ma sarebbe fuggito fino in val di Starcia, dove venne raggiunto dai soldati e ucciso. In quel luogo venne edificato un piccolo oratorio, presso i ruderi di una villa romana. Nel 715 la piccola chiesa era custodita da un prete della diocesi di Chiusi.

 

Furono i longobardi che nel 770 incaricarono l’abate pistoiese Tao di fondarvi un monastero benedettino, affidandogli anche la gestione dei beni demaniali del territorio, ma si occupava anche dell’assistenza ai pellegrini che percorrevano la Via Francigena, e ai militi e messi regi.

 

Carlo Magno, di ritorno da Roma nel 781, giunse al monastero e autorizzò la fondazione dell’abbazia, anche se questo episodio pare inventato già in antico per dare prestigio al cenobio. Da un documento di Ludovico il Pio del 29 dicembre 814 si apprende di ricchi doni e privilegi, che fanno del luogo una “abbazia imperiale”: l’abate viene insignito del titolo di “conte palatino” (cioè di consigliere del Sacro Romano Impero) e le donazioni e i privilegi si succederanno numerosi, creando una grande giurisdizione spirituale e temporale su un territorio che arriverà a comprendere 96 centri dipendenti, tra i quali castelli, borghi, terreni, poderi, mulini; 85 monasteri, chiese, pievi e ospedali. Il centro soggetto principale era Montalcino, il cui priore alloggiava in una residenza che venne inglobata entro le mura della fortezza costruita dai senesi.

Nel 1118 il Conte Bernardo degli Ardengheschi, cede il suo intero patrimonio “in toto regno Italico e in tota marca Tuscie” ad Ildebrando, figlio di Rustico, affinché lo trasferisca all’abbazia di Sant’Antimo,che versa a Fortisguerra, fratello di Bernardo, un indennizzo di 1000 libbre con l’accordo di non molestare più i monaci nel godimento della proprietà. A memoria della donazione l’atto è inciso sui gradini dell’altare maggiore, come “Carta Lapidaria”.

Nel 1118 inizia la costruzione della nuova chiesa, sotto la guida dell’abate Guidone. Il punto di riferimento più importante per il progetto della nuova chiesa è la grande abbazia benedettina di Cluny e l’abate richiese l’intervento di architetti francesi per progettare il nuovo edificio, che in parte si ispira alla chiesa benedettina del 1050 di Vignory.

Verso la metà del secolo XII la costruzione della nuova abbazia è quasi completata, solamente la facciata non è ancora terminata.

La città di Siena, impossibilitata ad espandersi verso nord per la ingombrante presenza di Firense, cominciò una politica aggressiva nei confronti dei territori meridionali, nel 1145 costringono l’abate di San Salvatore al Monte Amiata a cedere il castello di Radicofani, e ottengono dal papa Clemente III di assoggettare Montalcino al vescovo di Siena nel 1189.

Nel 1200 il podestà senese Filippo Malavolti attacca Montalcino e la distrugge. Infine il 12 giugno 1212 un accordo tra l’abate di Sant’Antimo, i cittadini di Montalcino e il Comune di Siena stabiliscono la cessione della città a quest’ultimo. Nel 1293 l’abbazia avrà in possesso solo un quinto delle proprietà del periodo precedente.

Papa Nicolò IV nel 1291 ordina la fusione della comunità di Sant’Antimo nell’Ordine dei Guglielmiti, per ridare vigore al monastero, afflitto da una grave crisi.

Dal 1397 al 1404 l’abbazia venne governata dal francescano Bartolomeo di Simone, vescovo di Cortona.

Il 4 agosto 1439 l’abate Paolo, per la sua condotta scandalosa, viene incarcerato, nel 1462 si celebra l’ultimo Capitolo dei Guglielmiti e il papa senese Pio II Piccolomini decreta la soppressione dell’abbazia, affidandone i beni al vescovo Cinughi, vescovo della nuova diocesi di Montalcino-Pienza creata il 13 agosto dello stesso 1462.

 

Nel 1870, quando iniziano i lavori di restauro, presso l’abbazia, notevolmente danneggiata, risiedeva un mezzadro, che abitava l’appartamento vescovile e usava la cripta come cantina e la chiesa come rimessa agricola.

Negli anni ’70 del XX secolo, terminati i lavori di restauro, l’edificio sacro permane in stato di semi abbandono. Solo raramente la comunità parrocchiale del vicino paese di Castelnuovo dell’Abateutilizza la chiesa per celebrarvi alcune funzioni.

 

Alla fine degli anni settanta l’Arcivescovo di Siena decide di ricostituire una comunità monastica a Sant’Antimo, e affida tale incarico a un gruppo di giovani sacerdoti francesi che nel 1979 fondano na comunità monastica ispirata alla regola dell’ordine di Premontré.

Con l’appoggio della Soprintendenza alle Belle Arti di Siena, del comune di Montalcino e delle vicine parrocchie di Montalcino e Castelnuovo dell’abate, iniziano nel 1990 i lavori di ristrutturazione dell’edificio del vecchio refettorio, per renderlo nuovamente abitabile. Due anni dopo, terminati i lavori di ristrutturazione, i monaci, a cui si sono uniti altri giovani, sia sacerdoti che laici, sia francesi che italiani, si insediarono nell’ex abbazia.

Il 25 maggio 2015 i premostratensi annunciarono che avrebbero lasciato l’abbazia di Sant’Antimo per trasferirsi in quella di Saint Michel de Frigolet, vicino ad Avignone, a causa del calo di vocazioni in Francia e per l’impossibilità di far crescere la comunità negli spazi di Sant’Antimo.

Dal gennaio 2016 ai premostratensi sono subentrati i benedettini della vicina abbazia di Monte Oliveto Maggiore, casa-madre della Congregazione Olivetana.

 

Lo stemma dell’abbazia mostra le insegne abbaziali, mitra e pastorale, in campo argento, un serpente ondeggiante in palo è accollato all’asta del pastorale. Il motto UT UNUM SINT accompagna la figurazione, si può tradurre come “Perché siano una cosa sola” ed è tratta dal capitolo XII del Vangelo di Giovanni: sono le parole che Gesù rivolge a Dio affinché i suoi discepoli rimangano uniti come una cosa sola, senza dissidi. Solitamente è interpretata come una esortazione alla concordia e all’unità dei cristiani.

 

La produzione di birra presso l’abbazia è un’attività piuttosto recente; la tradizione locale può essere fatta risalire all’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, dove i documenti ci informano che veniva servita una bevanda fermentata a base di grano, chiamata “Terza” ai degenti e agli ospiti.

 
Padre Giancarlo Le Roy, Abate premostratense di Sant’Antimo, si ispirò alla tradizione brassicola del suo ordine per iniziare la produzione di una “birra d’abbazia” in Val d’Orcia, caratterizzata dalla produzione di frumento di alta qualità. Rispettando gli antichi processi e utilizzando preziose conoscenze, tramandate di generazione in generazione dai canonici di Premontré, e ingredienti di eccellenza del nostro territorio, si sviluppò una birra veramente unica, commercializzata con lo stemma dell’Abbazia, ma prodotta dal Birrificio San Quirico d’Orcia.

 

Con l’arrivo degli Olivetani la produzione non è stata interrotta.

Stemma Ridisegnato


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