Abbazia di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca
Abbazia di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca
Storia e informazioni
Nel 1418 Carlo Malatesta (signore di Rimini dal 1385 al 1429) donò la nuova chiesetta di Santa Maria Annunziata Nuova, con il piccolo convento (e le annesse chiese di San Lorenzo Monte, di San Gregorio in Conca e l’Ospedale di Santo Spirito), al priore Pietro Ungaro (cioè di nazionalità “ungherese”), appartenente all’Ordine degli Agostiniani di San Paolo Ermete, primo martire d’Ungheria (Paolini), nella località di Scolca (dal latino per “Vedetta”, data la posizione elevata sul colle di Covignano); il primo edificio era stato costruito presso una residenza di campagna di Carlo: i monaci avrebbero dovuto operare e pregare a suffragio dell’anima dei suoi genitori Galeotto Malatesta e Gentile da Varano.
Poco dopo, nel 1420, i religiosi vennero richiamati in patria e il Malatesta, con il consenso di papa Martino V, chiamò a sostituirli i benedettini della Congregazione senese di Monte Oliveto Maggiore (fondata un secolo prima da Bernardo de’Tolomei), che accettarono, col vincolo che si costruisse una chiesa abbaziale adeguata.
Tra il 1421 e il 1483 gli Olivetani, col sostegno dei Malatesta, costruirono una nuova chiesa ad una sola navata, incorporando e cambiando l’orientamento del precedente Oratorio, ristrutturando il monastero che assunse l’aspetto di una piccola fortezza.
Nel 1512 Benedetto Coda affrescò la Cappella dei Malatesta e realizzò una pala d’altare, nello stesso anno l’abbazia fu in grado di ospitare adeguatamente il papa Giulio II Della Rovere.
Nel 1550 l’abate ferrarese Gian Matteo Faetani (1505-1567) fece eseguire delle statue di stucco dal monaco olivetano Tommaso da Bologna e fece anche decorare la chiesa, secondo il costume olivetano, con festoni di alloro e mirto e modificò gli altari laterali. Tra i suoi interventi più importanti, commissionò a Giorgio Vasari un dipinto con l’Adorazione dei Magi, da porre sull’altare maggiore. Il celebre pittore fiorentino era arrivato a Scolca nel 1547 per fare correggere e trascrivere dai dotti monaci olivetani la sua opera più famosa: “Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”; in cambio realizzò la pala d’altare e alcuni affreschi nel monastero (oggi perduti). Nello stesso periodo Cristofano Gherardi affrescò una delle cappelle, l’attuale sacrestia, nel 1548.
Nel XVII secolo nella chiesa e nel monastero vennero levate le fortificazioni, rinnovando le decorazioni interne della chiesa, l’abate Tignoli la allungò e fece costruire un nuovo coro per i monaci.
Nel 1715 l’abate Giuseppe Felici eresse un nuovo altare maggiore in stile barocchetto bolognese e fece selciare il sagrato.
Nella notte di Natale del 1786 un terribile terremoto distrusse il monastero e danneggiò anche la chiesa.
Nel 1797, le soppressioni Napoleoniche portarono alla chiusura dell’abbazia, Luigi Diotallevi Buonadrata fu l’ultimo degli abati regolari di Scolca, che assistette impotente alla confisca dei beni e alla perdita di opere di insigne valore come la pala di Benedetto Coda e un bassorilievo di Agostino di Duccio.
Nel 1805 la chiesa divenne la sede della Parrocchia di San Fortunato, vescovo di Todi, la cui antica chiesa si trovava più a valle.
Nel 1925 il Vescovo di Rimini, monsignor Vincenzo Scozzoli, ripristina il titolo abbaziale (abate-parroco) conservando la memoria degli Olivetani.
Durante la Seconda Guerra mondiale l’abbazia venne pesantemente danneggiata dai bombardamenti,
che distrussero la parte più antica dell’edificio con gli affreschi di Giorgio Vasari e i suoi collaboratori e la pala dell’annunciazione del Centino. Di quelle strutture restano, adibite a sacrestia, le due cappelle laterali a destra, affrescate da Benedetto Coda, Cristofano Gherardi e da Girolamo Marchesi da Cotignola alla fine del XIV secolo.
Attualmente l’abbazia è tornata a nuova vita, per iniziativa dell’abate-parroco, don Renzo Rossi (originario di Bordonchio) che, divenendo inizialmente oblato olivetano, ha fatto ritornare il monastero nella Congregazione Olivetana, della quale, dopo un opportuno percorso di formazione è stato benedetto come “abate di Scolca” a capo della ricostituita piccola comunità di monaci, ha ricevuto le insegne abbaziali l’8 dicembre 2018, dall’abate di San Miniato al Monte di Firenze, Dom Bernardo Francesco Gianni, con il placet del vescovo di Rimini). L’abate Rossi cura il recupero artistico, culturale e spirituale del luogo e delle sue tradizioni (allestendo anche il Museo dell’Abbazia, con oggetti e testimonianze dalla fondazione ad oggi).
Secondo l’uso dell’Ordine l’abbazia ha adottato come proprio una variante dello stemma dell’Ordine che si può blasonare: “d’argento, al monte di tre colli all’italiana d’oro movente dalla punta, cimato dalla croce latina gigliata di rosso, fiancheggiata da due rami d’olivo di verde nodriti dai fianchi del monte”.
Il monte e gli olivi richiamano Monte Oliveto, per il quale ogni monastero dipendente rappresenta una replica della casa madre e figurazione simbolica del Calvario trasfigurato in giardino dell’Eden.
Nota di Massimo Ghirardi e Giuseppe Pecci
STEMMA RIDISEGNATO

Disegnato da: Massimo Ghirardi
STEMMA ACS

STEMMA UFFICIALE

LOGO

BLASONATURA
“D’argento, al monte di tre colli all’italiana d’oro movente dalla punta, cimato dalla croce latina gigliata di rosso, fiancheggiata da due rami d’olivo di verde nodriti dai fianchi del monte”.
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