Abbazia di Santa Giustina in Padova


Abbazia di Santa Giustina in Padova

Intorno al 520, il prefetto del pretorio d’Italia ostrogoto Venanzio Opilione costruì sul luogo della sepoltura di santa Giustina a Patavium, martirizzata il 7 ottobre 304, una basilica di eleganti proporzioni affiancata da un oratorio dedicato a san Prosdocimo e da altri ambienti destinati al culto. La costruzione era di pertinenza vescovile, ma dal 970 fu affiancata da un monastero benedettino.

La primitiva basilica crollò in gran parte a causa del terremoto del 1117. Ricostruita frettolosamente negli anni successivi, incorporando e riutilizzando ciò che restava della precedente costruzione, fu nei secoli seguenti un continuo cantiere, che tra il XIV e il XV secolo realizzò anche quattro chiostri. Nel 1501 si iniziò la costruzione della basilica attuale, rimasta senza facciata, dapprima secondo il progetto del benedettino Girolamo da Brescia, e in seguito secondo quello di Sebastiano da Lugano e Andrea Briosco. Dopo la morte di quest’ultimo la responsabilità della fabbrica passò ad Andrea Moroni e poi di Andrea da Valle. L’enorme cantiere, tra varie vicissitudini anche sgradevoli, si protrasse per più di un secolo – a Padova ancora si dice “te si longo come la fabrica de Santa Giustina” (ovvero “sei molto lento”). La basilica fu solennemente consacrata il 14 marzo 1606.

Fondamentale fu la carismatica presenza dell’abate riformatore Ludovico Barbo, che a Santa Giustina fondò la Congregazione “De Unitate” o Benedettina Cassinese nel 1419.

Sino alle soppressioni napoleoniche fu una delle maggiori abbazie della cristianità e la basilica, ricostruita nel XVI secolo, è tuttora una delle basiliche più grandi del mondo. L’intero complesso è proprietà dello Stato italiano. Al suo interno, oltre alle celebri opere di Paolo Veronese, Sebastiano Ricci, Luca Giordano e si venerano le reliquie insigni dei santi Innocenti, san Luca evangelista, san Mattia apostolo, san Prosdocimo (allievo di San Pietro, evangelizzatore della Sabina e primo vescovo di Padova), santa Felicita, san Giuliano, sant’Urio, beato Arnaldo da Limena, san Massimo Vitaliani (secondo vescovo della città) e della santa titolare, Giustina.

In seguito alle legislazioni napoleoniche l’abbazia fu sequestrata ed i monaci furono scacciati. Molti capolavori furono spediti in Francia, altri furono venduti o alienati. Il polittico di San Luca di Andrea Mantegna venne esposto a Brera. La basilica rimase inofficiata per due anni, fino al 1812, quando il vescovo Francesco Scipione Dondi dall’Orologio, per scongiurarne la demolizione, la nominò Parrocchia gestita da sacerdoti diocesani. Il vicino monastero divenne ospedale militare e poi caserma.

Nel 1909 l’edificio fu elevato a basilica minore da papa Pio X e nello stesso anno fu incoronata solennemente l’antica icona della Madonna Costantinopolitana, che vi si conserva.

Nel 1919 alcuni monaci della vicina Abbazia di Praglia ottennero da papa Benedetto XV di ricostituire l’abbazia; inizialmente dal Governo italiano i monaci ottennero il permesso di officiare la basilica, ma solo nel 1923 riuscirono a rioccupare una parte del vecchio monastero. Il 1° Novembre 1942 si costituì la comunità propria del monastero (fino ad allora un priorato della vicina Praglia), la quale, il 22 gennaio 1943, elesse, dopo 123 anni di interruzione, il nuovo abate regolare. Nel 1948 il demanio concesse l’uso di altri spazi ai monaci, che avviarono una grande campagna di ripristino e restauro.

Oggi l’abbazia è conosciuta in particolare per alcune delle sue attività, tra cui l’Istituto di Liturgia Pastorale, la Biblioteca Statale del Monumento Nazionale di S. Giustina, il Laboratorio di restauro del Libro (temporaneamente non attivo e trasferito a Praglia) e, ovviamente, la cura della parrocchia.

Lo stemma dell’abbazia mostra una spada, strumento del martirio, due palme e una corona, entrambi simboli dell’estremo supplizio. Sono un chiaro riferimento alla martire Giustina, principale patrona del monastero.

Nota: In Araldica si trovano talvolta due trecce, affiancate o intrecciate, simbolo del martirio di Santa Giustina. Sono un’altra delle numerose imprese araldiche adottate dai Borromeo che, attraverso i loro congiunti padovani Vitaliani, facevano risalire la loro origine addirittura a santa Giustina, che si vuole appartenente a quella famiglia (come si vuole sia anche quella del secondo vescovo patavino san Massimo), la quale prima di essere trafitta dalla spada del carnefice venne oltraggiata con il taglio delle lunghe trecce bionde. Compaiono anche nello stemma del cardinalw Federigo Borromeo (1564-1631), cugino di san Carlo, cardinale e arcivescovo di Milano, fondatore della Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana e vogliono simboleggiare il sacrificio e l’impegno personale nel conseguire uno scopo e difendere un’idea. 

Le trecce sono anche un emblema della famiglia Da Giussano, come anche dei Gironi e dei Casati (e poi Casati-Stampa), ma in questi casi sembrerebbero la deformazione stilistica di due “festoni” di foglie e frutti legati alle estremità.

 

Nota di Massimo Ghirardi (2023)

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