Abbazia di San Silvestro di Nonantola


Abbazia di San Silvestro di Nonantola

L’abbazia fu fondata nel 752 dal longobardo Anselmo, già duca del Friuli, che ne divenne il primo abate, in un territorio ricevuto in donazione per quello scopo da cognato, il re Astolfo, che vi intravedeva un modo per accrescere l’influenza dei longobardi in una zona di recente conquista che era allora al confine con l’esarcato bizantino di Ravenna.

All’abbazia venne assoggettato un vasto territorio che andava dalla Toscana alla Lombardia, attraverso i possedimenti boschivi dell’Appennino.

La grande chiesa abbaziale risale all’VIII secolo e venne inizialmente dedicata alla Vergine Maria e a San Benedetto, successivamente assunse il titolo dei Santi Apostoli e, più tardi, quello di San Silvestro I, quando le reliquie di quel pontefice vennero traslate da Roma a Nonantola (che tutt’ora ne conserva parte). Anche papa Adriano III, morto nell’885 a San Cesario su Panaro vi trovò sepoltura.

Saccheggiata dagli Ungari nell’899, l’abate Rodolfo nel 1013 commissionò il rifacimento del portale della basilica , in corso di ricostruzione, allo scultore del duomo di Modena, maestro Wiligelmo.

Ancora oggi l’imponente edificio è uno dei più importanti esempi dell’architettura romanica e testimonia l’importanza che assunse il cenobio, sede di incontri di personaggi fondamentali della storia europea, con un importante Scriptorium, una ricchissima biblioteca (fu lo stesso Anselmo a procurare i primi codici) e un tesoro di grande valore: alcuni reperti sono oggi esposti nel locale Museo Benedettino e Diocesano o conservati negli archivi di Modena, il resto è stato trasferito, per diversi motivi e vicende alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

L’abate nonantolano godeva di ampi privilegi e prerogative vescovili, tanto che indossava la mitra durante le funzioni (da cui il titolo, oggi desueto, di “abate mitrato”) e i territori a lui soggetti godevano dello status di “Nullius Dioecesis”, ossia non erano soggetti al vescovo locale, ma all’abate, dipendente direttamente dalla Santa Sede (oggi il titolo corrisponde a quello di “abbazia territoriale”).
Nel gennaio del 1514 i benedettini lasciarono il monastero e vennero sostituiti dai cistercensi, che svolgevano la loro vita regolare, compresa l’elezione dell’abate, ma non avevano la cura della parrocchia e l’uso del palazzo abbaziale, che rimase agli “abati commendatari” pro tempore, in questo san Carlo Borromeo, cardinale e arcivescovo di Milano, istituì il Seminario nel 1567.
Nel 1783 anche i cistercensi lasciarono l’abbazia, il vescovo di Reggio Emilia e abate commendatario, principe Francesco Maria d’Este vi istituì un capitolo di canonici secolari. Poco dopo però nel 1797 i francesi depredarono tutti i beni e papa Pio VII nel 1803 soppresse l’abbazia territoriale, unendone il territorio alla diocesi di Modena.

Venne ripristinata per impulso del nuovo duca di Modena e Reggio reinsediatosi alla Restaurazione, Francesco IV d’Asburgo-Este, anche se il territorio comprese solo le parrocchie all’interno dei confini del ducato e affidata in commenda perpetua ai vescovi di Modena.

Oggi il titolo di “abate di Nonantola” è ancora attributo dell’arcivescovo di Modena, diocesi alla quale è stato unito il territorio dell’abbazia dal 1 maggio 1906 (in “plena unione” dal 30 settembre 1986).

Il 16 settembre 2018 è stata riaperta la basilica dell’abbazia al termine dei lavori di restauro del complesso monumentale, gravemente lesionato dal terremoto del 2012.

In quell’occasione è stata commercializzata una particolare birra, la “Birra dell’Abbazia di Nonantola”, un’edizione celebrativa (comprendente anche un apposito bicchiere e l’immancabile sottobicchiere) prodotta da un birrificio locale, il cui ricavato ha contribuito ai lavori di completamento dell’opera: un progetto particolare di “crowdfunding” della locale Associazione Via Rome Nonantolana (curato da Idea Ginger, i partecipanti saranno anche iscritti nell’Albo dei Donatori conservato nell’archivio abbaziale).

Un prodotto probabilmente effimero, che si deve alla passione di Massimiliano Forni, responsabile del progetto, ma che ci sembra giusto citare in questa raccolta: in effetti, dato che il ricavato è andato a finanziare direttamente il recupero del monumento, la possiamo considerare una “birra d’abbazia sui generis”.

Lo stemma dell’abbazia deriva dal suo antico sigillo, ed è all’origine dello stemma comunale e di quello della locale Partecipanza Agraria. Gli elementi caratterizzanti sono i due pastorali (privi di sudarium) incrociati e sormontati dalla mitra crociata associati alle sillabe NO NA TU LA del toponimo. Nello stemma della Partecipanza, più antico, lo scudo è d’argento con un palo di rosso che, nella versione comunale, si trasforma in un libro (Vangelo) rosso. Lo stemma abbaziale è visibile anche sulle antiche pietre confinarie (se ne conservano alcuni esemplari presso il locale museo).
La Partecipanza Agraria è una forma di proprietà collettiva proto-cooperativa di terreni ottenuti con la bonifica di ampie aree paludose, che trae origine dalle enfiteusi perpetue istituite dagli abati di Nonantola e da altri istituti ecclesiastici (come il vescovo di Bologna). Per la gestione di questi terreni era necessaria molta manodopera e un accurato coordinamento dei lavori, per gestirne la produttività e il mantenimento si arrivò all’istituzione di una proprietà condivisa le cui parcelle vengono riassegnate periodicamente a sorte (o a rotazione).

Stemma Ridisegnato


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