Abbazia di San Lorenzo a Coltibuono


Abbazia di San Lorenzo a Coltibuono

Storia e informazioni

L’abbazia di San Lorenzo a Coltibuono, più comunemente nota come Badia a Coltibuono è un’ex-abbazia oggi trasformata in residenza signorile, con esclusione della chiesa, che si trova nel comune di Gaiole in Chianti.

Situata nel territorio del Piviere (territorio di giurisdizione di un pievano o piovano) di san Pietro in Avenano, venne fondata nel 1049 dalla famiglia fiorentina Firidolfi che, un paio di anni più tardi, secondo la tradizione, l’avrebbero donata direttamente a san Giovanni Gualberto con l’impegno di costruire una annessa residenza monastica e un ospizio per i pellegrini presso la esistente una chiesa dedicata al martire Lorenzo documentata dalla metà del X secolo.  Venne denominata Badia a Cultusboni, ovvero del “buon raccolto”.

È certamente dal 1115 che il complesso fu possesso dei monaci benedettini Vallombrosani, come testimoniato dalla bolla di papa Pasquale II, diretta ad Adimaro, abate di Vallombrosa, e pure da un atto di Corrado di Scheiern, marchese di Toscana, datato 1122.

Grazie a numerose donazioni divenne una delle più ricche della regione e, al momento di massima floridezza, arrivò ad avere come priorati anche l’abbazia dell’Ardenga, l’abbazia di Spineta e il monastero di San Jacopo di Siena.

Dal 1239 passò sotto la protezione della Repubblica di Firenze. Per le sue cospicue rendite fu data in commenda, insieme alla badia a Passignano, al cardinale Giovanni de’ Medici, il futuro papa Leone X.

Il 29 settembre 1810 in coincidenza coi festeggiamenti per la nascita del Re di Roma, figlio di Napoleone I e Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, fu decretata l’espulsione dei religiosi da tutti i monasteri dell’Impero e, di conseguenza, anche questa abbazia venne soppressa, i beni dispersi e i fabbricati venduti e trasformati in fattoria, mentre la chiesa rimase come sede della Parrocchia.

L’acquirente fu Giovanni Calamai, un ricco commerciante livornese proprietario di varie fattorie nei dintorni; il quale però ebbe problemi con i residenti: la soppressione della badia aveva suscitato le vive proteste dei parrocchiani. I fedeli si strinsero intorno all’unico monaco rimasto, don Ilarione Parenti, che svolgeva anche funzioni di parroco e che fu protagonista di una stregua resistenza tanto da arrivare a fronteggiare anche un manipolo di soldati francesi inviati per sloggiarlo. Non volendo altri problemi, Calamai decise di affittare la badia a tale Giovanni Checcacci di Montevarchi per 4.700 scudi.

Nel 1816, per salvarsi dai creditori, Calamai organizzò una lotteria, i cui premi erano i propri beni fondiari, e tra i vari premi c’era anche la badia di Coltibuono, valutata ben 98.000 scudi. Risultò vincitore il conte Giovanni Giraud, un avventuriero romano che, accusato di truffa, decise di disfarsene al principe Stanislao Poniatowsky, nipote del Re di Polonia Stanislao Augusto, la cui moglie Cassandra Luci, rimasta vedova sperperò tutto il patrimonio. Travolta dai debiti, nel 1846, vendette la badia al cavalier Guido Giuntini, il quale prima di pagare si fece garantire dal Vaticano contro un eventuale ritorno dei Vallombrosani.

Passata attraverso vari proprietari per via ereditaria, appartiene attualmente alla famiglia Stucchi Prinetti, attiva nella produzione di vini e olio biologici con l’etichetta della badia, che accoglie inoltre un agriturismo e dei corsi di cucina e degustazione di vini. L’azienda oggi è gestita da Emanuela e Roberto Stucchi Prinetti, due dei quattro figli di Pietro e Lorenza, nata de’ Medici, nota scrittrice di libri di cucina.

Curiosità: nei documenti dell’archivio dell’abbazia appare, per la prima volta, il nome Chianti in un documento della fine del XII secolo, che andrà ad identificate tutta la regione circostante tra Siena e Firenze.

Lo stemma proprio dell’abbazia si blasona: “troncato d’argento e di nero, alla graticola di ferro al naturale attraversante” che è composto dalla nota “balzana” del Comune di Siena e dallo strumento di supplizio di San Lorenzo; a questo spesso, in uno scudo partito, è associato lo stemma della Congregazione Benedettina Vallomborsana alla quale appartenne.

Nota di Massimo Girardi

Si ringraziano Roberto Pinca e Alessandro Neri per la collaborazione

Disegnato da: Massimo Ghirardi

BLASONATURA

“Troncato d’argento e di nero, alla graticola di ferro al naturale attraversante”.

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