Abbazia di San Benedetto in Vallalta


Abbazia di San Benedetto in Vallalta

Abbazia di San Bendetto in Vallalta

Ex abbazia dei Monaci Benedettini (OSB)

Abbazia, frazione di Albino (Bergamo)

 

All’inizio del XII secolo la valle dei Lujo era selvaggia e spopolata, l’unico centro abitato di una certa rilevanza era Casale (oggi frazione di Albino). Fu il vescovo-conte Gregorio di Bergamo che volle fondarvi un monastero al fine di dare sviluppo ai terreni.

Ottenuta l’approvazione papale di Innocenzo II, il 24 febbraio 1135, si iniziò la costruzione del monastero il cui atto di fondazione è datato aprile 1136; in un anno si realizzò un complesso di piccole dimensioni che assunse il nome di Vallalta, per via della posizione che identificherà poi tutta la valle del Lujo, che era in grado di ospitare una prima comunità, la quale però non apparteneva a nessuna congregazione religiosa, anche se seguiva la Regola di San Benedetto, al quale venne dedicato il cenobio.

Il primo superiore fu tale Ansuino (o Ansoino), al quale il vescovo Gregorio ordina “… di pregare e far pregare per lui, per tutto il clero e la chiesa bergamasca”. Il primo abate regolare sarà invece Oprando che aveva potere anche sul territorio, con una certa autonomia dall’autorità del vescovo, il quale però approvava la nomina degli abati e riceveva annualmente dodici libbre di cera dai monaci, da consegnarsi nel giorno del sabato santo.

Nel mese di Maggio del 1336 fu concessa ai frati la cappella di San Salvatore di Bergamo con alcuni locali annessi, nonché i diritti su tutti i possedimenti collegati.

I terreni di competenza dell’abbazia di San Benedetto in Vallalta comprendevano tutta la parte meridionale della valle del Lujo, ovvero la porzione compresa tra il torrente omonimo ed il crinale del monte Misma, con l’aggiunta del preesistente borgo di Casale, posto in posizione elevata nei pressi del Colle Gallo .

Oltre a questi possedimenti “diretti”, l’abbazia ebbe in affidamento anche un pascolo di circa cinque chilometri quadrati posto a un’altezza compresa tra i 1.000 e i 2.000 m sulle pendici del monte Armentarga, nonché le cappelle di San Salvatore a Bergamo e di Santa Maria in campagna poi Santa Maria del Sasso in comune di Cortenuova  con i relativi patrimoni, le chiese di San Giorgio in Teze e di San Damiano in Nazano, poste nelle vicinanze della città di Brescia, beni presso i paesi di Chiari ed Orzivecchi e terreni a Telgate, Martinengo e Zandobbio. Inoltre ricevette la potestà sull’Abbazia di San Lorenzo all’Adige presso Trento, con lo scopo di riformarla.

Nel mese di maggio del 1138 la bolla pontificia di papa Innocenzo II confermò ogni donazione fatta dal vescovo alla comunità del monastero di San Benedetto.

Pochi anni dopo la fondazione, per l’abbazia cominciarono ad affiorare i primi problemi legati al possesso dei terreni e al relativo utilizzo. A tal riguardo il vescovo, nel 1141, incluse nei possedimenti anche gli appezzamenti di Grumello Roncarico e di Prato Maggiore (Premaioni), al fine di rafforzarne i domini.

Nel 1173, Beltramo Ficieni, che signoreggiava il paese di Terzo, entrò in contrasto con l’abate per il possesso di alcune terre presso Casale, Gavazuolo e Cereto, che pur appartenenti all’abbazia venivano lavorate da contadini residenti nel borgo di Piano, che rientrava nei domini del Ficieni. La questione fu risolta l’anno successivo grazie all’intervento del vescovo, il quale agì affinché il signore di Terzo donasse all’Abbazia la comunità di Piano, di modo che gli abitanti, che con il loro lavoro nei campi presso Casale garantivano la sussistenza all’abbazia stessa, facessero riferimento a un’unica autorità.

Per migliorare lo sfruttamento delle proprie terre, gli abati di Vallalta avevano favorito l’insediamento di contadini dai paesi vicini, molti provenivano da Piano e da Gaverina.

I buoni rapporti con gli abitanti dei due paesi della val Cavallina vennero confermati dalla concessione di parziale autonomia al borgo di Piano, sfociata, nel 1210, in vera e propria indipendenza amministrativa. Per contro il paese avrebbe dovuto versare all’abbazia una tassa annua in denaro, consuetudine mantenuta fino alla fine del XII secolo.

Gli abati dovettero sempre difendersi dalle mire dei vari signorotti del territorio, in particolare entrarono in contrasto con i Capitani di Cene, signori del comune di Cene-Vall’Alta, che si appropriarono indebitamente dei terreni di Grumel longo, Felgoso, posti a valle della strada di Altino, e Prato Maggiore. In questo ambito, l’abate Giovanni da Albara si distinse per la fermezza con cui difese i beni monastici. I confini vennero quindi ridefiniti nel 1234 mediante la calcazione dei due comuni, nella quale l’appezzamento di Prato Maggiore rimase di competenza dell’abbazia, mentre gli altri due vennero concessi agli usurpatori. Le terre usurpate vennero riacquistate nei successivi cinquant’anni, anche se de facto rimasero sempre legate al comune di Cene-Vall’Alta. Stessa situazione anche per Grumelduro, località alla quale venne concessa parziale autonomia mediante gli atti di emancipazione del 1201, ma anch’essa legata al comune vicino.

In quegli anni, il patrimonio principale dell’abbazia era dato dalle cinque aziende agricole, con cui i rapporti cominciarono a essere gestiti da contratti scritti in luogo delle consuetudini orali, presenti sul suo territorio: Gavazuolo e Casale, dove erano presenti castagneti e vitigni, Felgoso, Torchio e Prato Maggiore in cui si coltivavano cereali,

Era inoltre presente un mulino in valle Mismasca con una peschiera per l’allevamento del pesce.

Nel 1260, l’abbazia si vide revocare dal vescovo i poteri di carattere signorile, in favore della nascita delle varie autonomie comunali, restando tuttavia titolare dei diritti di esazione.

Nella seconda metà del XIV secolo si cominciarono ad avvertire le prime avvisaglie di quella che fu l’inizio della decadenza dell’abbazia. Nel 1353 erano presenti solo quattro monaci, scesi a due verso la fine del secolo. A questo si aggiunsero anche le spinte autonomistiche di Casale e Gavazuolo, in cui si trovavano le terre da cui arrivavano gran parte delle entrate finanziarie dell’abbazia, che negli Statuti della città di Bergamo, del 1391, compaiono già raggruppate in comune autonomo, aggregato in seguito a Gaverina.

Ma la spinta decisiva arrivò dalle difficili condizioni economiche a cui l’abbazia dovette far fronte. Le motivazioni sono da ricercarsi sia nell’insolvenza di alcuni affittuari, sia nella continua richiesta di prestiti di denaro contante che, a partire dal 1334, gli abati cominciarono a richiedere a ricchi laici in cambio di tassi elevati o della cessione dei diritti dei canoni di affitto delle terre per uno o più anni. Questa pratica, adottata in modo sempre più massiccio, portò alla sospensione dell’abate Giovanni de Castello, decisa nel 1355 da Papa Innocenzo VI per “sperpero del patrimonio”.

Nonostante la decisione pontificia di incaricare il priore della vicina abbazia di San Paolo d’Argon di recuperare i beni, il precedente abate si appellò alla Santa Sede con numerosi ricorsi, rimanendo formalmente in carica fino alla morte.

Il suo posto venne quindi preso da Giovanni dei Capitani di Arcene, il quale continuò la politica dei prestiti rivolgendosi più volte alla potente famiglia dei Suardi. Il legame tra l’abbazia e la famiglia, che vantava numerosi possedimenti nella vicina val Cavallina, si rafforzò notevolmente, tanto che due esponenti della stessa, tra cui Lanfranco Suardi, vennero sepolti in una cappella della chiesa abbaziale.

L’insostenibile situazione economica obbligò l’abate a rimettere la carica ai delegati del Papa che, esautorando de facto il vescovo, nominarono direttamente un nuovo responsabile del monastero, nella persona di Manfredo della Croce. Questo, forte dell’amicizia instaurata con Giovanni Maria Visconti, nel 1404 venne trasferito al monastero di Sant’Ambrogio a Milano.

Con due monaci ed un solo converso presenti presso la sede, i legati di papa Gregorio XII elessero Antonio da Clivate, che sarà l’ultimo abate regolare di Vallalta: tra le sue iniziative vi fu il tentativo di far subentrare un’altra congregazione (francescana o domenicana) alla ricerca di elementi che potessero rivitalizzare l’abbazia. Alla sua morte, avvenuta nel 1437, la Santa Sede diede in commenda l’abbazia: questa sarebbe stata retta da un prelato che, nominato “abate commendatario” dal papa, avrebbe gestito da lontano il monastero. Questi avrebbe goduto dei possedimenti e avrebbe dovuto provvedere a delegare un vicario (o priore) per espletare le funzioni religiose.

Nel 1462, vi fu l’ultimo tentativo, andato a vuoto, di eleggere un abate regolare, mentre nel 1470 si attuò la  riorganizzazione dei territori dell’abbazia, che essendo in commenda e sotto il controllo diretto della Sede Apostolica, rimasero separati dai territori vicini. È significativo che  nel XVI secolo non vennero compresi nei territori della Serenissima.

Per oltre un secolo dopo l’istituzione della commenda nel monastero fu presente un solo monaco, finché nel 1550 morì Alberto Moroni, membro dell’illustre famiglia bergamasca, che fu l’ultimo religioso della storia dell’abbazia.

Alla morte, nel 1789, del cardinale Giovanni Cornaro, l’ultimo abate commendatario e dopo il tentativo fallito del vescovo di Bergamo, Giovanni Paolo Dolfin, di ritornare in possesso dei beni che un tempo erano di competenza della sua autorità, il 2 aprile di quell’anno la Repubblica di Venezia soppresse l’abbazia e mise all’asta beni e fabbricati che il 12 giugno 1793 vennero acquistati dal conte Gerolamo Fogaccia di Bergamo per 70.806 ducati.

In seguito, il 29 marzo 1808, il complesso monastico fu riscattato dalla popolazione di Abbazia al conte Fogaccia per l’istituzione della nuova parrocchia di San Benedetto in Abbazia che avvenne nell’anno 1831 a seguito di sostanziali lavori di rifacimento, compresa la demolizione di ampie parti della vecchia struttura monastica e l’ampliamento della chiesa.

Nel 1910, la Sovrintendenza alle Belle Arti, operò un radicale “restauro” del complesso curato da Elia Fornoni: vennero abbattute le case coloniche a ridosso del monastero, si ricostruì l’intera facciata portandola allo stile neo-romanico e si ripristinarono le finestre e le coperture delle absidi.

Non siamo a conoscenza dello stemma proprio dell’abbazia che, in quanto affiliata dopo la sua fondazione alla Congregazione Benedettina, potrebbe aver usato lo stemma dell’Ordine o una sua variazione.

Dal 2015 cinque amici di Abbazia; Paolo, Mattia, Luca, Marco e il parroco don Claudio, decisero di produrre una birra dedicata all’antica “abbazia di San Benedetto” di Vallata. Dopo alcune sperimentazioni, nel 2016, con la collaborazione del birrificio Dom Byron,  nel 2017, si mise in commercio la birra Oprandus (una Belgian Dark Strong Ale dedicata al primo abate dell’Abbazia), alla quale seguì la Israel (Belgian Pale Ale); e la stagionale Joannes de Albara (Saison). La sede e il micro birrificio è in via Lunga, 91a , nella frazione di Abbazia, Comune di Albino.

 

Note di Massimo Ghirardi

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Disegnato da: Massimo Ghirardi

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