Abbazia della Santa Croce e di San Benedetto in Campese


Abbazia della Santa Croce e di San Benedetto in Campese

L’Abbazia della Santa Croce e di San Benedetto venne fondata nel 1124 da Pons de Mélgueil (italianizzato in Ponzio di Mélgueil) che era stato giovane e potente abate di Cluny, il quale era stato accusato di aver commesso troppi errori e talmente gravi (tra gli altri essersi proposto candidato al soglio pontificio contro Guido da Vienne, che venne eletto poi papa con il nome di Callisto II), da essere deposto.

Eppure lo stesso Callisto II, durante il Concordato di Worms lo aveva ordinato cardinale, ma poco tempo dopo lo destituì da abate di Cluny, pare proprio durante un’udienza privata a Roma o, secondo altri e più meschinamente, mentre si trovava in pellegrinaggio in Terrasanta.

Tornato in Europa con alcuni monaci nella primavera del 1123, Ponzio si fermò a Campesio (oggi Campese) vicino a Bassano del Grappa, in Diocesi di Padova, in un luogo strategico sia per il collegamento con i valichi alpini (per portarsi eventualmente al sicuro nei territori sottoposti all’autorità imperiale), sia per un facile controllo della sponda destra del Brenta e dell’accesso alla Valsugana. Qui, con l’aiuto del vescovo di Padova, Sinibaldo, e dei Da Romano di Solagna, i Desmassaterra e altre nobili famiglie locali, decise di fondare un monastero. Ma papa Callisto non gli diede l’autorizzazione, e sottopose l’abbazia all’autorità  del nuovo abate di Cluny, Pierre de Montboissier, ossia il noto “Pietro il Venerabile”, un personaggio molto influente nelle vicende ecclesiastiche, che oggi è venerato come beato.

Ponzio si rivolse direttamente all’imperatore Enrico V, che lo riconobbe come abate “legittimo” di Cluny, circostanza che indusse papa Onorio II ad accettare che i monaci dissenzienti dalla linea ufficiale cluniacense potessero unirsi a Ponzio, ma non a Cluny, dato che quella congregazione egli riconosceva come abate soltanto Pietro il Venerabile.

Pare furono diversi i monaci che si trasferirono a Campesio seguendo Ponzio, il quale accettava di non essere più considerato come abate di Cluny ma, a compensazione, “proponeva” di essere nominato abate di Campesio, che egli aveva rinominato con un gioco di assonanze Campo di Sion (Camp de Sion) e ottenendo dal pontefice l’indulto.

Brevemente Ponzio divenne molto popolare, per la sua condotta virtuosa e l’osservanza scrupolosa della Regola benedettina, al punto che si convinse a tornare a Cluny, per tentare di riconquistarne la guida.

Effettivamente, i monaci che ancora lo riconoscevano, approfittando dell’assenza dell’abate titolare, con l’aiuto dei soldati e di alcuni popolani influenti lo reintegrarono nella sua carica di abate si dice contro la sua stessa volontà, ma la sua stessa presenza a Cluny lo smentiva. L’arcivescovo di Lione, che era Primate di Gallia, quindi lo scomunicò e papa Onorio II lo convocò a Roma per sottoporlo a processo. Ponzio si recò dal papa, ma durante il soggiorno si ammalò e in breve morì e ovviamente alcuni parlarono di avvelenamento.

Intanto a Campesio, già dal 1125 arrivavano copiose donazioni da parte dei Da Romano/Ezzelini e dei Campignaga, che continuarono anche negli anni successivi da parte di altri possidenti. Per assicurane il futuro, gli Ezzelini (che avranno diversi membri tra i monaci), il giorno di domenica 3 luglio 1127, di fonte all’altare della chiesa, sottoscrissero un atto di donazione del monastero di Campese all’abbazia di San Benedetto di Polirone (oggi San Benedetto Po) rappresentata dall’abate Enrico, alla quale già dal 1124 era stata unita anche l’abbazia padovana di Praglia. Polirone decenni prima era stata una potente figlia di Cluny, e l’importanza di Campese non ne venne sminuita, anche se ridotto al rango di Priorato, le donazioni continuavano, arrivando anche dai potenti signori di Caldonazzo. Il monastero arrivò ad avere estesissimi possedimenti, consistenti in terreni boschivi, coltivazioni, fattorie, canali, molini. I coloni godevano dei privilegi e delle prerogative del monastero. Lo stesso celeberrimo ponte di legno di Bassano, si dice sia una replica di un ponte identico più antico edificato dai monaci che univa Campese con il capoluogo.

Sorsero contrasti con la pieve di Santa Giustina di Solagna, sia per le decime che per la cura d’anime. Ma i monaci di Santa Croce, in spregio a Solagna, ottennero di elevare a pieve l’oratorio di San Martino di Campese. Sorsero diverse altre cappelle dipendenti da Campese, come a Foza, a Oliero, a Sandono. Con la fine dei da Romano, principali protettori del cenobio, Campese entrò in crisi, soprattutto a causa dei postumi delle guerre che questi avevano scatenato e che avevano messo in difficoltà molti coloni, i quali non riuscivano più a pagare i canoni, ciononostante Campese riuscì a conservare i suoi possedimenti, ma nel XVI secolo, come molte altre realtà conventuali, si trovò sull’orlo della catastrofe a causa delle continue lotte tra Verona e Padova, le cui armate si installavano a turno nel monastero, depredandolo.

La vita religiosa in questo periodo era in decadenza, la stessa abbazia di Polirone era stata annessa alla Congregazione di Santa Giustina di Padova, che sotto la guida dell’abate Ludovico Barbo, aveva iniziato una riforma dell’Ordine Benedettino, e Campese ne seguì le sorti.

Nel 1538 a Campesio venne confinato fino alla morte il benedettino mantovano (Girolamo) Teofilo Folengo (1491-1544), geniale poeta maccheronico, noto con lo pseudonimo di “Merlin Cocai” o “Limerno Pitocco”; dopo di lui giunsero altri monaci ritenuti troppo “riformatori”. Dopo il concilio di Trento alcune cose cominciarono a cambiare. La sua fama fu celebrata da molti, anche il modenese Alessandro Tassoni lo cita nella sua popolare opera comica “La Secchia Rapita”: “Campese, la cui fama all’Occidente e a termini d’Irlanda e del Catajo stende il sepolcro di Merlin Coccaio” (La secchia Rapita, 8, 24).

La grave crisi economica del XVII secolo colpì anche il monastero, che fu sottoposto a ipoteca, la stessa abbazia madre di Polirone, stava attraversando un periodo molto difficile e tra le due istituzioni ci furono anche delle tensioni. Le controversie con il comune di Campese aumentarono, sia per il pagamento dei tributi che per l’uso dei terreni, specie boschivi, oltre che per il possesso dell’oratorio di San Martino, che era la parrocchiale del paese.

La vita dell’abbazia proseguì a stenti, fino alle disposizioni napoleoniche; con la morte dell’ultimo benedettino residente di Santa Croce, il 27 gennaio 1812, la storia del monastero si concluse.

Lo stemma di questa istituzione è tutt’ora presente scolpito sulla facciata della chiesa parrocchiale, che fu la chiesa abbaziale, mostra un pastorale affiancato dalle lettere S e B, evocative di Sanctus Benedictus, padre dell’Ordine. Il blasone, confrontando altri esempi benedettini, si può ricostruire come: “d’azzurro, al pastorale rivoltato d’oro, affiancato dalle lettere capitali S e B d’argento”.

Nota di Massimo Ghirardi

Liberamente tratto da Federico Cabianca, in “Padova Sorprende” (https://padovasorprende.it/un-piccolo-monastero-con-una-grande-storia-santa-croce-di-campese/).

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


Logo


Altre immagini


Nessun'altra immagine presente nel database

Profilo araldico


“D’azzurro, al pastorale rivoltato d’oro, affiancato dalle lettere capitali S e B d’argento”.

Oggetti dello stemma:
lettera capitale, pastorale
Attributi araldici:
affiancato, rivoltato

LEGENDA

  • stemma
  • gonfalone
  • bandiera
  • sigillo
  • città
  • altro
  • motto
  • istituzione nuovo comune