Abate Filippo Juvarra


Abate Filippo Juvarra

Il celebre architetto messinese Filippo Juvarra,  adottò come stemma proprio quello dei nobili spagnoli Guevara, per attestare l’origine iberica della famiglia.

Stemma della famiglia Guevara – Juvarra

Lo stemma si blasona: “inquartato: nel 1º e 4º d’oro con tre bande di nero [alias: di rosso] caricate da tre cotisse d’armellino; nel 2º e 3º di rosso a cinque foglie di pioppo d’argento disposte 2, 1, 2”.

 

Lo stemma antico dei Guevara è quello nel 1° e 4° quarto, nel 2° e nel 3° è associato lo stemma che i Guevara avrebbero adottato, secondo la leggenda, dopo una cruenta battaglia combattuta  nel Medioevo tra i versanti Oñacino e Gamboíno nella catena montuosa Alava di Arrato, così sanguinosa che il fiume Zadorra divenne rosso di sangue e le foglie di pioppo bianco, sparse sopra, vi risaltarono per contrasto. Nell’araldica spagnola si definiscono “panelas” (“de plata” nel nostro caso) e sono una figura simile a una foglia a forma di cuore con il picciolo rivolto verso l’alto.

 

Guevara è un nome originario del comune basco di Barrundia, precisamente da un villaggio denominato Gebara (Guevara, in castigliano) nella provincia di Álava, in uso almeno dal XIII secolo (è riscontrato per la prima volta in un documento del 1232 sottoscritto da Ladrón Vélez de Guevara).

 

Un ramo della famiglia Guevara si insediò nel XV secolo nel Regno di Napoli al seguito di Alfonso V d’Aragona, asceso al trono napoletano nel 1442. Il ramo italiano assunse sul finire del XVIII secolo il nome Guevara Suardo, estinguendosi ai primi del Novecento nella linea maschile.

 

Filippo Juvarra adottò uno stemma intorno al 1705 durante il soggiorno romano che lo vide vincitore al Concorso Clementino e l’anno seguente accademico di merito dell’Accademia di San Luca (lo stemma serviva per la registrazione negli archivi). Dei Guevara adottò anche il motto: «Potius mori quam foedari» («piuttosto morire che perder l’onore»)

 

Un bell’esempio dello stemma abbaziale lo si può vedere nel sigillo che Juvarra appose sulla lettera indirizzata ad Antonio Pelleri, 27 giugno 1733 dove si vede il cappello abbaziale, titolo al quale l’architetto preferiva di gran lunga quello di Cavaliere dell’Ordine Portoghese del Cristo, concesso dal re del Portogallo Giovanni V nel 1720.

 

Lo stemma è pressoché identico a quello di Giovanni de Guevara che fu vescovo di Sant’Agata de’ Goti dal 1523 al 1556 (il cui galero però è verde, in quanto vescovo, e non nero come quello abbaziale).

 

Filippo Juvarra nacque a Messina, il 7 marzo 1678, figlio di Pietro ed Eleonora Tafurri (o Tafuris), sposata in seconde nozze nel 1668 dopo la morte della prima moglie Caterina Donia. Artisticamente Filippo si formò nella bottega del padre argentiere, dal quale apprese i rudimenti dell’argenteria e del disegno, in parallelo agli studi teologici, ai quali venne avviato all’età di dodici anni. Nella bottega del padre l’adolescente Filippo eseguì opere di arte orafa e argenteria anche di un certo pregio.

 

Ordinato sacerdote nel 1703, Juvarra decise di trasferirsi a Roma, per perfezionare le proprie conoscenze teoriche e pratiche dell’architettura e delle arti in generale, fu ospite della famiglia Passalacqua presso via dei Leutari, in un quartiere densamente abitato da messinesi.

Sulla sua formazione (ma anche sulla sua futura carriera da architetto) incise profondamente la sua condizione di ecclesiastico, tanto che a Roma fu inizialmente protetto da Tommaso Ruffo, eminente membro della Chiesa romana e maestro di camera di Clemente XI.

L’incontro decisivo fu con l’architetto Carlo Fontana, conosciuto grazie all’intermediazione di monsignor Ruffo, che lo accolse come discepolo.

Tracce dell’inventiva juvarriana sono avvertibili già nel 1701, anno in cui progettò gli apparati per le feste dell’incoronazione del sovrano di Spagna, Filippo V, con una notevole «piramide degli orefici e argentieri»; nell’agosto 1704, invece, eseguì «fantasie» architettoniche a carattere antiquario.

 

Tornato a Roma nel 1706 studiò architettura con Francesco Fontana, figlio di Carlo, con il quale intraprese una fattiva collaborazione. A dicembre si recò a Lucca, dove si misurò con il completamento del Palazzo Pubblico, lasciato incompiuto da Bartolomeo Ammannati; al contempo, progettò diverse ville per la colta e raffinata nobiltà lucchese, dimostrando una grande capacità di adattare l’approccio fontaniano al tema della villa rinascimentale, come per le ville Controni a Monte San Quirico e Guinigi alla Marina di Viareggio.

Il 31 dicembre 1706, quando era ancora a Lucca, Juvarra ricevette la prestigiosa nomina ad Accademico di Merito dell’Accademia di San Luca.

 

Pochi mesi dopo, il 26 aprile 1707, Juvarra ricevette la nomina a insegnante unico di architettura presso l’Accademia di San Luca; si trattò di una carica che ricoprì con grande impegno.

 

Il card. Pietro Ottoboni chiamò Juvarra come proprio architetto scenografo nel 1708 e per lui e la Curia romana, Juvarra eseguì numerose opere tra architetture effimere, apparati decorativi e addobbi funebri, tutte preparate nella casa-laboratorio a palazzo Tuccimei, in piazza Navona, dove nel frattempo aveva preso alloggio. Il cardinale lo accolse tra i membri dell’illustre Accademia d’Arcadia nel 1712 con il nome pastorale di Bramanzio Feesseo. Intanto proseguiva la sua attività didattica, tra i suoi allievi ebbe Luigi Vanvitelli, (o meglio van Wittel, figlio dell’amico pittore Gaspar van Wittel).

 

Nel luglio 1714, infatti, il marchese Francesco Aguirre si recò a Messina per accogliere il nuovo re Vittorio Amedeo di Savoia, che aveva ottenuto la corona di Sicilia, in seguito al trattato di Utrecht. Il marchese Aguirre, chiamò Juvarra (compagno all’Arcadia), come architetto di corte. Tra Juvarra e Vittorio Amedeo si formò un saldo affiatamento, che gli fecero ottenere il ruolo di «primo architetto civile» del Regno.  

 

Nel 1714 ebbe l’incarico per l’erezione di una grande basilica intitolata alla Vergine sul colle di Superga, voluta da Vittorio Amedeo come mausoleo sabaudo e tempio votivo per la vittoria sui francesi del 1706. La Real Chiesa verrà completata nel 1731. Juvarra progettò anche le facciate delle chiese gemelle di piazza San Carlo, su commissione di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (delle quali venne realizzata solo quella di Santa Cristina).

Intanto, su incarico della regina Anna Maria di Orléans, riprogettò la seicentesca Villa della Regina che sorge sulla collina torinese in faccia alla città, tramutandola in un vero luogo di delizie.

 

L’intensa attività architettonica dello Juvarra negli anni successivi riguardò l’ampliamento occidentale della città sabauda, la realizzazione della facciata e dello scalone a due rampe di palazzo Madama, la reggia di Venaria, parzialmente costruita su progetto di Amedeo di Castellamonte, il castello di Rivoli, la chiesa di Santa Croce, la chiesa di San Giacomo di Campertogno.

 

Juvarra si recò nel dicembre 1718 a Lisbona, su invito ufficiale del re Giovanni V, per la realizzazione della chiesa patriarcale di Lisbona e del nuovo Palazzo Reale di Bellas Aires, che non ebbero buon esito, ma Juvarra riuscì comunque a guadagnarsi le simpatie del re, che gli offrì un cospicuo vitalizio e lo decorò con la Croce di Cavaliere dell’Ordine di Cristo.

 

In seguito al rimpatrio dopo un lungo giro per l’Europa, nell’inverno del 1720, Juvarra si recò a Roma, continuando l’intenso rapporto con Vittorio Amedeo per le innovazioni di Palazzo Reale a Torino.

 

Portatosi a Lucca con una speciale licenza regia, nell’ottobre 1723, si dedicò al Palazzo Pubblico e ai progetti per il Duomo e la villa Mansi a Segromigno.

 

Tra il 1724 e il 1726 Juvarra costruì la propria casa studio, in via San Domenico, su un terreno donatogli dal re. Nel dicembre 1724 tornò a Roma, dove progettò, un “Palazzo dei Conclavi” che non ebbe esito, ma procurò a Juvarra la carica onorifica di architetto della Fabbrica di San Pietro, titolo assegnato in precedenza al Bernini e a Carlo Fontana.

 

Ritornato a Torino, si impegnò in numerosi incarichi di prestigio, tra i quali la realizzazione della palazzina di caccia di Stupinigi.

 

Nel 1728 Vittorio Amedeo II lo propose come abate (commendatario) di Santa Maria di Selve, nomina confermata dal papa con bolla del 22 dicembre 1727, abbazia vercellese già dipendenza dell’abbazia vallombrosana di San Bendetto di Muleggio (attuale frazione di Salasco), fondata nel XIII secolo, venne resa autonoma con il titolo di Santa Maria delle Selve. Juvarra se ne interessò il necessario, affidandone l’amministrazione ad un procuratore, don Francesco Antonio Guelpa. La modesta chiesa dell’antico priorato verrà ricostruita dall’allievo di Juvarra: Tommaso Antonio Prunotto nel 1740 (entrambi i cenobi verranno soppressi nel 1792, l’ultimo abate commendatario di Selve sarà il cardinale Giacinto Gerdil, con un decreto del 17 marzo 1801, il governo francese assegnò i beni di Selve e Muleggio “in dote” ai religiosi dell’Ospizio del Gran S. Bernardo, per la costruzione di un nuovo ospizio al Colle del Moncenisio).

 

Nel 1733 presentò a Mantova il progetto della cupola della basilica di Sant’Andrea e il re Filippo V di Spagna, lo chiamò a Madrid per il completamento del Palazzo Reale. Nella capitale iberica, dopo dieci mesi di attività durante i quali si occupò anche del palazzo di Aranjuez e della Granja de San Ildefonso, Filippo Juvarra morì il 31 gennaio 1736 stroncato da una polmonite. Le sue esequie furono celebrate a Madrid a spese della corte borbonica e fu sepolto infine nella chiesa di San Martin y del Sacramento.

 

© 2024, Note di Massimo Ghirardi

 

Bibliografia:

 

Merlotti (Andrea), Lo stemma, il rango e la memoria del «cavaliere don Filippo Juvara, architetto».in “La forma del pensiero. Filippo Juvarra. La costruzione del ricordo attraverso la celebrazione della memoria”, a cura di C. Ruggero, Roma, Campisano, 2008, pp. 89-108.

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Altre immagini



Profilo araldico


“Inquartato: nel 1º e 4º d’oro con tre bande di nero [alias: di rosso] caricate da tre cotisse d’armellino; nel 2º e 3º di rosso a cinque foglie di pioppo d’argento disposte 2, 1, 2”.

Pezze onorevoli dello scudo:
banda, cotissa
Attributi araldici:
caricato, posto 2-1-2

LEGENDA

  • stemma
  • gonfalone
  • bandiera
  • sigillo
  • città
  • altro
  • motto
  • istituzione nuovo comune