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Info
- Codice Catastale: I216
- Codice Istat: 87046
- CAP: 0
- Numero abitanti: 1663
- Altitudine: 0
- Superficie: 23.62
- Prefisso telefonico: 0
- Distanza capoluogo: 0.0
Storia del Comune e informazioni Emblemi civici
Lo stemma del Comune di Sant’Alfio è stato concesso con RD datato al 2 agosto 1929, con il blasone: «Tagliato da una sbarra d’argento: nel primo di rosso, a tre corone all’antica d’oro, male ordinate; nel secondo, campo di cielo, al Castagno dei Cento Cavalli, fondato su campagna erbosa, al naturale. Ornamenti esteriori da Comune.»
Contestualmente è stato concesso anche il gonfalone che consta di un «drappo di azzurro…» standard caricato dello stemma comunale.
Gli elementi caratterizzanti dell’emblema sono le tra corone, simboleggianti i tre fratelli martiri Alfio, Filadelfo e Cirino, patroni del capoluogo, e il monumentale Castagno dei Cento Cavalli.
Secondo la leggenda, una non meglio precisata Regina di Napoli, con al seguito cento cavalieri e dame fu sorpresa da un temporale, durante una battuta di caccia, nelle vicinanze di un grande castagno e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto la notte sotto le fronde dell’albero in compagnia, si dice, di più amanti fra i cavalieri al suo seguito (forse non cento come allude la denominazione popolare).
In molti si sono cimentati nell’identificazione della “regina”: forse Giovanna d’Aragona o, oppure l’imperatrice Isabella d’Inghilterra (terza moglie di Federico II), secondo altri ancora: Giovanna I d’Angio, la cui vicenda è collegata all’episodio dei Vespri Siciliani, ma è certo che la regina angioina, pur essendo nota per una certa dissolutezza nelle relazioni amorose, non fu mai in Sicilia.
Nell’Ottocento il poeta siciliano Giuseppe Borrello mette il versi la leggenda prpendendo per quest’ultima regina. Nino Muccioli (Leggende e racconti popolari della Sicilia, 2012), riporta la singolare credenza secondo la quale. chivoleva essere sicuro di avere un figlio maschio (ambizione molto diffusa nella cultura contadina) doveva concepirlo sotto la sua chioma, come testimonia tale Tanu, un massaro che era riuscito ad avere due gemelli maschi dopo tre figlie femmine.
Il Castagno dei Cento Cavalli è un albero di castagno (Castanea sativa) plurimillenario ubicato alle pendici orientali dell’Etna, nel bosco di Carpineto, nel territorio comunale di Sant’Alfio che, per la sua rilevanza lo ha adottato nello stemma civico. Lo si ritiene il più grande d’Italia (secondo alcuni il più grande e antico d’Europa e uno dei più antichi al mondo) ed è oggetto di uno dei più antichi atti di tutela naturalistica – se non il primo del genere – in Italia (il 21 agosto 1745 un atto dal «Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia» metteva sotto tutela il Castagno dei Cento Cavalli ed il vicino Castagno della Nave), è stato studiato da diversi botanici e visitato da molti personaggi illustri in epoche passate.
Nel 1982 il Corpo forestale dello Stato lo ha inserito nel patrimonio italiano dei monumenti verdi.
Nel 2021 è stata eletto « albero italiano dell’anno 2021 » mentre uno studio del C.R.E.A. del 2022 ne ha ricalcolato l’età: 2 200 anni.
Le prime notizie storiche sul Castagno dei Cento Cavalli sono documentate dal XVI secolo.
L’origine del nome del capoluogo è legato alla tradizione religiosa. Tre fratelli, Alfio, Filadelfo e Cirino, furono deportati in Sicilia per essere martirizzati nel 253 d.C. Durante il loro viaggio verso Lentini, attraversando il luogo dove oggi sorge Sant’Alfio avvenne il cosiddetto “miracolo della trave“: un improvviso vento si scatenò violento al loro passaggio, scagliando via la trave che portavano sulle spalle (vedi oltre).
Le origini dell’abitato compreso nella Contea di Mascali risalgono alla fine del XVII secolo, quando alcuni proprietari acesi e catanesi, ottennuta dal Vescovo di Catania la concessione in enfiteusi di notevoli appezzamenti di terreno sul versante sud-orientale dell’Etna, nel territorio di Mascali, costruirono i primi caseggiati rurali. Risale, invece, agli inizi del XVIII secolo la costruzione del centro cittadino sorto attorno alla Chiesa Madre.
Nel 1815 Giarre si staccò dalla Contea di Mascali portando con sè la borgata di Sant’Alfio, che costituiva una delle sette torri della contea. Solo nel 1923, ufficialmente nel 1925, divenne comune autonomo, staccandosi da Giarre, di cui era stato frazione dal 1815. In questo frangente fu supportato dalle vicine Milo e Fornazzo, che all’epoca erano a loro volta piccole frazioni del paese, che ottennero l’autonomia solo nel 1955.
Nei secoli il paese si sviluppò grazie alla coltivazione della vite, da cui si derivava un vino pregiato, scuro e di elevato tenore alcolico, che raggiungeva le tavole dei cavalieri di Malta e quelle dei generali inglesi. Divenuto nell’Ottocento produttore ed esportatore di vino tra i più importanti dell’area etnea.
Secondo l’agiografia contenuta nel Menologio dell’imperatore Basilio Porfirogenito, redatto nel 984 (opera, composta su ordine dell’ imperatore da Simone Metafraste, che contiene brevi elogi di Santi che, ordinati secondo i mesi dell’anno, venivano letti durante le celebrazioni liturgiche) Alfio, Filadelfo e Cirino nacquero a Vaste, un piccolo centro pugliese vicino a Lecce, intorno al 230; il padre Vitale e la madre Benedetta Locuste, erano entrambi di origini aristocratiche e cristiani. In tenera età perdono la madre che, per prima, dopo aver dichiarato pubblicamente la sua fede e denunciato le ingiustizie perpetrate nei confronti dei cristiani, affronta il martirio. Nel 249 diventa imperatore Decio che scatena una terribile persecuzione contro i cristiani e che continua anche dopo la sua morte. In Puglia viene inviato il prefetto Nigellione che, con l’accusa di ribellione verso la religione degli avi, fa arrestare Vitale, i tre figli, il nipote Erasmo e il loro maestro Onesimo. I tre fratelli vengono sottoposti a terribili torture per indurli a rinnegare Cristo. Nigellione, non volendo condannare a morte cristiani appartenenti ad una delle più influenti famiglie patrizie romane, decide di mandarli a Roma. Qui vengono rinchiusi nel carcere mamertino e incatenati a grosse catene. Durante la notte ricevono in sogno la visita di San Pietro e San Paolo (anche loro erano stati reclusi nello stesso carcere) i quali, dopo aver indicato i terribili supplizi che avrebbero dovuto affrontare, spezzano le loro catene. I prigionieri vennero condotti davanti a Cornelio Licinio Valeriano, il vice di Decio che si trovava in Oriente a combattere contro i persiani. Vista la fermezza con cui i tre giovani continuarono a proclamare la loro fede in Cristo, Valeriano prima li fece flagellare e poi li inviò a Pozzuoli da Diomede, famoso per la sua crudeltà. Per costringere i tre fratelli a rinnegare la loro fede, Diomede li fece assistere al martirio del loro maestro Onesimo e alla decapitazione del cugino e di altri loro compagni, ma i tre giovani si dimostrarono irremovibili. Inviati quindi in Sicilia, per comparire davanti a Tertullo, dopo tre giorni di navigazione sbarcarono in Sicilia il 25 agosto del 252. A Taormina, Tertullo non riuscendo a convincere i tre fratelli a tornare alla religione dei loro antenati, fece tagliare i loro capelli biondi, fece versare sul loro capo della pece bollente, quindi li fece condurre a Lentini incatenati per il collo a pesanti travi di legno. Lungo la strada una colata lavica impedisce l’accesso alla via costiera per cui il convoglio è costretto a viaggiare attraverso i tornanti dell’Etna.
Nel punto dove oggi si trova Sant’Alfio, Filadelfo, stremato dalla fatica, chiese ai fratelli di pregare insieme a lui Dio affinché lo sostenesse durante questa terribile prova. Scoppiò allora una tempesta che spezzò le travi di legno e apparve loro sant’Andrea per confortarli. Al termine della tempesta i tre giovani riacquistarono la loro bellezza e il loro vigore. Tra la fine di agosto e l’1 settembre giunsero a Trecastagni e trovarono riposo proprio dove oggi sorge il Santuario edificato in loro onore. Una volta giunti a Catania vennero rinchiusi nel carcere che si trova oggi sotto la chiesa dei Padri Minoritelli (via A. di San Giuliano). Giunti al fiume Simeto bennero costretti dai soldati ad attraversare il fiume nonostante sia ingrossato a causa delle recenti piogge. Prodigiosamente le acque al loro passaggio si ritirarono e i fratelli raggiunsero salvi la riva opposta. Giunti a Lentini grazie alle loro preghiere, liberarono un giovane ebreo indemoniato provocando numerose conversioni in città. Il 3 settembre vennero consegnati ad Alessandro, vice di Tertullo che li fece rinchiudere in carcere, dove attendono il ritorno di Tertullo (impegnato in oriente in una campagna militare), grazie alla loro intercessione avvenne la guarigione di Tecla, la nobile cugina di Alessandro paralizzata e della giovane Giustina, cugina di Tecla, colpita da cecità. La guarigione di Tecla e di Giustina, spingono anche Alessandro ad abbracciare la fede cristiana.
Tertullo una volta rientrato a Lentini, allorché scoprì che venti dei suoi soldati erano diventati cristiani, prima li fece flagellare e poi li condannò alla decapitazione e ordina che i tre fratelli siano condotti al suo cospetto. Sorpreso che sul loro corpo non si vedevano segni delle torture subite, cercò per otto mesi di convincerli ad abbandonare la loro fede. Alla fine, spazientito anche per il continuo aumento delle conversioni, li condannò a morte il 10 maggio dell’anno 253. Prima al ventiduenne Alfio venne strappata la lingua; Filadelfo, che aveva ventun’anni, venne posto su una graticola incandescente e Cirino, il più giovane dei tre di soli diciannove anni, venne immerso in una caldaia di pece bollente ed infine tutti decapitati. I loro corpi vennero recuperati da Tecla e Giustina che li seppellirono in una grotta dove, finite le persecuzioni, venne costruita una chiesa in loro onore.
La devozione verso i tre Santi molto sentita a Sant’Alfio ed è legata anche alle eruzioni dell’Etna del novembre 1928 e del maggio 1971, quando l’intercessione dei tre Santi, il paese si è salvato dalle colate di lava. In segno di ringraziamento del miracolo del 1928, in località Magazzeni, luogo in cui la lava che minacciava il paese di Sant’Alfio si arrestò, venne costruito, nel 1958 trent’anni dall’evento, un piccolo santuario che custodisce una tela che ritrae i tre Santi Fratelli
Nota di Massimo Ghirardi
STEMMA RIDISEGNATO

Reperito da: Anna Bertola
Disegnato da: Massimo Ghirardi
STEMMA ACS

STEMMA UFFICIALE

LOGO

BLASONATURA
«Tagliato da una sbarra d’argento: nel primo di rosso, a tre corone all’antica d’oro, male ordinate; nel secondo, campo di cielo, al Castagno dei Cento Cavalli, fondato su campagna erbosa, al naturale. Ornamenti esteriori da Comune.»
ATTRIBUTI
SMALTI
OGGETTI
OGGETTI
ALTRE IMMAGINI
GONFALONE RIDISEGNATO

Disegnato da: Bruno Fracasso
GONFALONE UFFICIALE

BLASONATURA
“Drappo di azzurro…”
COLORI
ALTRE IMMAGINI
LEGENDA