Comune di Bonorva – (SS)

Informazioni

  • Codice Catastale: A978
  • Codice Istat: 90013
  • CAP: 7012
  • Numero abitanti: 3728
  • Nome abitanti: bonorvesi
  • Altitudine: 508
  • Superficie: 149.55
  • Prefisso telefonico: 79
  • Distanza capoluogo: 52.6

Storia dello stemma e del comune

L’origine del toponimo è incerta. Secondo alcuni studiosi potrebbe essere una parola composta dall’aggettivo latino “bona” e dal sostantivo “urbs” o “urbis” (città).

Il comune di Bonorva fa parte della Comunità Montana del Logudoro.

I comuni confinanti sono: Semestene, Giave, Macomer, Bolotana, Torralba, Nughedu San Nicolò, Ittireddu, Mores, Illorai, Bottida, Bono.

  • Altre informazioni:

    L’abitato di Bonorva è posto su un costone dell’altopiano di Campeda, ad un’altitudine di 508 metri sul livello del mare. Il primo riferimento certo alla sua esistenza è contenuto nel Condaghe di San Nicolò di Trullas, documento compilato dai monaci camaldolesi (importante in quanto riporta numerose informazioni sia sulla società che sull’economia dell’epoca) ove è menzionata la notizia di una donazione da parte di tale Pietro Athen a favore del monastero. Si pensa, tuttavia, che il toponimo indicato nel documento facesse riferimento non tanto all’abitato quanto al territorio di Bonorva. Sicuro riferimento al borgo è invece quello contenuto nel Codice di San Pietro di Sorres, atto inedito logudorese del XV secolo, che lo cita con il nome di “Bonorba”, probabile derivazione dal latino “Bonus Orbis” (ovvero buona terra, con riferimento verosimilmente alla fertilità ed all’abbondanza di pascoli), da cui discenderebbe l’attuale denominazione..
    Il territorio di Bonorva è stato crocevia di molteplici civiltà, come attesta la presenza di numerosi reperti archeologici di varie epoche. Oltre ai monumenti di origine nuragica, si conservano tracce della presenza punica, la cui più cospicua testimonianza è quella della fortezza di San Simeone sull’altopiano di Campeda, edificata a difesa del territorio ed a controllo delle vie di comunicazione tra nord e sud della Sardegna. Numerose le testimonianze della dominazione romana, specie nella pianura di Santa Lucia ove sono stati rinvenuti pietre miliari di epoca imperiale, macine e cippi funerari, oltre ad un edificio non distante da Rebeccu noto localmente con il nome di “Sas Presones”, probabile avanzo di una mansio (stazione di posta) sul tracciato di una via romana.
    Bonorva ha dato i natali al letterato Paolo Mossa (1821-1892), all’uomo politico e saggista Giovanni Antioco Mura (1882-1972) ed al poeta in lingua sarda Giuseppe Sotgiu (1914-2008).
    Il centro, che oggi conta circa 4300 abitanti, vanta numerosi monumenti, tra cui in primo luogo va citata la chiesa parrocchiale di Santa Maria Bambina, edificata in uno stile architettonico che fonde armoniosamente elementi romanici, tardo gotici, rinascimentali ed aragonesi; nel presbiterio è custodita la grande tela raffigurante Santa Maria (XVII secolo) dell’artista fiorentino Baccio Gorini. Sul lato destro della facciata è posto l’alto campanile, con base a pianta quadrata e cella campanaria ottagonale sormontata da cuspide slanciata. Vanno inoltre menzionate la chiesa di S. Antonio di Padova del XVII secolo, la quale conserva un pregevole altare ligneo in stile barocco recentemente restaurato; la chiesa di Santa Vittoria, ove si raccoglieva l’antico nucleo di Bonorva; la chiesa di S. Giovanni (anch’essa sottoposta a restauro), sede della confraternita della Santa Croce, risalente al XII secolo ma ampliata e rimaneggiata nel XVII secolo. Non va dimenticata poi la biblioteca comunale, sita nel pianterreno del convento attiguo alla chiesa di S. Antonio, la quale con oltre 22.000 volumi costituisce la principale fonte di informazione culturale cittadina.

    Il borgo di Rebeccu
    Il borgo di Rebeccu, che sorge a breve distanza da Bonorva, è caratteristico per le case scolpite nella roccia calcarea, e per le strette vie, lastricate in pietra. Nei suoi dintorni si conservano tracce di un’antica strada romana che collegava Cagliari ad Olbia, anche se finora non è stato determinato il suo percorso esatto. Si ritiene comunque che nei suoi pressi sorgesse una stazione militare di cui fa menzione l’antico “Itinerario Antonino”, contenente la descrizione delle principali strade romane dell’epoca. In epoca medievale fu un centro di notevole importanza, quale capoluogo della curatoria di Costaval, nel Giudicato di Torres. Sempre nel periodo medievale, di cui rimangono le testimonianze più documentate, nei pressi di Rebeccu esistettero due località, ossia la Villa di Addes ed il nucleo religioso di San Pietro di Monticleta, costituito dai monaci camaldolesi di Trullas (Semestene). Nel XIII secolo Rebeccu seguì le sorti di Bonorva, con l’incorporazione al giudicato di Arborea. A metà del XIV secolo fu oggetto di incendio e saccheggio, ma di lì a poco divenne sede di abitazione dell’Amministratore di Costa de Addes. Nel XV secolo iniziò il lento declino del borgo, con conseguente spopolamento, che si è protratto fino ai nostri giorni. Recentemente l’Amministrazione comunale di Bonorva ha provveduto alla sua rivalutazione sia come località di interesse storico, sia quale sede di eventi come il “Rebeccu Film Festival”, che ad ogni edizione richiama una grande partecipazione di pubblico proveniente da tutta la Sardegna.

    La fonte sacra di “Su Lumarzu”
    In prossimità della piazza di Rebeccu un piccolo sentiero sterrato conduce alla fonte prenuragica di “Su Lumarzu” che, a giudizio dello studioso udinese Antonio Taramelli (1868-1939), rappresenta un autentico gioiello di architettura preistorica. Della fonte colpisce l’accuratezza dei particolari costruttivi, realizzati in blocchi di basalto, e la presenza di un’area dotata di sedili, che avvalorerebbe l’ipotesi di chi la ritiene un vero e proprio recinto sacro ove i partecipanti ai riti si raccoglievano intorno alla sorgente, probabilmente per prendere parte a cerimonie che prevedevano abluzioni con fini purificatori. L’ipotesi parrebbe ulteriormente confermata dalla presenza nelle vicinanze di scale e strutture murarie nascoste dalla fitta vegetazione, le quali facevano verosimilmente parte di un complesso destinato a scopi rituali. In epoca successiva, con la diffusione del cristianesimo in Sardegna, la fonte fu adibita a luogo di culto, come testimonia il fatto che sulla faccia inferiore della lastra di chiusura è stata incisa una croce latina. Una ulteriore conferma in tal senso è data dal ritrovamento nei pressi della fontana di alcune monete di origine bizantina.

    La chiesa di San Lorenzo
    La chiesa campestre di San Lorenzo sorge in posizione isolata sulla sommità di una piccola altura, visibile dal lato destro della stradina che conduce all’abitato di Rebeccu. L’edificio, secondo gli archeologi, è probabilmente databile intorno alla seconda metà del XII secolo, sia per le sue caratteristiche strutturali, sia per il ritrovamento al suo interno di un sigillo di Barisone II, Giudice di Arborea dal 1146 al 1186, forse proveniente dalla pergamena di consacrazione dell’altare. La chiesa, in stile romanico, presenta un’unica navata ed è delimitata nel suo perimetro da murature realizzate in blocchi calcarei perfettamente squadrati, intercalati da conci scuri di basalto soprattutto nella facciata, che conserva il bel portale con architrave sormontato da un arco a tutto sesto accentuato appunto dal contrasto bicromatico tra le due varietà di pietra. L’aula è illuminata da due finestrelle cruciformi, presenti in entrambi i frontoni. Sulla sommità della facciata è posto il piccolo campanile a vela, realizzato in epoca posteriore con minore accuratezza costruttiva. La chiesa, che nel XIX secolo fu in parte sottoposta a demolizione allo scopo di utilizzare i suoi materiali nell’edificazione della parrocchiale di Rebeccu, è stata restaurata alla fine del XX secolo in una forma architettonica più vicina alla sua costruzione originale.

    La Necropoli di S. Andrea Priu
    A breve distanza da Rebeccu, lungo la strada che porta alla chiesa campestre di Santa Lucia, si trova la necropoli ipogeica di S. Andrea Priu. Posta lungo il versante meridionale di una rupe di trachite in prossimità della chiesa campestre di Santa Lucia, rappresenta ai nostri giorni una delle aree archeologiche di maggior interesse presenti in Sardegna e nel bacino del Mediterraneo. Il complesso, risalente ad epoca neo-eneolitica (IV-II millennio a. C.), è composto da circa venti tombe, scolpite lungo il costone di trachite e negli affioramenti rocciosi circostanti. Le tombe sono quasi tutte di architettura complessa, in quanto ripartite in più ambienti. La celebrità e l’importanza storica ed archeologica della necropoli derivano soprattutto dal fatto che all’interno di alcune tombe sono state riprodotte le coperture delle abitazioni dell’epoca. In particolare, sono tre gli ipogei che presentano tale interessante caratteristica architettonica, vale a dire la Tomba del Capo, la Tomba a Capanna e la Tomba a Camera.
    La Tomba del Capo è la maggiore della necropoli e si compone di 18 ambienti, di cui 3 di maggior ampiezza disposti lungo l’asse centrale, oltre che di 14 celle di minori dimensioni ripartite intorno al nucleo principale dell’ipogeo.
    La Tomba a Capanna è a pianta circolare; presenta nell’ingresso fossette per offerte ricavate nel pavimento, che si ritrovano anche all’interno della cella vera e propria. Il soffitto è di forma conica, scolpito in modo da riprodurre fedelmente il tetto di una capanna dell’epoca.
    La Tomba a Camera è invece a pianta rettangolare, con tetto a due spioventi laterali inclinati sostenuto alle estremità da due pilastri.
    In epoca bizantina e medievale, i tre ambienti principali della necropoli furono destinati al culto cristiano, come attesta la presenza di alcuni artistici affreschi recentemente sottoposti a restauro, tra cui un’Annunciazione dell’Angelo a Maria, una rappresentazione della nascita di Gesù, l’adorazione dei Re Magi, il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto e la presentazione di Gesù al Tempio, oltre a una figura del Cristo Benedicente attorniata dai simboli dei quattro Evangelisti.
    Intorno all’area delle tombe ipogeiche di S. Andrea Priu si erge su un costone roccioso la singolare scultura rupestre nota come il “Toro”, per l’aspetto che richiama appunto la figura di grosso quadrupede. La scultura, ricavata da un enorme blocco di trachite, ha un’altezza di circa 2 metri. Presenta quattro gambe monolitiche e si ritiene (da studiosi come il Malatesta) che sia stata decapitata all’epoca della dominazione romana in Sardegna, anche se vi è chi osserva come non si notino fratture, perlomeno di ampiezza tale da confermare la veridicità di detta ipotesi. Secondo alcuni, deve ritenersi che il monumento in origine fosse un altare sacrificale destinato a scopi rituali, mentre per il Taramelli si tratta più probabilmente di una semplice tomba ipogeica, le cui pareti laterali furono successivamente abbattute.

    Nuraghi
    Sono oltre una sessantina i nuraghi ancora presenti nel territorio di Bonorva, che si differenziano per alcune importanti particolarità riguardo l’architettura, il tipo di pianta ed i materiali di costruzione utilizzati. Alcuni purtroppo si presentano in parte crollati, ma diversi sono in condizioni di sufficiente stato di conservazione. Tra i più rappresentativi va ricordato innanzitutto il nuraghe Tres Nuraghes, uno dei più imponenti del territorio bonorvese, che presenta notevole interesse specie per la sua complessità costruttiva, al punto da essere stato inserito in un progetto di valorizzazione promosso dal Comune di Bonorva. Vanno anche citati la fortezza di Abba, edificata a controllo della pianura di Santa Lucia, i nuraghi di Juanne Oghene e di Su Monte, posti a breve distanza da Bonorva, i nuraghi a unica torre di Pianu Edra e di Giolve (con muraglia); quest’ultimo faceva parte (assieme ad altri nuraghi come Appiu, Ferula, Pedras Rujas, Iscolca, Fenosu, S. Simeone) del complesso sistema di baluardi di vedetta che, lungo il margine dell’altopiano di Campeda, controllavano l’accesso alle fertili vallate del Mejlogu.

    Il Museo archeologico
    Il Museo archeologico di Bonorva si trova in un’ala dell’ex convento francescano annesso alla chiesa di S. Antonio. La sua area destinata all’esposizione dei reperti si estende su una superficie di circa 300 metri quadrati ed è ripartita in 4 sale, oltre a 8 piccoli vani comunicanti tra loro.
    Il materiale archeologico custodito nel Museo è prevalentemente costituito di materiale in pietra lavorata, come bétili, cippi sepolcrali, macine, pietre miliari e stele figurate provenienti da varie zone del territorio comunale bonorvese.
    Il programma espositivo è strutturato ricalcando il percorso ideale di un viaggio virtuale nel territorio ed a ritroso nel tempo. Si parte dal centro storico di Bonorva e, attraverso gli insediamenti medievali di Costaval e la chiesa di S. Andrea Priu, si passa al periodo romano.
    Segue la fase della civiltà nuragica, con l’apposita sala che presenta un particolare interesse per il visitatore, in quanto in essa si illustrano gli elementi principali dell’architettura funeraria e sacra, mentre le due stanze adiacenti contengono immagini di nuraghi e villaggi del territorio di Bonorva.
    Il percorso a ritroso si conclude con l’età neolitica. Con riferimento a tale epoca, i pannelli relativi alle domus illustrano i rituali di sepoltura, le caratteristiche architettoniche e gli elementi decorativi scolpiti all’interno degli ipogei neo-eneolitici.
    Le ultime sale sono dedicate alla geologia e all’archivio storico. Nella sala geologica, che attira immediatamente l’attenzione del visitatore, i pannelli illustrano la geologia dell’area, la formazione e le caratteristiche dei vari tipi di rocce (calcare, trachite e basalto), oltre che gli stessi materiali dei reperti archeologici esposti. Filo conduttore del percorso espositivo è lo scultore con i suoi manufatti, a costituire le testimonianze materiali di quel più ampio museo rappresentato dal territorio bonorvese.

    Fauna del territorio di Bonorva
    Il territorio di Bonorva presenta notevole valore naturalistico, sia per la presenza di numerose specie arboree, tra cui leccio, roverella e quercia da sughero, sia per la ricca fauna, comprendente mammiferi come il cinghiale, la volpe, il gatto selvatico ed il topo quercino sardo, oltre a conigli, lepri, donnole e martore. Tra gli uccelli troviamo specie quali gheppi, poiane, astori, pernici sarde, calandre, tortore e colombacci, nonché varietà ormai rarissime come la gallina prataiola, dalle grandi dimensioni e dal comportamento gregario, che predilige le praterie aperte e le aree incolte con vegetazione ad alto fusto, tale da celarne la presenza, e l’imponente aquila reale. Con una buona dose di fortuna è possibile inoltre osservare anche alcune coppie di avvoltoio grifone (il più grande rapace ancora presente in Sardegna) e di nibbio reale, dalla caratteristica coda lunga forcuta; entrambe le specie sono purtroppo a serio rischio di estinzione.

    Notizie tratte dall’archivio comunale di Bonorva a cura di Luigi Prato

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Profilo araldico


“Inquartato; nel I d’azzurro al fascio di spighe d’oro; nel II e III di verde; nel IV d’azzurro al bove passante d’argento”

D.P.R. 10 aprile 1967 – trascritto nei registri dell’Ufficio Araldico a pagina 17 del Registro dell’anno 1967

Colori dello scudo:
azzurro, verde
Partizioni:
inquartato

Gonfalone ridisegnato


Gonfalone Ufficiale


Profilo Araldico


“Drappo partito di azzurro e di verde…”

LEGENDA

  • stemma
  • gonfalone
  • bandiera
  • sigillo
  • città
  • altro
  • motto
  • istituzione nuovo comune

    Decreto del Presidente della Repubblica (DPR)
    concessione
    10 Aprile 1967