San Michele della Chiusa

Abbazia di San Michele della Chiusa – Sacra di San Michele

() – Monaci Benedettini oggi Padri Rosminiani



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Nota come la “Sacra di San Michele” è una notissima meta turistica della valle di Susa, nonché monumento simbolo della Regione Piemonte che sorge alta e imponente sulla vetta del monte Pirchiriano (già Porcariano: denominazioni che testimoniano l’allevamento fin da epoca remota di capre e porci), di fronte al monte Caprasio, sulla sponda destra della Dora Riparia in una stretta della Val di Susa: la “Chiusa”. Si tratta è un luogo celebre della storia d’Italia, essendo punto più stretto della valle fu sempre caratterizzato da robuste fortificazioni di sbarramento, note durante il VI secolo come “Clusae Longobardorum” quando segnavano il confine tra il regno dei Franchi e quello dei Longobardi. Di queste muraglie esistono in loco ancora i resti.

La posizione strategica ne ha fatto scenario per numerose battaglie: la più celebre delle quali fu quella che vide la vittoria del re franco Carlo Magno sul re longobardo Desiderio nel 773.

Secondo la leggende l’arcivescovo di Ravenna, Giovanni Vincenzo da Besate (955-1000), che aveva lasciato il suo incarico e si era ritirato sul monte in eremitaggio, ebbe la visione dello stesso arcangelo Michele, che gli ordinò di erigere un santuario. Gli stessi angeli avrebbero infine consacrato la cappella, che di notte fu vista dalla popolazione della vale come “avvolta” da una grande luce.
Accanto al sacello più antico, Giovanni Vincenzo ne fece realizzare un altro, oggi corrispondente alla cripta.

Sul finire del X secolo, per “per riscattare i suoi peccati” il conte Hugon (Ugone) di Montboissier, governatore di Aurec-sur-Loire (Alvernia) e responsabile dell’Abbazia di Saint-Michael de Cuxa, a Codalet (Pirenei), intervenne finanziariamente per la costruzione di un piccolo cenobio dove un piccolo gruppo di religiosi si occupava dell’ospitalità dei pellegrini.

Per un maggiore controllo delle vie per la Francia (attraverso il Moncenisio e il Monginevro) nel 987 venne promossa la fondazione dell’abbazia benedettina di San Michele, alla quale venne assegnato un esteso territorio (ben oltre i confini della Val di Susa) e il governo venne affidato all’abate Adverto di Lezat, fu in questo periodo che l’architetto Guglielmo da Volpiano disegnò la nuova chiesa basilicale che venne costruita sopra la precedenta cappella, tra il 1015 e il 1030.

I benedettini svilupparono l’abbazia e si occuparono sistematicamente dell’accoglienza dei pellegrini, costruendo il grande edificio della Foresteria che, in caso di bisogno, poteva accogliere e proteggere anche la popolazione locale.

Dalle basi di quello che probabilmente era un antico castrum romano, l’abate Ermengardo, che resse il monastero dal 1099 al 1131, fece realizzare un’opera assai ardita, un impressionante basamento di 6 metri che dalla base raggiunge l’altezza della vetta, e sostiene le tre absidi che portano la costruzione a sfiorare i 1.000 metri di altitudine rispetto ai 962 del monte Pirchiriano; di fatto la vetta rocciosa costituisce una delle colonne portanti della chiesa, tuttora visibile all’interno e identificata grazie alla presenza di una targa con la scritta: “culmine vertiginosamente santo”, del poeta rosminiano Clemente Rebora (XX secolo).

Nel 1381 Amedeo VI di Savoia “il Conte Verde”, per vendicarsi dell’ostilità degli abati chiese a papa Urbano VI la limitazione dell’autorità abbaziale, che verrà amministrata da “abati commendatari” attraverso dei “priori” che non solo furono scarsamente sostenuti, ma utilizzati dai commendatari per la riscossione delle rendite dei possedimenti.

Nel 1622, il cardinale Maurizio di Savoia (1611-1642), abate commendatario, convinse il papa Gregorio XV a sopprimere il complesso, abitato ormai soltanto da tre monaci, facendo terminare così la secolare gestione benedettina. Le ultime rendite economiche furono destinate alla costruzione della vicina Collegiata di San Lorenzo di Giaveno. Tuttavia, già dopo qualche anno, la Collegiata non riuscì a far fronte alle ingenti spese di gestione della Sacra, che fu lasciata in stato di abbandono per quasi due secoli.

Un vero disastro fu, nel 1629, il passaggio delle truppe francesi del generale Nicolas de Catinat, in guerra con i Savoia. Un successivo saccheggio avvenne durante l’Assedio di Torino del 1706, quando l’abbazia venne cannoneggiata. Di questa parte infatti, rimangono oggi solo dei ruderi, affacciati verso la Val di Susa.

Nel 1803, Pio VII con bolla papale e su pressione di Napoleone, soppresse l’abbazia e la collegiata. Lo stesso papa ristabilì l’abbazia al ritorno dalla prigionia francese, nel 1817, con la bolla papale Beati Petri Apostolorum Principis del 17 luglio, ma non più come “abbazia nullius” e senza i privilegi che aveva posseduto in passato e venne assoggettata al vescovo di Susa

Nel 1836, re Carlo Alberto di Savoia, offrì la “Sacra” a don Antonio Rosmini, giovane fondatore dell’Istituto della carità, papa Gregorio XVI, con un breve dell’agosto 1836, nominò i padri Rosminiani amministratori del complesso e beneficiari delle superstiti rendite.

L’abbazia aveva un suo stemma, che richiama la “grande luce” che, secondo la leggenda si sarebbe vista da lontano la notte della sua “consacrazione” da parte delle schiere angeliche. Si blasona: “d’azzurro alla stella d’oro”. La stella, solitamente rappresentata a sei punte, è anche simbolo di “guida”, ruolo che l’abbazia ha svolto in passata percorreva la Val Susa.

Oggi la memoria dell’ospitalità dell’antica abbazia è portata avanti dal Birrificio Artiginale San Michele collocato in un antico edificio del 1860 ai piedi del monte Pirchiriano nel paese di Sant’Ambrogio di Torino.

Creato nell’ottobre del 2010 da Bruno Gentile, appassionato produttore di birra artigianale, ha un catalogo di diverse qualità, che prendono il nome dalle protagoniste delle più note opere liriche della tradizione europea:

– Aida fumé, ambrata affumicata, 5,2%
– Butterfly Kölsch, bionda fruttata, 5%
– Carmen, pale ale in stile americano, 6,2%
– Desdemona (da “Otello”) stout, scura 5%
– Lady Macbeth, IPA (Indian Pale Ale), 5,5%
– Lucia di Lammermoor, rossa in stile inglese bitter, 5%
– Manon, blanche in stile belga, 5,4%
– Norma, rossa intensa alle castagne, 6,8%
– Semiramide, barley wine ramata, 10,5%
– Tosca, pilsner amara chiara, 5%
– Traviata, bionda al miele, 6,2%
– Turandot abbey, scura in stile “abbazia”, 8,5%
– La Valchiria, weizen in stile bavarese, 5%