San Martino delle Scale

Abbazia di San Martino delle Scale

() – Monaci Benedettini Cassinesi



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Un’antica tradizione vuole che l’abbazia di San Martino sia stata fondata da papa Gregorio Magno tra i sei monasteri in Sicilia da lui fondati su altrettanti territori di proprietà della famiglia materna, ne parla lo stesso pontefice nelle sue lettere, e in ben due fa riferimento ad un monastero dedicato a San Martino e che si trovava nel territorio vicino alla città di Palermo. L’inesistenza di fonti attendibili ha fatto dubitare molti studiosi sulla fondazione “gregoriana” dell’abbazia di San Martino delle Scale, si tratterebbe di un altro monastero in seguito distrutto dai Saraceni nel IX secolo.

 

Del 1347 è l’atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Emanuele Spinola, dove si riporta che sei monaci del monastero di San Nicola l’Arena, presso Nicolosi sulle pendici dell’Etna, furono cooptati dall’arcivescovo per dar vita ad un monastero nel feudo vescovile già allora detto di San Martino.

Tra questi monaci spicca il nome del fondatore, il beato Angelo Sinisio, un uomo dalle spiccate qualità spirituali e organizzative che, in breve tempo, costruì il primo monastero, accolse altri uomini desiderosi di condividere con lui l’ideale monastico e impiantò nello stesso cenobio quelle attività tipiche dei monasteri benedettini, tra cui la coltivazione dei campi e delle erbe semplici per la cura delle malattie e uno scriptorium per la riproduzione dei codici.

 

Angelo Sinisio fu quindi il primo abate di San Martino che ebbe anche l’investitura baronale del feudo, eletto il 26 luglio 1352, e morì il 27 novembre del 1386, il suo corpo venne tumulato sotto l’altare della sacrestia, e da subito venne venerato come “beato” (pur senza una regolare proclamazione canonica.

 

Il prestigio dell’abbazia crebbe nel tempo, uno dei suoi monaci, Giuliano Mayali († 1470), fu anche ambasciatore del Re Alfonso presso il Bey di Tunisi, è grazie a lui che il tesoro dell’abbazia può annoverare il ricco manto regale del sovrano donato dal Bey, oltre alle reliquie della Santa Croce e della Sacra Spina, oggi conservate in altrettanti reliquiari, entrambi opera dell’argentiere Pietro di Spagna, realizzati nella seconda metà del XV secolo.

 

Alla fine del XVI secolo l’abbazia aderì alla riforma “Cassinese” (o “di Santa Giustina di Padova”) per contrastare il fenomeno dell’affidamento “in Commenda” e si iniziò la ristrutturazione architettonica degli edifici nelle forme oggi visibili, integrate dall’intervento dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia che nel 1775 realizzò il nuovo dormitorio.

 

Nel 1866, durante l’abbaziato di don Luigi Castelli ((† 1888), l’abbazia venne sopressa e i suoi beni confiscati, l’enorme patrimonio bibliografico e artistico venne disperso e la comunità monastica venne decimata.

 

 

Non mancarono, comunque, anche in quel periodo personaggi di notevole spessore, come il Giuseppe Benedetto Dusmet, in seguito abate di San Nicola di Catania, poi arcivescovo della stessa città e cardinale, morto il 4 aprile del 1894 e proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988; o Michelangelo Celesia, nominato cardinale e arcivescovo di Palermo.

 

A don Ercole Tedeschi, che assunse la guida della parrocchia annessa in quegli anni al monastero, si deve l’inizio della rinascita dell’abbazia. Alla sua morte nel 1919 lasciò un piccolo gruppo di monaci, eredi della spiritualità benedettina.

 

Nel 1932 ( a seguito alla firma dei Patti Lateraensi tra lo Stato italiano e la Santa Sede del 1929) la comunità monastica, che riprese la vita in una parte degli edifici monastici, otterrà il riconoscimento come “Ente Morale”; mentre nel 1946, raggiunto il numero di monaci previsto dalle Costituzioni Cassinesi, sarà nominato primo priore conventuale: don Guglielmo Piacenti, mentre del 1969 è l’elezione del primo abate dopo circa un secolo di vacanza della sede.

Il sostentamento dell’abbazia previde l’allestimento di un laboratorio di restauro del libro, l’apertura al pubblico della ricostituita biblioteca e la rivendita di alcuni prodotti tipici del monastero.

 

Oggi l’abbazia continua a svolgere un ruolo importante per la comunità di San Martino delle Scale, oltre alla parrocchia e le sue attività: permane l’attività di restauro del libro, la vendita di prodotti a base di erbe officinali e, da qualche anno, la produzione di un’ottima birra d’abbazia denominata “HORA BENEDICTA. Presso l’abbazia ha anche sede il Coro Martiniano, specializzato nei canto della tradizione sacra.

 

Lo stemma dell’abbazia non è mai stato formalmente codificato, deriva dal sigillo e mostra il celebre episodio di San Martino che, prima di diventare vescovo di Tours, spartisce il suo mantello con un povero infreddolito.

 

La birra “Hora Benedicta Abbey Ale” è un tipo scuro e aromatico, con un volume alcoolico di 8%, e la prima ad essere realizzata in un monastero siciliano e aromatizzata con le erbe officinali dell’orto dei semplici dell’abbazia (tra le quali la genziana, il finocchio e la liquirizia).

È stata creata da un gruppo di estimatori riuniti in associazione che hanno ottenuto il permesso dell’abate e la collaborazione di padre Salvatore Leonarda, partendo da alcuni esperimenti per la produzione di un amaro digestivo.

È commercializzata direttamente dal monasteri, e distribuito in Italia dal birrificio Paul Bricius di Fabrizio Traina di Vittoria (Ragusa). Nel 2011 ha rcevuto il primo premio al concorso “Le birre de Nadal” di Bergamo.