Monte Oliveto Maggiore

Archicenobio di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore

() – Monaci Benedettini Olivetani



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Questa celebre abbazia, casa madre dell’Ordine Olivetano e sede dell’abate generale, venne fondata nel 1313 dall’ex docente di Diritto dello Studium di Siena, Giovanni Tolomei (1271-1348) che si ritirò all’età di quarant’anni in una proprietà della sua famiglia, nota come “Deserto d’Accona”, per condurre vita eremitica nelle grotte naturali del luogo dove costruì una piccola cappella. Come segno di abbandono della vita secolare Giovanni scelse di cambiare il proprio nome in Bernardo, in onore di San Bernardo di Chiaravalle.

Successivamente si unirono a lui alcuni amici: Francesco (non se ne conosce il casato), Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizi che, insieme, fondarono la Congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, richiamandosi al Monte degli Ulivi di Gerusalemme, approvata dal vescovo aretino Guido Tarlati di Pietramala, che impose la regola benedettina. In omaggio alla Madonna scelsero di adottare l’abito bianco.

Il 21 gennaio 1344, papa Clemente VI (1342-1352), da Avignone, confermò la nuova Congregazione Olivetana.

Bernardo Tolomei morì il 20 agosto (festa di San Bernardo di Chiaravalle) 1348 mentre coi compagni prestava soccorso ai malati della “Peste Nera” di Siena, il suo corpo fu gettato in una fossa comune insieme a quelli degli altri monaci morti e non venne mai più ritrovato. Considerato beato da subito, il suo culto venne approvato nel 1664, ma venne formalmente elevato all’onore degli altari solo nel 2009 da papa Benedetto XVI.

Con la bolla “Credita divinitus” di papa Clemente XIII (1758-1769) del 18 gennaio 1765, Monte Oliveto Maggiore fu eretto in “abbatia nullius dioecesis” svincolandola dall’obbedienza ai vescovi aretini. La giurisdizione dell’abate però si estendeva alla chiesa, al monastero ed alle persone che lo abitavano: monaci, oblati, inservienti laici. Gli atti dell’abate come “ordinarius loci” furono registrati nel Libro Nullius di Monte Oliveto Maggiore, manoscritto del sec. XVIII, conservato nell’Archivio storico dell’abbazia, insieme alla bolla pontificia di riconoscimento. Lo status è stato confermato da papa Leone XIII nel 1899.

Fino al 1947 l’abbazia non aveva parrocchie dipendenti. Solo nel corso del XX secolo sono state aggregate all’Abbazia alcune parrocchie rurali già delle diocesi di Arezzo e di Montepulciano-Chiusi-Pienza. Pio XII con la bolla “Nullus hominum ignorat”, del 1 maggio 1953, erigeva il capitolo dei canonici nella chiesa abbaziale e cattedrale della Natività di Maria.
Oggi è un’abbazia territoriale immediatamente soggetta alla Santa Sede, appartenente alla regione ecclesiastica Toscana; comprende 4 parrocchie nel comune di Asciano: Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, San Florenzo a Vescona, San Giovanni Battista a Pievina, San Michele Arcangelo di Chiusure.

Curiosamente lo stemma dell’abbazia in uso (e dell’intero Ordine) non presenta nessuno dei tradizionali simboli della dignità abbaziale, lo stemma infatti è timbrato da una corona nobiliare ad indicare come l’abate, in passato, aveva piena giurisdizione sul territorio come conte, con diritto di amministrare “alta e bassa” giustizia. L’emblema vero e proprio è un classico esempio di stemma “parlante” e si blasona: “D’azzurro, al monte di tra cime d’argento, sormontato da una croce di rosso, affiancata da due rami di olivo di verde”. Unisce i tradizionali elementi benedettini (monti e croce) ai rami d’olivo. L’olivetano perugino padre Mauro Puccioli (1562-1650) ne ha dato una interpretazione simbolica, secondo la quale i monti “… sono luoghi solitari adatti alla preghiera. È sul Monte degli Ulivi che Gesù pregava il Padre… la croce rossa ci propone come oggetto di contemplazione la passione di nostra Signore… ma vi sono inoltre i due ramoscelli di ulivo che ornano i due monti laterali… ci richiamano a dover fruttificare nella Chiesa come olivo per la salvezza del prossimo… c’insegnano ad essere molto umili e obbedienti. Non tollerando ai suoi piedi altre piante, quest’albero simbolizza la povertà. La castità è invece rappresentata dal suo legno che resiste alla corruzione. I tre voti sono molto opportunamente rappresentati dalle tre montagne faticose a scalarsi”.
Allo stemma è associato il motto PACEM OLIVA TULIT (“La pace ha preso l’olivo”),

Da qualche tempo, riprendendo la tradizione monastica (soprattutto del nord Europa), anche gli Olivetani (che hanno attualmente in cura anche l’abbazia di Sant’Antimo di Montalcino) hanno messo in produzione una propria birra, che si aggiunge alle produzioni storiche del monastero: vini, olio, liquori e prodotti erboristici in genere.

– Birra chiara, con un volume alcoolico del 4,5%
– Birra ambrata doppio malto, con un volume alcoolico del 6,0 %