Borzone

Abbazia di Sant’Andrea di Borzone

() – Monaci Benedettini



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In un luogo strategico a controllo della Val Sturla i Bizantini eressero un avamposto fortificato nella prima metà del VI secolo, per il controllo del passaggio tra la costa e la Valle Padana; intorno all’VIII secolo sulle rovine di quel presidio venne eretto un monastero colombaniano, dedicato a Sant’Andrea Apostolo: nel 774 viene nominato in un diploma nel quale l’imperatore Carlo Magno delimita la giurisdizione della potente abbazia di San Colombano di Bobbio che sembra essere all’origine dell’insediamento, come la tradizione locale afferma, infatti tra l’VIII e il IX secolo l’abbazia (oggi) piacentina aveva esteso il suo dominio in tutta la Val Sturla, fino al mare.

Con bolla dell’11 aprile 1120 papa Callisto II (1119-1124) ne conferma la dipendenza del cenobio dall’abbazia di San Pietro in Ciel d’oro di Pavia che, a sua volta, in origine era una filiazione dell’abbazia bobbiese, beneficiata a suo tempo dal re Liutprando (712-744); secondo alcuni sarebbe questa la “casa madre” di Borzone, la quale aveva altre dipendenze nella zona: ad Alpepiana di Rezzoaglio e a Villacella di Molini, lungo l’itinerario che dalla Val Sturla coduceva alla Val d’Aveto e alla Padania.

Nel XII secolo il monastero di Borzone è soggetta all’arcivescovo di Genova, come pare dimostrare una convenzione del 1145 tra i Fieschi, signori locali, e i consoli di Genova, dove è citata la “Curia Borzoni” .
L’arcivescovo Ugo della Volta (1163-1188) accolse la richiesta di Lantelmo, undicesimo abate di “La Chaise Dieu” in Alvernia, di affidargli un monastero nella sua diocesi. Il 17 giugno 1184 venne stipulato l’atto di donazione del monastero di Borzone nel quale si nomina il “Monasterium de Brossono cum omnibus… pertinentibus”: in quell’occasione l’arcivescovo Ugo elevò il monastero a rango di “abbazia”
L’Atto recita: “Noi Ugone per grazia di Dio Aricivescovo di Genova, con i nostri fratelli, di cui sotto sono apposte le firme, accogliendo le pie richieste del Signor Abate di Case Dei Lantelmo, e dei suoi fratelli, che ci supplicavano di concedere loro una Chiesa nella nostra Diocesi per servire a Dio e offrirgli il sacificio di lode per noi, per gli altri benefattori e per tutti i cristiani, concediamo il Monastero di Borzone con tutto ciò che gli appartiene ora e nell’avvenire, salvo ogni diritto nostro e della Chiesa matrice nella forma da stabilire in appresso, affinché da essi e dai loro successori sia ordinato, retto e fatto prosperare spiritualmente e temporalmente”.

Gli abati benedettini si succedono al governo dell’abbazia dal 1184 fino al 1536 e la maggior parte di essi appartengono ad un ramo della famiglia dei conti di Lavagna: i Ravaschieri, i quali in tal modo si assicuravano un loro avamposto oltre che politico anche economico nell’entroterra.

Il primo abate don Bernardo della Cella, eletto il 20 maggio 1184 (quindi prima della firma ufficiale della convenzione tra la Diocesi genovese e l’abate Lantelmo della Chaise Dieu) entrò in dispita con il vescovo di Piacenza che gli contestava i diritti sulla Chiesa di Santa Maria del Taro e dell’ospizio del Passo del Bocco, la causa venne risolta da papa Innocenzo III a favore dell’abate.
L’abate Gerardo da Cogorno (probabilmente un consanguineo dei Ravaschieri) promuove notevoli interventi di ritrutturazione e ampliamento del complesso abbaziale, della chiesa e della torre (una lapide antica posta sul lato est della torre ricorda la sua opera).
Nel 1460, sotto l’abbaziato di Cristoforo Ravaschieri, la comunità abbandona l’abbazia a causa delle turbolenze che travagliavano la Val Sturla. Il suiccessore, Alessandro Ravaschieri dei conti di Lavagna nel 1453 la trasferisce nel monastero di Sant’Antonio di Pre’ a Genova (che sorgeva dove dal 1888 si trova la stazione di Genova Piazza Principe), solo poco prima della sua morte riesce a riportare i monaci a Borzone e lui stesso vi trascorre gli ultimi anni di vita. Il suo titolo di merito, ricordato nella lapide funeraria posta sulla parete a sinistra del presbiterio, è d’esser stato “reparator monasterii“.
La serie degli abati regolari termina con la figura di Alessandro II Ravaschieri (1529-1535), il quale ricopre anche l’incarico di rettore della chiesa di S. Giovanni Battista a Chiavari dove abitualmente risiede (con anche la cura delle parrocchie di Ri, di S. Martino di Maxena e di S. Antonio di Sanguineto).

Nel 1536 papa Paolo III eresse la “Commenda dell’abbazia di Borzone” realtà che permane fino al 1847.
Dal 1536 al 1574 si succedono diversi cardinali Abati-Commendatari (tra i quali il card. Michele Ghislieri dal 1561 al 1566, che diverrà papa – e santo – con il nome di Pio V).
Dal 1574 al 1802 il titolo di Abate-Commendatario è assegnato a sacerdoti secolari diocesani, tra i quali don Benedetto Borzone (1583-1609) il quale ottiene il permesso dalla Santa Sede il permesso di non dimorare a Borzone perché a causa della lotta tra i Fregoso e gli Adorno egli era stato più volte minacciato di morte. Nella sua richiesta scrive che “la parte contraria più volte è entrata nell’abbazia medesima per amazzarlo, e l’avrebbero fatto se l’avessero trovato”.
Dal 1803 al 1847 il titolo viene affidato agli Arcivescovi di Genova.

Dal 1847 dopo la morte dell’ultimo arcivescovo-abate commendatario, card. Palcido Maria Tadini (1759-1847), il titolo scompare dalle cronache. Don Pietro Repetto, con l’ausilio di don Giovanni Brizzolara (autore della pregevole storia dell’abbazia), richiede e ottiene da Roma che il titolo di abate fosse sia riconosciuto ai parroci pro tempore di Borzone. Papa Leone XIII riconosce valida la richiesta nominando don Repetto primo Abate-Parroco nel 1890.
Il 10 marzo 1910 il complesso abbaziale di Borzone viene ufficialmente riconosciuto come Monumento Nazionale, anche se rimane isolato e difficilmente raggiungibile anche dalla sede del Comune a Borzonasca: la strada carrozzabile verrà costruita solo dieci anni dopo su impulso dell’abate-parroco don Michele Bracco (1925-1947).
Fino al 2007 non vi sono abati-parroci residenti, il cui titolo rischia di decadere, dal 18 febbraio 2007 l’ex Abbazia di Borzone è diventata una “Casa di Preghiera” e, contestualmente, ha iniziato il suo ministero pastorale e responsabile della casa l’abate-parroco padre Attilio Fabris (C.P).

Uno stemma proprio dell’abbazia non è stato recuperato, data la lunga serie di abati appartenenti alla famiglia Ravaschieri, lo stemma di questa schiatta ha finito per identificare anche il monastero.
Si blasona: “Bandato d’argento e di rosso, con la seconda banda di rosso caricata da un armellino passante d’argento”.
Lo stemma appare come brisura di quello Fieschi, il cui ramo principale porta “bandato d’argento e d’azzurro” e alcuni collaterali “bandato d’argento e di rosso”:

I Ravaschieri sono i discendenti di Beltramino, figlio del conte Ansado di Lavagna, stabilitisi a Carasco (che ne originò l’agnome), e brisano l’arme con l’aggiunta di un ermellino (tecnicamente “armellino”). Oggi la famiglia, che fece fortuna nel Mezzogiorno fino ad ottenere il titolo di Principi di Belmonte Calabro e di Satriano è confluita nei Caracciolo.

La birra “Abbazia di Borzone” è una birra biondo/bruna in stile belga artigianale, con un tenore alcoolico del 5,2%, prodotta dalla ditta Birra di Barassi a Cavi di Lavagna, un micro birrificio nato nel 2018 per iniziativa del mastro birraio Giacomo Campodonico, la bevanda si definisce “solidale” (si potrebbe dire “d’abbazia”) perché una parte degli utili contribuisce al mantenimento del sito monumentale, inoltre per la produzione viene utilizzato il miele di castagno prodotto dalla piccola comunità di Borzone.