Montecassino

Archicenobio di Montecassino

() – Monaci Benedettini



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Il nome di Montecassino è indissolubilmente legato all’Ordine Benedettino e, in particolare al fondatore: san Benedetto da Norcia, che vi trovò rifugio con alcuni discepoli dopo aver abbandonato Subiaco, stabilendosi presso due templi dedicati a Giove ed Apollo.

Abbattè il bosco sacro ad Apollo e vi costruì una cappella dedicata a S. Giovanni Battista, nel luogo dove era il tempio di Giove costruì un’altra cappella dedicata a San Martino di Tours, e adattò ad abitazione una vecchia torre, forse avanzo del presidio romano, che fu il nucleo del primo monastero, nel quale scrisse la sua celebre Regola.

S. Benedetto e la sorella S. Scolastica furono sepolti nell’oratorio di S. Giovanni Battista, che sorgeva isolato nella parte più alta del monte. Quando il monastero venne attaccato e distrutto dai Longobardi, i monaci cercarono rifugio a Roma dove, tra il 581 e il 589, vennero accolti da papa Pelagio II in un’abitazione presso il Laterano. Sul Monte di Cassino rimasero solo alcuni eremiti, per tutto il corso del VII secolo.

Nel 717 Petronace di Brescia, su consiglio di papa Gregorio II, si ritirò a Montecassino per cercarvi pacifica solitudine, a lui ben presto si aggiunsero gli eremiti residenti e anche il giovane Willebaldo, proveniente da un monastero delle isole britanniche, che vi introdusse l’antica disciplina colombaniana. Insieme ricostruirono il monastero, con l’aiuto dei papi Gregorio III e Zaccaria, nel quale arrivarono anche illustri personaggi, come Carlomanno, figlio di Carlo Martello, e Ratchis, re dei Longobardi, con il diacono Paolo (autore della “Historia Langobardorum”). Altri principi furono verso il monastero generosi di doni: Gisulfo II, duca di Benevento, nel 747 donò molte terre che, insieme ad altri possedimenti, formeranno più tardi la Terra Sancti Benedicti. In questo secolo fiorì a Montecassino Paolo Diacono.

Nel IX secolo il monastero venne distrutto dai Saraceni venuti da Agropoli su invito del duca di Gaeta Docibile, l’abate S. Bertario (856-883) si rifugia coi confratelli nel monastero di S. Salvatore a S. Germano dove morì, il 22 ottobre 883.

Un altro gruppo di monaci si rifugiò a Teano, portandovi l’originale autografo della regola, assieme a bolle e diplomi, qui si formerà un altro monastero, con l’abate Angelario, ma anche la città di Teano è malsicura: alcuni nobili attaccano i monaci e saccheggiano il monastero nell’896, durante l’abbaziato di Ragemprando, l’incendio che ne segue distrugge gli edifici e anche il codice autografo della regola con moti altri documenti.

I principi di Capua e Benevento, Landolfo I e Atenolfo II, nell’agosto del 914 fecero eleggere abate il loro congiunto Giovanni, con lui la comunità si trasferisce a Capua.

Papa Agapito II, su consiglio dell’abate Oddone di Cluny, ordinò al principe Landolfo che lasciasse tornare i monaci a Montecassino. L’abate Aligerno, eletto a Capua nel 949 condusse la comunità sul monte, costruì Rocca Ianula a Cassino, e governò il territorio come signore feudale.

Sotto il governo dell’abate Mansone (986-996), fatto nominare con prepotenza da Aloara vedova di Pandolfo I Capodiferro, venne fondata Roccasecca e il monastero di S. Maria dell’Albaneta, molto prossimo a Montecassino, per iniziativa del monaco Liuzio.
Sotto il governo dell’abate-cardinale Federico di Lorena, fratello del duca Goffredo di Lorena e Toscana (che verrà poi eletto al soglio pontificio col nome di Stefano IX) nel 1057 il monastero ebbe un periodo di grandezza politica, culturale e artistica che raggiunse pienamente sotto il governo del successore Desiderio (1058-1087), membro della famiglia dei principi di Benevento (anch’egli eletto papa col nome di Vittore III). Questi rese l’abbazia un centro culturale e spirituale di primaria grandezza, e un monumento d’arte: ricostruì il monastero con una nuova basilica monumnetale che fu consacrata da papa Alessandro II il 1 ottobre 1071.

La politica attivissima cominciata dall’abate Roffredo dell’Isola (1188-1210) negli ultimi anni del sec. XII in favore di Enrico VI di Svevia, continuò anche sotto gli abati Adenolfo (1211-1215) e Stefano Marsicano (1215-1227), sia per favorire Federico II, sia per proteggere i papi, con grave scapito dell’abbazia; la quale ebbe a soffrire molestie dagl’imperiali e dai pontifici, fino a che

L’imperatore Federico II, in contrasto con la politica degli abati, scacciò i monaci e trasformò l’abbazia in una fortezza. Tra i profughi si trovava anche il giovane Tommaso d’Aquino che, rifugiato a Napoli, vi frequentò l’Università e la scuola di teologia del monaco cassinese Erasmo.

Il monastero risorse con l’abate Bernardo Ayglerio di Lione (1263-1282), che ebbe l’appoggio di Carlo d’Angiò, anche se alla fine del XIII secolo papa Celestino V tentò di far confluire i monaci cassinesi nel nuovo Ordine dei Celestini, da lui fondato.

Papa Giovanni XXII, da Avignone, nel 1321, ordinò l’elevazioe dell’abbazia in sede cattedrale, l’abate assunse il titolo di vescovo e i monaci quello di canonici. Il primo abate-vescovo fu Oddone Sala, che però era estraneo alle discipline monastiche, mentre i canonici trascurarono gli affari spirituali e temporali dell’abbazia. di ciò approfittarono i vassalli; tra di essi Jacopo di Pignatario conquistò lo stesso monastero, e lo portò alla rovina: gli edifici senza manutenzione crollarono a causa del terribile terremoto del 9 settembre 1349.

Angelo della Posta (1357-62), monaco cassinese nominato vescovo da papa Innocenzo VI, riedificò la chiesa, il nuovo refettorio e un capiente dormitorio per i monaci.

Con papa Urbano V (1362-70) – che pur rimanendo ad Avignone volle portare il titolo di “abate di Montecassino”, con bolla del 1366 chiamò tutti i monasteri a cooperare alla riedificazione dell’archicenobio, e con la bolla del 1367 abolì il titolo di abate-vescovo.

Con l’abbaziato di Antonio Carafa (1446-1454) l’abbazia divenne di fatto un feudo della famiglia Carafa e, dopo la sua morte iniziò il periodo degli abati commendatarî. Tra questii il cardinale Ludovico Scarampo (1454-1465), patriarca di Aquileia, ampliò il cenobio con un ulteriore dormitorio, un peristilio, una torre, e restaurò la cappella di S. Severo dai danni del terremoto del 1456.

Gli successero nella carica di “abate commendatario”: papa Paolo II (1465-71); il card. Giovanni d’Aragona (1471-85, figlio del re Ferdinando I); il card. Giovanni de’ Medici (1486-1505, più tardi eletto papa Leone X); sotto il governo di questi e di Piero de’ Medici, pur nominato da Carlo VIII “Viceré dell’abbazia”, gli Aragonesi, comandati dal capitano Consalvo, assaltarono l’abbazia. Piero morì annegato nel fiume Garigliano, e fu tumulato nella basilica di Montecassino in un sepolcro costruito dal Sangallo.
A Consalvo si deve anche però l’idea di unire Montecassino agli altri monasteri benedettini confederati che formavano già la Congregazione riformatrice di S. Giustina di Padova (De unitate seu de observantia S. Fustinae de Padua), la quale per volere di papa Giulio II dal 1504, si denominò Cassinese (Congregatio Casinensis alias S.. Justinae de Padua). Secondo gli Statuti della Congregazione, fondata nel 1408 dall’abate don Ludovico Barbo presso il monastero di S. Giustina di Padova, gli abati avrebbero tento la carica per tre anni, pur potendo essere riconfermati.

Il fiorentino don Ignazio Squarcialupi, che per tre volte venne riconfermato abate tra il 1510 e il 1526, fece costruire il dormitorio inferiore con le celle dei monaci e il chiostro attiguo, la grandiosa corte centrale, lo scalone che porta all’atrio superiore e lo stesso atrio della chiesa; chiamò presso di sé artisti fiorentini perché scrivessero e miniassero messali, antifonarî e salterî.

Nel priorato dell’Albaneta si ritirò Ignazio di Loyola insieme con Pietro Ortiz, qui scrisse le 14 regole del Discernimento.

Durante la dominazione spagnola del XVII secolo, sotto il governo del napoletano don Domenico Quesada (1650-53) si procedette alla ricostruzione della basilica, sotto la direzione dell’architetto Cosimo Fanzago, i lavori della quale, interrotti dalla prima guerra di successione e dalla discesa di truppe tedesche nel napoletano, si riprendono nel secolo successivo. Verrà infine consacrata da papa Benedetto XIII il 19 maggio 1727, sotto l’abbaziato di Sebastiano Gadaleta (1725-31), la volta fu affrescata da Luca Giordano.

Alla fine del secolo, per opera dei soldati francesi guidati dal generale Championnet, l’abbazia fu attaccata e saccheggiata.

L ricostruzione venne largamente favorita da papa Pio VII, già monaco cassinese dell’abbazia di S. Maria del Monte a Cesena e Giuseppe Bonaparte nel 1806 le assicurò l’esistenza, chiamandola “stabilimento” e affidandola alla custodia di cinquanta monaci i quali avevano l’incarico ufficiale della conservazione dei libri e dei documenti.

Col ritorno della monarchia borbonica il monastero riebbe i suoi pieni diritti e parte delle sue rendite; in questo tempo esercitò anch’essa notevole influenza sull’educazione degli spiriti all’idea dell’unità nazionale. L’abate don Luigi Tosti (1811-1897) è un nome di celebre e dotto irredentista.

Nel 1866 anche Montecassino, per effetto della soppressione delle congregazioni religiose e dell’incameramento dei beni ecclesiastici, perdette l’autonomia giuridica, ma l’attività culturale e artistica fu proseguita sotto la guida di abati illuminati, tra il quali lo stesso Tosti, poi il Caravita, il Piscicelli-Taeggi, il Quandel, l’Amelli.

Nel 1880, in occasione del XIV centenario dalla nascita di San Benedetto la Torretta, la parte più antica del monastero, fu integralmente restaurata e dipinta dai monaci della scuola d’arte benedettina di Beuron. Nel 1900 sotto il governo dell’abate Bonifacio Krug (1897-1909), gli stessi artisti iniziarono il rifacimento della cripta, sotto la direzione di don Desiderio Lenz, che fu consacrata sotto l’abate Gregorio Diamare.

La biblioteca di Montecassino risale al tempo della fondazione stessa del monastero; è citata nel cap. 48 della Regola, ove è prescritto che i monaci, durante il periodo della Quaresima, devono prendere “codices de bibliotheca” per istruirsi. Subì le vicende dell’abbazia e, oggi, si compone di: un archivio di 2000 codici, la Biblioteca Monumentale, la Biblioteca Privata e la Biblioteca Paolina, fondata nel 1899 in onore di Paolo Diacono dall’abate A. Amelli, che aveva rivestito l’incarico di archivista. Il patrimonio dei libri somma attualmente a circa 100.000 volumi e 252 incunaboli.

Da un’idea di Daniele Miri, sostenuta dall’abate don Donato Ogliari, con il malto dei 300 ettari di terreno abbandonati da oltre trent’anni del priorato dell’Albaneta, antico possedimento dell’abbazia di Montecassino del quale Miri è affittuario, è stato ottenuto il malto dalla prima mietitura dell’orzo distico dell’11 luglio, giorno di San Benedetto, col quale il 24 dicembre vide la luce la “birra d’abbazia” di Montecassino, secondo la ricetta in uso ai tempi di Sant Ignazio di Loyola.

Attualmente la birra viene prodotta in un piccolo stabilimento artigianale nell’area del priorato, l’intento è mirato a rilanciare tutto il territorio e custodirne l’identità creando nuove opportunità di sviluppo: attraverso la coltivazione di orzo distico, la produzione di birra (con la partnership di Peroni-Asahi che, nello stabilimento Saplo di Pomezia cura la maltatura), di miele (curato da “Mieli Thun”), l’apertura di un caseificio, un ovile, di una sala di degustazione..

la Birra Montecassino non è pastorizzata e rifermentata in bottiglia, ha gradazione alcolica del 6.5%.

Sulle etichette della birra non compare lo stemma di Montecassino, ma un antico simbolo noto come “Croce di San Benedetto”, risalente al XVI secolo: costituito da una croce tratta dalla “medaglia del giubileo”, disegnata dal monaco dell’abbazia di Beuron, padre Desiderio Lenz, l’artista ispiratore del famoso stile che porta il nome della “scuola beuronense”, e coniata in particolare per il Giubileo benedettino del 1880, XIV centenario della nascita di San Benedetto da Norcia, gli abati di tutto il mondo si riunirono a Montecassino, da dove l’immagine si disseminò per tutto il mondo.

Nella medaglia, attorno alla croce sormontata dalla parola PAX, sono solitamente inscritte le lettere degli acronimi le cui parole compongono la preghiera nota anche come “preghiera dell’esorcismo” fra le più note preghiere di esorcismo contro “i veleni spirituali che il Maligno incessantemente somministra alle anime degli uomini”, che possiamo schematizzare:

C.S.P.B. = Crux Sancti Patris Benedicti (Croce del Santo Padre Benedetto)
C.S.S.M.L. = Crux Sacra Sit Mihi Lux (la Santa Croce sia la mia luce)
N.D.S.M.D. = Non Draco Sit Mihi Dux (non sia il demonio il mio condottiero)
V.R.S. = Vade Retro, Satana! (allontanati, satana!)
N.S.M.V. = Numquam Suade Mihi Vana (Non mi attirare alle vanità)
S.M.Q.L. = Sunt Mala Quae Libas (sono mali le tue bevande)
I.V.B. = Ipse Venena Bibas (bevi tu stesso i tuoi veleni)

Lo stemma storico proprio dell’abbazia si blasona: “Partito: nel primo di rosso al leone d’argento; nel secondo d’azzurro ad una torre tra due cipressi fondata su un prato verde, attraversato da una strada sinuosa posta in palo e conducente alla torre”.
Si tratta dello stemma tradizionalmente attribuito allo stesso San Benedetto, e risalente ad un’epoca nella quale gli stemmi, propriamente intesi… non esistevano! Benedetto nacque a Norcia nel 480, mentre i primi stemmi veri e propri non compaiono prima del XIII secolo. Il primo campo sarebbe occupato dallo stemma di Abbondanza Claudia de’ Reguardati, madre del santo, che i documenti appellano come “contessa” di Norcia, da questo sarebbe derivato lo stemma della stessa città, adottato dalla comunità nel corso del XIII secolo (gli Statuti cittadini datano dal 1291).
Il secondo campo è attribuito al padre del santo, il console Anicio Giustiniano Probo, membro della gens Anicia, con la torre. In seguito è stato identificato come simbolico della stessa abbazia di Montecassino (e di quella di Subiaco, che ha uno stemma pressoché identico), la strada, rappresentata anche in forma di fiume, indicherebbe l’irradiamento da una fonte comune delle varie osservanze benedettine.
L’unione dei due stemmi vorrebbe attestare l’origine genealogica nobiliare, materna e paterna, del santo fondatore di Monte Cassino.
Lo stemma è usualmente timbrato dalla corona marchionale indicante la potestà giurisdizionale esercitata in passato dagli abati, accollato al pastorale e sormontato dal galero verde di rango episcopale, con dodici nappe verdi pendenti in due gruppi ai fianchi dello scudo, che indicano in rango di “abbazia territoriale” (“Abbatia Nullius Dioecesis”), cioè non soggetta al vescovo diocesano (papa Francesco ha limitato alle sole pertinenze dell’abbazia la giurisdizione degli abati che, fino a poco tempo fa esercitavano il ruolo di vescovo “ordinario” per un vasto territorio, oggi governato dal vescovo di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo).