Monsignor Pompeo Compagnoni


Monsignor Pompeo Compagnoni

Storia e informazioni

Pompeo Compagnoni nasce a Macerata l’11 marzo 1693.

Figlio di Pierpaolo e di Maria Girolama Ricci, proveniva da una famiglia di ascendenza feudale fra le più importanti della nobiltà terriera maceratese: quella paterna, di ascendenza feudale, contava tradizioni ragguardevoli nelle armi e nella cultura e il nonno, Pompeo senior, giurista ed erudito, aveva dato alle stampe a Macerata nel 1661 la «Reggia Picena overo de’ Presidi della Marca».

Dopo aver iniziato gli studi nel locale seminario, seguì corsi di filosofia e belle lettere nel collegio tenuto dai gesuiti e, iscrittosi all’Ateneo maceratese, conseguì il 25 giugno 1711 la laurea in «utroque iure» e in seguito quella di filosofia e teologia.

Nel 1712 si trasferì a Roma per completare la formazione e insieme avviarsi alla professione forense. Prese a esercitare nello studio del curiale Paolo Paluzzi, presso cui alloggiava e, ricevuta la tonsura, divenne abate. Nei primi anni del lungo soggiorno romano frequentò il giovane Metastasio. Le spiccate qualità intellettuali e l’appartenenza a un casato di rango gli schiusero le porte della Curia romana: fu chiamato a lavorare nello studio legale di monsignor Gentili, luogotenente della Camera apostolica e futuro cardinale, e, dal 1726, passò alle dipendenze del cardinale Barberini, prima come aiutante di studio poi come uditore.

Seppe farsi apprezzare per profondità di dottrina e capacità critica. Conduceva vita generalmente ritirata, dedicandosi con assiduità all’espletamento dei doveri d’ufficio e allo studio.

La sua fama di studioso si estese al di là di Roma e dello Stato pontificio e gli valse l’aggregazione all’Accademia Etrusca di Cortona.

Nel 1740, allorché si rese vacante la sede vescovile di Osimo e Cingoli per la rinuncia del cardinale  Lanfredini, papa Benedetto XIV, dietro indicazione dello stesso dimissionario, lo chiamò alla successione: nel 1738, il cardinale e sistemate le pendenze economiche della famiglia, accettò l’incarico. Nel settembre dello stesso anno gli furono conferiti gli ordini sacerdotali, minori e maggiori, essendo ancora semplice chierico; il 2 ottobre fu consacrato vescovo e il 7 novembre fece l’ingresso in diocesi. Accolse la volontà del Lanfredini di riservarsi una pensione sulle rendite della mensa vescovile; ma respinse recisamente la sua intenzione di continuare ad attribuire i benefici che si sarebbero resi vacanti.

L’impatto con la nuova realtà pastorale non fu facile. Perduravano i contrasti tra Osimo e Cingoli, con l’aspirazione di questa all’autonomia episcopale, ma soprattutto permaneva grave il rilassamento della vita religiosa che il suo predecessore aveva inutilmente cercato di sradicare con drastici provvedimenti. Intraprese un deciso programma di risanamento attraverso il sinodo diocesano svoltosi nelle cattedrali di Osimo e Cingoli per elevare il livello morale e culturale del clero. Dedicò cure assidue al seminario, che dotò di una ricca biblioteca, di professori qualificati e nel cui piano di studi inserì, nel 1743, l’insegnamento del greco; istituì, inoltre, nel 1748, un’Accademia ecclesiastica che si riuniva più volte al mese nel palazzo vescovile. Fu in questo ambito che, a partire dal 1749, tenne una serie di relazioni dalle quali successivamente vide la luce la sua opera maggiore, le «Memorie istorico-critiche della Chiesa e dei vescovi di Osimo».

Nei trentaquattro anni di episcopato portò a termine tre accurate visite, si adoperò per il rinnovamento liturgico e delle pratiche cultuali poiché voleva che le cerimonie religiose fossero condotte in maniera dignitosa e austera, senza inutili sfarzi, combatté perché fossero eliminati gli abusi connessi alla pratica delle indulgenze ed al culto delle reliquie, provvide al rinvenimento e alla identificazione dei resti mortali di martiri e vescovi osimani beatificati. Per la fermezza con cui portava avanti le iniziative intraprese, finì talora per venire in contrasto con la magistratura cittadina, con rappresentanti della nobiltà e di altri ceti sociali. Analoga rigidità dimostrò nei confronti di quella parte del clero che risultava poco sollecita nel compimento del propri doveri ed è naturale pertanto che contro di lui si levassero ripetute accuse di luteranesimo, di sorbonismo e di giansenismo che pesarono sul mancato conferimento della porpora cardinalizia.

Frugale, in rapporto ai tempi, nella vita domestica e alieno da concessioni al nepotismo, impegnò gran parte delle rendite della mensa vescovile in iniziative culturali ed assistenziali. Tra il 1764 ed il 1767, negli anni centrali del ciclo di carestie che attanagliò lo Stato della Chiesa, aprì nel vescovado una pubblica mensa e sostenne in modo sostanzioso le comunità più in difficoltà.

Morì in Osimo il 25 luglio 1774. Fu sepolto nella cripta del duomo, dove, a qualche anno di distanza, gli eredi fecero erigere un monumento marmoreo, su disegno di A. Vici.

Il suo stemma si blasona: «D’azzurro alla banda centrata d’argento caricata da tre tortelli di rosso accompagnata in capo e in punta da due crescenti d’argento». Lo stemma riprende quello della famiglia Compagnoni che però riporta una normale fascia, ma d’oro, così come d’oro risultano i crescenti.

 

Note di Bruno Fracasso

Disegnato da: Massimo Ghirardi

BLASONATURA

«D’azzurro alla banda centrata d’argento caricata da tre tortelli di rosso accompagnata in capo e in punta da due crescenti d’argento»

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