Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio


Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio

Lo stemma dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio non è ufficiale, ma è usato in alcuni contesti, e riprende elementi già presenti nello stemma dell’arcivescovo Luigi Negri, sulla cattedra ferrarese dal 2012 al 2017, riunisce tre simboli riferiti alle tre circoscrizioni ecclesiastiche delle quali ha ereditato le funzioni:

 

  • Voghienza, la Diocesi più antica, simboleggiata dal capo azzurro con la mitra e il pastorale, tradizionali attributi vescovili, della quale il vescovo di Ferrara è erede diretto. Se il pastorale fosse munito di un piccolo velo (sudarium) che lo qualificherebbe come “abbaziale” potrebbe essere anche un riferimento al titolo di “abate di Pomposa” portato dagli arcivescovi di Ferrara.
  • Ferrara, rappresentata dal drago trafitto dalla lancia di San Giorgio, patrono principale della città.
  • Comacchio, indicata con i tre stili d’argento, ossia strumenti di scrittura, con i quali anticamente si prendevano note incidendo delle tavolette di cera: opposta alla punta hanno una piccola spatola, che serviva per cancellare. Son un riferimento al patrono San Cassiano, insegnante ed educatore di Forum Cornelii (l’attuale Imola), dove insegnò grammatica, letteratura e ars notoria (“arte di prendere appunti”, la moderna stenografia). Alcuni cittadini lo denunciarono al Prefetto per aver insegnato ai giovani la religione cristiana. Processato, gli fu ordinato di rinunciare al proprio credo e di sacrificare agli dei. Cassiano rifiutò e fu condannato a morte. Il giudice impose ai suoi studenti, come pena per averlo ascoltato, di eseguire la condanna infilzandogli il cranio con gli stili che avevano usato durante le lezioni. Il martirio di San Cassiano si colloca probabilmente al tempo della persecuzione dei cristiani ordinata dall’imperatore Diocleziano (febbraio 303 – marzo 305).

Si può blasonare: “Interzato in pergola: nel primo d’azzurro al pastorale d’oro accollato da una mitra vescovile al naturale con le infule svolazzanti; nel secondo d’argento al drago di verde, armato e linguato di rosso, trafitto da una lancia con l’asta cimata da un pomo crocettato, il tutto d’oro; nel terzo di rosso a due rami di palme di verde, decussati in punta e racchiudenti tre stili da scrittura d’argento posti a ventaglio”.

 

L’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio (Archidioecesis Ferrariensis-Comaclensis) si trova interamente nella provincia omonima, la quale però comprende anche territori ecclesiasticamente soggetti alle Arcidiocesi di Bologna, della quale è suffraganea, e di Ravenna.

L’Arcidiocesi è situata nella fertile pianura padana. La Religione cristiana si è impiantata e sviluppata come in tutta l’Emilia, probabilmente, dalla fine del II secolo. L’erezione della prima diocesi risale alla fine del IV secolo, con sede in Voghenza. L’esistenza di questa prima dimora dei Vescovi ferraresi, tanto discussa in passato, è ora comunemente ammessa.

La diocesi di Vico Abentia, o Voghenza (oggi frazione di Voghiera) ha origini leggendarie, la città era un importante centro romano e San Pier Crisologo, arcivescovo di Ravenna, ne consacra Marcellino come vescovo nel 431.

Nel VII secolo i suoi successori trasferiranno al cattedra episcopale, a metà del secolo VII, dalla decaduta ed esposta Voghenza alla sede di Borgo San Giorgio «in massa Babilonia aut Ferrariola» nel castrum bizantino di Ferrara, nella nuova cattedrale, dedicata a San Giorgio e alla Santissima Madre di Dio, dove, anche per sottrarsi meglio al controllo degli Arcivescovi di Ravenna, si trasferì la sede dell’episcopio.

 

Eretta la nuova monumentale cattedrale, nel 1135, dal vescovo Landolfo, la sede vescovile fu sistemata nelle sue vicinanze. All’epoca la Diocesi di Ferrara, oltre il centro urbano, comprendeva i territori delle pievi di San Giorgio oltre Po, Gaibana, Voghenza, Contrapò, Tresigallo, Formignana, Copparo, Tamara, Ruina, Sette Polesini, Vigarano di sotto, Fiesso, Stienta, Trecenta, Ficarolo, Ceneselli, Bergantino, Sariano, Melara, Calto, San Tomaso sotto Burana, San Matteo in Mizzana, San Lazzaro di Quacchio, Francolino, e San Martino della Pontonara.

 

Inizialmente la Diocesi era suffraganea di Ravenna, come parte della Regione Conciliare Flaminia; ottenne poi l’immediata soggezione alla Santa Sede nel 774 e, nonostante le pretese reiterate degli arcivescovi ravennati, mantenne una sua indipendenza sancita definitivamente dalla Santa Sede nel 1735 che elevò Ferrara ad Arcivescovado e sede metropolitana (da allora i vescovi ferraresi portano il titolo di arcivescovi).

 

I primi documenti che la citano risalgono al 774 e testimoniano la cessione del territorio del Ducato di Ferrara da parte dei longobardi al papa che lo amministrò per mezzo di Vicari Apostolici, tra i quali primeggiarono i Marchesi di Canossa (o di Toscana).

 

Nel XIII secolo Ferrara si assoggettò ai marchesi d’Este che, come Vicari della Sede apostolica, la manterranno fino al 1597, con l’esilio del duca Ercole II nel restante territorio di Modena e Reggio di pertinenza imperiale. Lo splendore a cui pervenne in questo periodo, la resero una delle città più sfarzose e più colte d’Europa. Gli Estensi costruirono il Castello (1385), fondarono l’Università (1391), introdussero ben presto la stampa (1471), ampliarono la città, circondandola di mura, ebbero legami di parentela con i papi e i regnanti dell’epoca. Estintosi il ramo diretto della famiglia Estense (1597), il Ducato di Ferrara fu governato direttamente dalla Santa Sede, a mezzo di Cardinali Legati.

 

Con il tramonto del dominio politico estense a Ferrara, decade a città di frontiera dello Stato Pontificio e capoluogo di Legazione Pontificia, per cui, oltre a un cardinale vescovo, si ritrova contemporaneamente un cardinale Legato. Il governo pastorale della città e della diocesi risente del mutamento, ma siedono sulla cattedra episcopale figure rilevanti, quali il fiorentino cardinal Lorenzo Magalotti.

 

Con l’adozione dei decreti dell’ultima parte del Concilio di Trento, il cardinale Tommaso Ruffo diviene il primo arcivescovo ferrarese (l’8 dicembre 1976, col decreto Ad majus Christiftdelium della Congregazione per i Vescovi, Ferrara perderà la dignità metropolitica e diventerà suffraganea di Bologna, pur mantenendo il titolo arcivescovile).

 

Voghenza è attualmente una sede vescovile titolare.

 

 

COMACCHIO

 

La Diocesi di Comacchio sorse nel V-VI secolo, pressoché contemporanea a quella di Voghenza. Vincenzo (VI secolo) si autodefinisce in una lapide conservata nella cattedrale primus episcopus civitatis Cumiacli, è lui che fa edificare la cattedrale all’epoca dell’arcivescovo ravennate Felice, tra il 708 ed il 724.

Durante le lotte tra longobardi e bizantini la diocesi scompare, a causa delle devastazioni, ma, per probabile iniziativa romana, viene ricostituita a metà dell’VIII secolo e resa suffraganea di Ravenna.

Sono documentate alcune chiese importanti come quella di Santa Maria in Padovetere (da Padus Vetere: sul corso vecchio del Po); e quella di Cella Volana (sul ramo di Volano del Po), dove si trova il sepolcreto dei vescovi di Comaclo fino al XIII secolo, dalla quale sembra derivata la prima cattedrale presso l’abbazia di Santa Maria in Aula Regia.

 

Con l’affermarsi della potenza dell’abbazia di Pomposa, quella di Aula Regia recede, la collegiata di San Giacomo di Cella Volana è la sede vescovile che però vede ridursi il proprio feudo nel XIII secolo alla sola città e al nucleo fondiario di San Vito che, nel XIII secolo, verrà ceduto all’arcivescovo di Ravenna in cambio di Libolla. Nel corso del secolo il vescovo di Comacchio, controlla la collegiata regolare di Cella Volana con le parrocchie di Santa Maria in Padovetere, Campolungo e San Giovanni di Ostellato, quest’ultima acquisita alla fine del secolo.

 

La decadenza viene accentuata con il trasferimento nel XIV secolo della residenza a Ferrara, dove i presuli comacchiesi resteranno fino ad oltre la metà del XV secolo, quando i decreti tridentini li costringeranno a ritornare nella loro diocesi.

 

Nel 1653, al vescovo di Comacchio viene assegnata la Prepositura di Pomposa, dove la comunità benedettina si riduce ad un priorato con l’erezione nel 1673 della parrocchia di Vaccolino. Una dopo l’altra le parrocchie pomposiane passano al vescovo e, nel 1752, sono aggregate alla diocesi le quattro parrocchie di Codigoro, Lagosanto, Mezzogoro e Massenzatica (la pienezza della giurisdizione ordinaria, però, sarà solo dal 1936).

 

Dal 1857 alla diocesi verrà assegnata anche Mesola e le quattro curazie dipendenti di Bosco Mesola, Ariano Pontificio, Goro e Gorino.

 

Parallelamente allo sviluppo economico del litorale, nel 1884, verrà eretta la parrocchia di Magnavacca, oggi Porto Garibaldi, e, nel 1947, le verranno assorbite otto parrocchie della diocesi di Cervia poste nel territorio ferrarese.

Il 18 maggio 1965 con la bolla Pomposiana Abbatia di papa Paolo VI ai vescovi pro tempore di Comacchio fu concesso il titolo di abate di Pomposa.

 

Nel dicembre 1976 la Diocesi fu sottratta alla sede metropolitana di Ravenna per essere assegnata alla provincia ecclesiastica di Bologna.

 

Già il 29 dicembre 1908 le due sedi erano state unite una prima volta, ma l’unione durò fino al 7 luglio 1920 quando furono separate in forza del decreto Instantes supplicationes della Congregazione Concistoriale.

 

Il 15 luglio 1976, con la nomina di Filippo Franceschi, le due sedi furono unite in persona episcopi.

Il 30 settembre 1986, in forza del decreto Instantibus votis della Congregazione per i vescovi, fu stabilita la plena unione delle due diocesi e la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale. Il titolo di abate di Pomposa è stato trasferito all’arcivescovo della nuova circoscrizione.

 

 

 

Nota di Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Profilo araldico


“Interzato in pergola: nel primo d’azzurro al pastorale d’oro accollato da una mitra vescovile al naturale con le infule svolazzanti; nel secondo d’argento al drago di verde, armato e linguato di rosso, trafitto da una lancia con l’asta cimata da un pomo crocettato, il tutto d’oro; nel terzo di rosso a due rami di palme di verde, decussati in punta e racchiudenti tre stili da scrittura d’argento posti a ventaglio”.

LEGENDA

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