Rochefort
Abbaye de Notre Dame de Saint Remy
(Abbazia di Nostra Signora di San Remigio) – Monaci Cistercensi della Stretta Osservanza
In una zona ancor’oggi boscosa, nella regione naturale detta Famenne, presso il ruscello Biran, il 13 giugno 1230 venne fondata una comunità monastica femminile, sotto il patronato del conte Gilles de Walcourt, signore di Rochefort, affiliata all’Ordine di Citeaux, presso il villaggio di Falen e denominato “Secours Notre Dame” (Succursus Dominæ Nostræ), che il principe-vescovo di Liegi, Jean d’Eppes, prenderà sotto la sua protezione fin dalla fondazione, concedendo la riscossione delle “decime” di Saint Remy, alle quali il conte Henry di Luxembourg aggiungerà quelle di Han.
La condotta delle monache venne definita “scandalosa” dall’abate visitatore di Jardinet nell’ottobre 1464, per cui il Capitolo Generale dell’Ordine Cistercense prese la drastica decisione di trasferire la comunità “in clausura” all’abbazia di Felipré i cui monaci prenderanno possesso dell’abbazia, che dedicheranno a Saint Remy, per ripristinarne l’osservanza religiosa. Ottenuto il beneplacito del signore di Rochefort, Louis I de La Marck, la nuova comunità maschile venne istituita l’11 novembre 1464, con l’atto formale di rinuncia della carica da parte della badessa Marguerite Spangneau, in favore di Arnould de Maison-Neuve, abate di Felipré.
Nel 1568 i Calvinisti attaccarono l’abbazia e nel 1577 venne saccheggiata dalle armate di Don Juan d’Austria. Anche il XVII secolo sarà disastroso per la comunità. A causa delle Guerre di Religione e delle pestilenze, la crisi procurerà grandi carestie e la zona sarà soggetta ad atti di brigantaggio. Quando il 1 maggio 1650, le truppe lorenesi del barone De Châtelet vi si stabilirono. Troveranno l’abbazia abbandonata dai monaci, fuggiti a Marche.
Nel 1664 iniziarono i lavori di ricostruzione degli edifici, con l’abbaziato di don Philippe Fabry, e la nuova chiesa venne consacrata nel 1671, il motto personale dell’abate Fabry “CURVATA RESURGO” (“[pur] piegata, mi rialzo”) divenne il motto dell’abbazia.
Ancora oggi lo stemma mostra una palma, unitamente a simboli che richiamano le tre virtù teologali fondamentali: la fede (la palma verde), la speranza (la stella azzurra) e la carità (la rosa rossa), in campo oro e bordato di rosso. La bordura, oltre alla stella e alla rosa, è una differenziazione dello stemma da quello consimile di Westwleteren.
Il visitatore dell’Ordine, don Guyton, monaco di Clairvaux, constatò lo stato deplorevole degli edifici nel 1744, nonché la “rilassatezza” dei costumi dei monaci, che conducevano vita mondana “bevendo the, caffè cioccolata, liquori, vino, fumando e giocando a carte” nelle disposizioni dell’abate Henry de Villegia del 1755, tese ad impedire questi abusi e a ripristinare la disciplina. Pare invano: i monaci si rifiutarono persino di indossare la “cocolla”, l’abito corale, e molti professavano idee rivoluzionarie.
Il 12 ottobre 1789 la comunità di Rochefort inviò una supplica al principe-vescovo César-Constantin-François de Hoensbroeck chiedendo la “secolarizzazione” dell’abbazia, che venne approvata dal papa e dall’imperatore Giuseppe II: il 19 dicembre 1789 gli otto monaci sopravvissuti divennero canonici secolari dell’ex abbazia. Questa situazione avrebbe forse messo al riparo la comunità dai rivoluzionari ma al loro arrivo, nel 1794, i religiosi pensarono bene fuggire altrove. L’abbazia divenne una caserma e subì gravi danni, infine fu venduta nel 1805 al commissario repubblicano Louis-Joseph Poncele, che fece demolire la chiesa e gran parte degli edifici monastici, il materiale ricavato (tra il quale il prezioso marmo rosso locale) venne venduto come materiale edilizio per la costruzione delle abitazioni del villaggio di Rochefort, del quale divenne curato-decano l’ultimo abate, il bretone don Armand de La Pierre, dottore in teologia della Sorbona, che vi morì nel 1809.
La proprietà passò di mano in mano, fino a pervenire nel 1887 in quelle di un sacerdote, l’abate Victor Seny, che le donò all’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, che incaricò l’abbazia di Achel di ripristinarvi un’abbazia.
Nel 1887 alcuni monaci provenienti da Achel ricostituirono la comunità di Rochefort, mantennero lo stemma e il motto dell’abate Fabry, ritenuto particolarmente significativo e simbolico delle travagliate vicende storiche subite. Il nuovo abate, don Anselme Judong eletto nel 1892, promosse i lavori di ricostruzione e di restauro di quel poco che rimaneva degli edifici, con una nuova chiesa, costruita nello stile neo-gotico dell’epoca, inaugurata nel 1902 (e rimpiazzata da quella attuale più vasta, ricostruita in stile neo-romanico e consacrata nel 1993). Tra gli oggetti di devozione di grande valore storico e spirituale salvati dalla furia devastatrice dei rivoluzionari vi venne ospitata la tavola dipinta del Bambin Gesù, tenuta nascosta dagli abitanti del villaggio.
Il 29 dicembre 2010, alle 18:30, un furioso incendio dovuto ad un problema del generatore elettrico provvisorio, installato per supplire all’emergenza dovuta alla mancanza di energia per le abbondanti nevicate, fece molti danni, ma risparmiò la biblioteca e il birrificio.
I monaci di Achel portarono con se tutto il sapere brassicolo e cominciarono a produrre birra anche a St. Remy per il sostentamento del monastero dal 1889, padre Zozime Jansen, che prima di entrare in monastero produceva birra a Oosterhout nei Paesi Bassi, riprese quindi la pratica attestata localmente già nel 1595. La produzione fu pressoché “famigliare” fino al 1952 quando, grazie a grandi investimenti, attraverso l’ aiuto dei confratelli dell’abbazia di Scormount a Chimay (che “prestarono” il lievito selezionato in loco da padre Théodore) e al professor De Clerck (lo stesso che aveva contribuito ad avviare la birreria di Chimay, e inviandovi padre Hubert Morsomme per un periodo di stage, prima di assumere l’incarico di mastro birraio) si cominciò a produrre per la vendita. Oggi il birrificio è l’attività principale della comunità trappista, gli impianti sono stati rinnovati nel 1970 e producono tre tipi di birra, imbottigliati ed etichettati con l’etichetta a caratteri gotici disegnata da padre Paul van Mansfeld, nel 1955:
- la Trappiste Rochefort 10: “capsula blu”, detta “Merveille” a 12%
- la Trappiste Rochefort 8: “capsula verde”, 9,5%
- la Trappiste Rochefort 6 “capsula rossa”, 7,5%, preparata solo occasionalmente.
Si identificano solo con un numero, che indica la “forza” della birra stessa secondo la scala Baumé, tipica del Belgio. Questa scala, oggi non più in vigore e soppiantata dalle normative CEE, rappresenta il rapporto tra la densità della miscela iniziale malto/acqua e quella dell’acqua, che differisce dalla classica gradazione alcolica.
Quello che rende particolare questa bevanda (che si può fregiare del logo ATP dal 2014), oltre alla ricetta ripresa da Achel con il lievito speciale prodotto dai monaci stessi, è l’acqua della sorgente “La Tridaine”, che sgorga presso l’abbazia e fornisce acqua potabile anche alla cittadina di Rochefort, ricca di ferro (e microtracce d’oro).