Paolo III – Farnese


Paolo III – Farnese

Nacque a Canino il 28 febbraio 1468, secondogenito di Pier Luigi e di Giovannella Caetani, della famiglia di Bonifacio VIII.

Nella sua educazione sulle tradizioni militari paterne prevalse la carriera ecclesiastica.

Durante il conflitto tra il papa e Lorenzo il Magnifico viene preso in ostaggio, quindi fugggi e si rifugiò a Firenze nelle grazie di Lorenzo.

Approfondì quindi i suoi studi umanistici. Tenuto in grande considerazione da Lorenzo il Magnifico viene nuovamente inviato a Roma presso la corte di Innocenzo VIII riappacificatosi con il Magnifico.

Riottenne pertanto l’ufficio di scrittore apostolico e, grazie alla sua vasta cultura, intrattenne rapporti con i maggiori umanisti allora presenti a Roma.

Grazie alle amicizie con il cardinale Rodrigo Borgia, poi papa Alessandro VI (11 agosto 1492), ottenne la designazione a tesoriere generale pontificio, la creazione cardinalizia con il titolo diaconale dei Ss. Cosma e Damiano, mutato in quello di S. Eustachio.

Nonostante la prestigiosa dignità, Farnese si dibatté tra difficoltà economiche che inasprirono spesso i suoi rapporti con il papa. Per questo, grazie alla cacciata dei Medici da Firenze, gli fu conferita l’ambita Legazione del Patrimonio, tolta al cardinale Giovanni de’ Medici carica che gli consentì di governare da Viterbo, provincia in cui era situato il patrimonio familiare.

Con i proventi di benefici e uffici e i suoi patrimoniali, cominciò a investire in un’area cittadina dove, dal 1514, diede avvio alla costruzione di un sontuoso palazzo.

È documentato il suo legame stabile, dal 1499 al 1513, con Silvia Ruffini, vedova nel 1501 di Giovanni Battista Crispo, che gli diede quattro figli – Costanza (1500 circa), Pier Luigi (1503), Paolo (1504) e Ranuccio (1509) – assicurando la continuità del casato. Da Giulio II ottenne (1505) la legittimazione dei due primi maschi, confermata ed estesa a Ranuccio da Leone X (1518) insieme con la facoltà di trasmettere loro i propri beni e all’investitura perpetua dei feudi ricaduti per la morte di fratelli e nipoti in suo possesso. Il matrimonio (1519) di Pier Luigi con Gerolama, figlia di Ludovico Orsini, conte di Pitigliano, dal quale nacquero Vittoria (1519), Alessandro (1520), Ottavio (1525), Ranuccio (1530) e Orazio (1532), garantì ulteriormente la trasmissione ereditaria, nonostante la morte dei figli Paolo e Ranuccio.

Segue Giulio II durante le sue imprese contro Bologna ed è suo consigliere rispetto alla partecipazione alla Lega di Cambrai.

Giulio II cercò inutilmente, nel 1507, di privare Farnese, di parte dei feudi laziali, ma fu generoso in benefici ecclesiastici, concedendogli in amministrazione, il 28 marzo 1509, la ricca diocesi di Parma che Farnese mantenne fino all’elezione al papato e dove fece il suo solenne ingresso solo nel dicembre 1515.

La funzione episcopale e il matrimonio della figlia Costanza con Bosio II Sforza di Santa Fiora (1517), titolare di feudi nel Piacentino e nel Parmense, favorirono il futuro insediamento a Parma e Piacenza del figlio Pier Luigi.

Più impegnato appare sotto Leone X, cui fin dal soggiorno fiorentino, per la comune passione per le lettere e la caccia, era molto legato, come appare anche dall’affresco di Raffaello nella Stanza della Segnatura, Gregorio IX approva le decretali, dove il papa ha i tratti di Giulio II e i due cardinali al suo fianco quelli di Giovanni de’ Medici e di Farnese.

Di fronte all’acuirsi della minaccia turca e all’urgenza dell’invio di legati ai principi cristiani per sollecitarne l’intervento, nel concistoro del 14 gennaio 1517, assente Farnese, il papa rinviò ogni decisione, segno del suo peso nel Sacro Collegio. In effetti, fu scelto insieme con altri sette cardinali (1517) per valutare le possibilità di un’alleanza antiturca. Nel 1518, in S. Maria sopra Minerva, lesse la bolla che stabiliva una tregua quinquennale tra repubbliche e principi cristiani perché potessero armarsi contro il turco.

Leone X contribuì ad arricchirlo con i beni di Chiesa: a un numero incalcolabile di abbazie in commenda e di altri benefici, si aggiunsero le diocesi di Benevento (1514-22) e S. Pons de Tomières (1514-34), cui si affiancheranno Anagni (1525), Bitonto (1530-32), Sora (1534), per lo più tenute in amministrazione e con diritto di regresso. Fu grazie alle rendite dei benefici accumulati negli anni che, nel 1514, avviò la costruzione di palazzo Farnese, affidata ad Antonio da Sangallo il Giovane e più tardi a Michelangelo, nella quale profuse ingentissime somme.

Nel conclave successivo, 1521, Farnese, in lizza con il cardinale Giulio de’ Medici, più di una volta sembrò vicino alla tiara, ma non servì a farlo eleggere neppure l’appoggio del Medici e gli fu preferito il severo Adriano Florensz di Utrecht.

Nel lungo, difficile conclave apertosi dopo la morte di Adriano VI il 1° ottobre 1523, Farnese si confrontò di nuovo con Giulio de’ Medici. Si presentava come un candidato di mediazione tra francesi e imperiali, ma venne eletto Clemente VII Medici che si avvalse subito di Farnese.

A seguito della Lega di Cognac, i filoimperiali Colonna devastarono il Vaticano e Borgo. Rifugiatosi in Castel Sant’Angelo con alcuni cardinali, tra cui Farnese, il papa lo incaricò di reperire denari per mettere in campo un esercito. Di fronte agli esiti fallimentari di quest’impresa, Farnese a gennaio consigliò invano al papa di lasciare Roma. Farnese ottenne un salvacondotto e raggiunse Parma in ottobre. Riuscito a fuggire da Castel Sant’Angelo, Clemente VII richiamò d’urgenza Farnese, il quale, giunto a Viterbo in aprile, fu inviato legato a Roma.

Nel 24 luglio 1529 andò a incontrare Carlo V a Genova, giungendovi il 23 agosto. Da quel momento per alcuni mesi l’imperatore poté intrattenere intensi rapporti con Farnese e, grazie alla comune formazione umanistica, maturare quella stima nei suoi confronti che lo indurrà, in vista del conclave del 1534, a indicarlo come ottimo candidato. Il 6 novembre Carlo V, atteso da Clemente VII, entrò solennemente a Bologna, dove in S. Petronio venne proclamata la pace universale il 1° gennaio 1530.

Colpito poco dopo da una grave malattia, Clemente VII morì il 25 settembre 1534.

L’11 ottobre si aprì il conclave nel quale Farnese, decano del sacro collegio, designato più volte da Clemente VII a succedergli, era il favorito: aveva dalla sua anzitutto l’età avanzata (sessantasei anni) e la malferma salute, sicura garanzia di un pontificato breve; l’assenza di candidati forti imperiali e francesi; la sua neutralità e l’auspicio di un pontificato che potesse mediare tra gli Asburgo e i Valois. Eletto già il 13 ottobre, prese il nome di Paolo III.

La sua elezione fu salutata dal giubilo dei romani perché tornava sul trono di Pietro un romano dopo oltre un secolo. Paolo III promosse il rinnovamento urbanistico e architettonico della città cambiarono il volto dell’Urbe, restituendole splendore dopo le devastazioni del sacco. Nel contempo, illustri artisti richiamati a Roma dal suo mecenatismo eseguivano splendidi ritratti dei Farnese.

Paolo III volle costantemente rafforzare il potere centrale papale.

L’elezione di Paolo III fu approvata anche da letterati come  Erasmo, e personaggi, cattolici e protestanti, favorevoli per propensioni culturali, religiose e dottrinali a un dialogo. Il pontificato di Paolo III presentò non pochi elementi di rottura e di innovazione, ma la scelta iniziale di presentarsi come pater communis per stabilire una pace duratura tra Asburgo e Valois, affrontare la minaccia turca, sconfiggere i protestanti, riassorbire lo scisma anglicano, convocare il concilio e attuare una profonda riforma della Chiesa, nell’ultima fase del pontificato fu fortemente alterata dall’ansia di esaltare il proprio casato.

Nella prima creazione cardinalizia, nominò cardinali il quattordicenne nipote Alessandro e il sedicenne Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, figlio di Costanza, ma a partire dalla seconda (1° maggio 1535) cooptò nel Sacro Collegio uomini di grande statura morale e vasta dottrina convinti fautori di una radicale rigenerazione delle strutture ecclesiastiche e di una riconciliazione con i protestanti, di cui condividevano alcuni fondamentali presupposti dottrinali.

Deciso a depotenziare le istanze riformatrici imperiali volte a contenere il potere papale, e per definire le linee di fondo dei dibattiti conciliari, Paolo III nominò una commissione composta da decisi riformatori che gli presentò il 9 marzo 1537 un documento incentrato sul rilancio della cura d’anime e sulla condanna degli abusi e la restaurazione della disciplina, ma il severo progetto di riforma incontrò forti resistenze negli ambienti curiali conservatori.

Il dialogo più volte avviato tra delegati cattolici e protestanti fallì definitivamente alla dieta di Ratisbona nel 1541 dove le concessioni ai protestanti valsero al legato Contarini le accuse di eresia dell’ala intransigente del Sacro Collegio. La via del concilio era ormai inevitabile. Dopo lunghe trattative sulla sede si arrivò a indirne l’apertura per il 1° novembre 1542 a Trento.

L’esigua presenza di vescovi ne causarono la sospensione il 6 luglio 1543 e l’apertura ufficiale solo il 13 dicembre 1545, dopo la conclusione della pace di Crépy tra Carlo V e Francesco I che sarà nuovamente sospeso nel novembre 1549.

La creazione, il 2 luglio 1542 con la “Licet ab initio”, della congregazione dell’Inquisizione fu un compromesso che nella sua mente doveva essere temporaneo. Così non fu, ma durante il suo pontificato mantenne un saldo controllo sul S. Uffizio, impedendo l’apertura di procedimenti formali a carico di prelati e porporati dall’inquieta spiritualità, nutrita di elementi luterani, erasmiani.

Una certa affinità sul terreno religioso e culturale sembra emergere da alcuni atti di Paolo III: dalla scelta di precettori dal sentire eterodosso per il nipote e futuro cardinale Ranuccio; dall’approvazione nel 1540 della Compagnia di Gesù, dagli esordi segnati da processi inquisitoriali per i contenuti ambigui della spiritualità dei discepoli di Ignazio; all’approvazione delle implicazioni eterodosse degli affreschi di Michelangelo nella cappella Sistina e nella cappella Paolina.

Gli ultimi mesi della vita di Paolo III furono angustiati da lutti e liti familiari scatenati dalla sua politica dinastica.

Parma e Piacenza vennero date in feudo al figlio (26 agosto 1545), non senza l’opposizione del Sacro Collegio. Il tacito e ambiguo consenso di Carlo V alla presenza ai confini con il Milanese dei Farnese fu di breve durata. Con il suo assenso, nel settembre 1547, Pier Luigi fu assassinato da una congiura di nobili piacentini e Piacenza occupata dall’esercito al comando di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano.

La chiara predilezione per Ranuccio da parte del nonno, che considerava Alessandro un «da niente» privo di cervello lo indussero a vedere nel fratello un rivale nell’ascesa al papato, cui ambiva, e a minacciare il nonno di «scardinalarsi» e fare valere la sua primogenitura nella successione nei feudi farnesiani.

Il 10 novembre 1549 morì.

 

Mai pienamente convinto dell’opportunità politica di sanare la scissione confessionale, cercò di destreggiarsi tra Francia e impero per giungere infine alla convocazione del concilio, che avrebbe avviato, sia pure tra enormi difficoltà e battute d’arresto, l’auspicato rinnovamento della Chiesa.

 

Fu sepolto nella basilica di S. Pietro, dove verrà eretto un monumento funebre, opera di Guglielmo Della Porta, sul quale, essendo stata identificata la Giustizia con la sorella Giulia, indusse Clemente VIII a imporre ai Farnese di ricoprire con una tunica di metallo la provocatoria e sensuale nudità della statua.

 

Lo stemma papale, in linea con la sua politica familiaristica, riprende in toto lo stemma della famiglia Farnese: “D’oro, a sei gigli d’azzurro posti tre in capo, due al centro ed uno in punta” figurazione tipicamente usata dai rami principali.

 

 

Nota di Bruno Fracasso

liberamente tratta dal Dizionario enciclopedico Treccani.

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

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Profilo araldico


“D’oro, a sei gigli d’azzurro posti tre in capo, due al centro ed uno in punta”

Oggetti dello stemma:
giglio
Attributi araldici:
al centro, in capo, in punta, posto 3-2-1

LEGENDA

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