Diocesi di Noto


Diocesi di Noto

Lo stemma della Diocesi di Noto (Dioecesis Netensis) si può blasonare: “interzato in pergola: nel primo d’azzurro al pellicano con la sua pietà d’oro sanguinoso; il secondo d’argento alla scala d’azzurro di tre gradini posta in banda accompagnata nel cantone destro del capo da una stella di sei punte dello stesso e in punta da una marina ondosa al naturale; nel terzo di rosso al destrocherio vestito al naturale movente dal margine e tenente una lancia d’oro sostenente un bilico con stendardo crociato d’argento di rosso sfrangiato e svolazzante”.

Il pellicano è una nota figura cristologica rappresentato nell’atto di beccarsi il petto per nutrire i piccoli. Simbolo del sacrificio cristiano per il prossimo perché si credeva che in caso di mancanza di cibo nutrisse i figli colla propria carne. In realtà, l’uccello porta il cibo nella sacca membranosa del becco e per farlo uscire lo preme contro il petto, da cui la leggenda. Di solito è sanguinoso e con la sua pietà, vale a dire nel suo nido.

I teologi medievali lo identificarono col Cristo che sulla croce versa il suo sangue per l’umanità, come riportato anche da Dante Alighieri che la utilizza nel definire l’Apostolo Giovanni come “colui che giacque sopra ‘l petto del nostro pellicano (Cristo), e questi fue di su la croce al grande officio eletto”. La figura era spesso raffigurata sopra della Croce della Passione e la sua simbologia assunse presto connotazioni eucaristiche, come testimoniato dall’inno eucaristico “Adoro te devote”, attribuito a San Tommaso d’Aquino: “Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine, cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere” evocazione della fractio panis, il pane di Cristo “cuore della storia”, spezzato per i suoi fedeli.

La stella azzurra è invece il simbolo di Maria Immacolata e rappresentata sormontante una scala richiama la patrona della Diocesi di Noto, Maria Santissima, invocata col titolo di “Scala del Paradiso”. I pioli in numero di tre sono in relazione al simbolismo trinitario e simbolizzano le Virtù Teologali con le quali soltanto si ascende verso Dio: Fede, Speranza e Carità. È simbolo di speranza per i cristiani che sono stati predestinati a stare in Paradiso al cospetto di Dio come “santi” e “immacolati”.

Il mare richiama quello della terra siciliana, dove si trova la sede episcopale di Noto.

Il braccio destro (tecnicamente e letteralmente “destrocherio”) che tiene il vessillo della Resurrezione è un richiamo all’arme della famiglia Confalonieri: l’eremita e pellegrino di origine piacentina san Corrado Confalonieri (nato a Calendasco nel 1290 e morto a Noto il 19 febbraio 1351) che è il compatrono della Diocesi.

Con la Lettera Apostolica “Scandere caelum” (trad. “salire al Cielo”) di papa Paolo VI del 27 novembre 1963 sono stati proclamati: la Beata Maria Vergine, invocata con il titolo di “Scala del Paradiso”, e San Corrado Confalonieri patroni principali della Diocesi. A quest’epoca può esser fatto risalire lo stemma diocesano.

La Diocesi di Noto è stata eretta da Papa Gregorio XVI, concretizzando una decisione del predecessore Pio VII, con la bolla “Gravissimum sane munus” il 15 maggio 1844, promuovendo la Chiesa Madre di San Nicolò della città a cattedrale. Il proposito era quello di accrescere in Sicilia il numero delle Diocesi per rendere più agevole il servizio pastorale dei vescovi.

Ma l’auspicio di un vescovado a Noto risale al sec. XII, quando Isimbardo Morengia, nominato signore di Noto da Federico II di Svevia, fondò il 20 agosto 1212 il monastero cistercense di Santa Maria dell’Arco, chiedendone poi la trasformazione in sede vescovile. L’imperatore fece eco ai desideri di Morengia, ma la guerra con gli Angioini resero irrealizzabile il progetto. Insignita del titolo di Città da re Alfonso “il Magnanimo” il 27 dicembre 1432, Noto richiese la bolla di erezione a sede della Diocesi il 14 giugno 1433 a papa Eugenio IV e ancora il 22 gennaio 1450 a papa Niccolò V. Il nobile Rinaldo Sortino ottenne lettere regie in favore del nuovo vescovado nel 1451 e nel 1453, ma il vescovo di Siracusa, Paulo San­tapan, si oppose e fece annullare perché il parroco di Noto, che a tutti gli effetti era il canonico Cantore del duomo di Siracusa, avrebbe tolto alla sua Diocesi la prebenda assegnatagli a suo tempo dal vescovo Tommaso Erbes nel Sinodo diocesano siracusano del 1388.

Altre iniziative furono promosse nel XVI, nel XVII e nel XVIII secolo. Le argomentazioni addotte a favore della nuova sede vescovile erano diverse, tra queste la presenza di due prestigiosi centri di spiritualità: l’abbazia benedettina di Santa Lucia del Mendola e quella cistercense di Santa Maria dell’Arco, allora rilevanti; e l’essere la città di Noto capovalle al pari delle altre due esistenti in Sicilia, Messina e Mazara, già sedi vescovili. “Il nostro Regno sotto nome di Valle si divide in tre separate provincie, con questo ordine appunto ha stabilito, le Sedi Vescovili della Val Demone e Val di Mazzara nelle rispettive loro città capitali, quali sono Messina e Mazzara; così dunque del pari converrebbe al buon ordine e ragione sembra richiedere che la terza Valle ancora una terza Sede Vescovile nella sua città ca­pitale, si rinvenga, quale essendo, appunto la città di Noto per costituzione dei Principi Normanni” (cfr. perorazione del 1783).

L’ostacolo alla realizzazione di tale desiderio venne sempre dall’opposizione dei vescovi di Siracusa, a cui la diocesi di Noto avrebbe tolto il territorio. Solo a metà del 1800, in seguito ai tumulti che si verificarono a Siracusa durante l’epidemia di colera, Ferdinando II Borbone re delle Due Sicilie chiese il trasferimento della sede della Provincia a Noto chiedendo alla Santa Sede di fondare la diocesi di Noto, approfittando anche del fatto che la sede vescovile di Siracusa era vacante per la morte di Monsignor Giuseppe Amorelli avvenuta il 13 dicembre del 1840.

Alla nuova diocesi, oltre a Noto furono assegnati, sottraendoli a Siracusa, i comuni di Avola, Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Giarratana, Modica, Pachino, Palazzolo Acreide, Pozzallo, Portopalo, Rosolini, Scicli e Spaccaforno (ora Ispica).

Il 24 novembre 1844 prese possesso della cattedra il primo vescovo di Noto: Monsignor Giuseppe Menditto. La Bolla di erezione e i Decreti papali di investitura furono letti dal vescovo di Trapani Vincenzo Marolda, delegato dalla Santa Sede.

Il vescovo Giovanni Blandini (1875-1913) – antesignano di democrazia e di rinnovamento cattolico in Italia – è definito “perla dell’episcopato siciliano” da Leone XIII, che lo decora del pallio arcivescovile ad personam il 25 giugno 1900.

Nel 1955, quando Papa Pio XII istituì la Diocesi di Ragusa con la bolla “Quam quam est” il comune di Giarratana passò alla nuova diocesi, mentre i piccoli comuni montani di Palazzolo Acreide, Buccheri, Buscemi, Cassaro e Ferla, ritornarono alla Diocesi di Siracusa della quale Noto è oggi suffraganea.

L’attuale vescovo della diocesi di Noto è Monsignor Salvatore Rumeo.

© 2022. Nota di Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi

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Disegnato da: Massimo Ghirardi

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“Interzato in pergola: nel primo d’azzurro al pellicano con la sua pietà d’oro sanguinoso; il secondo d’argento alla scala d’azzurro di tre gradini posta in banda accompagnata nel cantone destro del capo da una stella di sei punte dello stesso e in punta da una marina ondosa al naturale; nel terzo di rosso al destrocherio vestito al naturale movente dal margine e tenente una lancia d’oro sostenente un bilico con stendardo crociato d’argento di rosso sfrangiato e svolazzante”.

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