Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia


Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia

Lo stemma della Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia (Dioecesis Maceratensis-Tolentina-Recinetensis-Cingulana-Treiensis) si blasona:

D’azzurro, alla spada d’argento posta in sbarra, accostata dal trigramma IHS, la lettera H attraversata da una croce patente pieficcata in palo, sormontante i tre chiodi della passione di Cristo posti in banda, in palo e in sbarra il tutto d’oro nel canton destro del capo e dalla stella (8) d’argento nel cantone sinistro della punta”.

 

Il monogramma IHS detto anche “Trigramma”, popolarmente ritenuto l’acronimo della frase latina “Jesus Hominum Salvator”, deriva in verità della più antica forma di simbolismo del nome di Gesù, attraverso l’abbreviazione con le prime due lettere del suo nome greco: YH (o anche IH, le lettere “jota” ed “eta”), alle quali ben preso venne aggiunta anche l’ultima lettera: Σ (“sigma”) divenendo IHΣ e molto popolare tra i cristiani dei primi secoli. Dal IV secolo si preferì la forma latina IHS. Nel Medioevo veniva tracciata su tavole e stendardi e portata in processione, secondo una tradizione che si vuole iniziata dal riformatore francescano Ubertino da Casale e promossa dal confratello san Bernardino da Siena il quale, per diffondere la devozione al nome di Gesù, incentivò l’idea di far rappresentare le lettere IHS inserite in un disco solare raggiante di 12 raggi su tavolette di legno; uso che però gli inquisitori (soprattutto i Domenicani) denunciarono come idolatrico, perciò, nel 1427, papa Martino V fece inserire una croce in mezzo alla lettera H, per evitare ogni possibile sospetto di idolatria verso la sigla.

Secondo san Bernardino era una rappresentazione anche della Trinità: I (o J, o Y) rappresenta il Figlio, l’H (consonante aspirata) sarebbe il “soffio” dello Spirito Santo, mentre la S simboleggia il Padre Celeste che si china verso di noi. Per questo motivo il simbolo è noto anche come “Compendio Bernardiniano”.

Sant’Ignazio di Loyola volle questo simbolo nel sigillo della Compagnia di Gesù (Societas Jesu, S.J.) unitamente ai tre chiodi della crocefissione (lo si vede nello stemma di papa Francesco Bergoglio), in questo contesto vuole ricordare il celebre gesuita maceratese San Matteo Ricci, missionario in Cina e celebre scienziato del suo tempo.

 

La spada, emblema principale, è l’attributo iconografico di San Giuliano, patrono di Macerata, che smise di servire come cavaliere per dedicarsi all’ospitalità dei poveri; è rivolta verso il basso perché simbolicamente non è la spada impugnata per attaccare, ma è la spada deposta; è una spada a due tagli, come la Parola di Dio (come affermato nella Lettera agli Ebrei 4,12) e, quindi, un simbolo di San Paolo.

 

La stella a 8 punte simboleggia Cristo, sole di giustizia e salvatore; è la stella che guida il marinaio come Cristo che è la nostra guida e speranza.

Il motto “Sub tuum praesidium” (Sotto la tua protezione) si riferisce a Maria, Mater Misericordiae patrona della diocesi della “Città Mariana” di Macerata, unitamente al colore azzurro del campo come il manto della Vergine.

 

Interessante il dettaglio del riccio del pastorale, all’interno del quale sono rappresentate quattro foglioline: due di alloro, laurus, da cui lauretum (bosco di allori), “… perché Loreto è sempre stato nel cuore della nostra diocesi, e il nostro territorio si svolge tutto lungo il percorso della Via Lauretana”, e due di olivo, “… perché è il simbolo dell’olio da cui vengono tutti i sacramenti della fede, ma è anche il simbolo della pace» (dall’interpretazione dello stemma fatta dal vescovo Nazzareno Marconi).

 

L’attuale Diocesi comprende 13 Comuni della provincia di Macerata, oltre il capoluogo: Appignano, Cingoli, Colmurano, Montecassiano, Montefano, Montelupone, Pollenza, Porto Recanati, Recanati, Tolentino, Treia e Urbisaglia.

 

L’attuale diocesi è frutto dell’unione di cinque sedi episcopali, ognuna con una propria storia: a Tolentino, Recanati, Cingoli e Treia si trovano le ex cattedrali (oggi concattedrali), dedicate rispettivamente a San Catervo, San Flaviano, Santa Maria Assunta e alla Santissima Annunziata.

 

È ancora oggi dibattuta l’origine della diocesi di Recanati. Secondo alcuni autori (Cappelletti e Compagnoni) Claudio, episcopus provinciae piceni, sarebbe stato vescovo di Recina o Rechina, antico nome di Recanati prima della sua distruzione ad opera di Alarico all’inizio del V secolo. Non esistono, tuttavia, motivi per attribuire Claudio ad una determinata sede del Piceno.

La diocesi di Recanati fu eretta il 22 maggio 1240 con la bolla Rectae considerationis di papa Gregorio IX, ricavandone il territorio dalla diocesi di Numana. L’erezione di Recanati era motivata dal fatto che Osimo aveva aderito al partito ghibellino dell’imperatore Federico Barbarossa e ciò aveva indotto il papa a privare dell’onore episcopale la città e di trasferirne i privilegi alla fedele Recanati.

Tuttavia, nel 1263, la città aveva aderito al partito del re di Sicilia Manfredi in lotta col papato. Questo spinse papa Urbano IV a sopprimere la diocesi con la bolla Cives Recanatenses del 27 luglio 1263, annettendone il territorio a quello di Numana. L’anno successivo, il 13 marzo, lo stesso pontefice, con la bolla Recti statera iudicii ripristinò la sede vescovile di Osimo e ribadì la soppressione della diocesi di Recanati. Quando i recanatesi ritornarono all’obbedienza papale, fu loro restituita la diocesi, con la bolla Apostolicae Sedis di papa Niccolò IV del 1º dicembre 1289. L’anno successivo, il pontefice dovette intervenire per regolare alcune questioni di confine tra le diocesi di Recanati e di Numana.

 

Nella notte fra il 9 e il 10 dicembre 1294, durante l’episcopato di Salvo, avvenne come riporta la tradizione, la traslazione della Santa Casa di Nazareth a Loreto, che allora faceva parte del territorio della diocesi di Recanati.

 

Nel frattempo la città e le sue autorità amministrative avevano aderito stabilmente al partito dei ghibellini trovando un valido oppositore nel vescovo Federico che parteggiava per i guelfi. Papa Giovanni XXII intervenne nel 1320, dapprima scomunicando i responsabili delle violenze contro il vescovo e sottoponendo la città a interdetto ecclesiastico (1º ottobre) e poi, il 18 novembre, con la bolla Sicut ex debito, soppresse nuovamente la diocesi di Recanati ed eresse al suo posto quella di Macerata, il cui primo vescovo fu lo stesso Federico, trasferito da Recanati.

 

La vittoria del partito guelfo su quello ghibellino appianò le discordie e permise nuovamente l’erezione della diocesi di Recanati con bolla di papa Innocenzo VI dell’8 gennaio 1356; in questa occasione, però, il pontefice decise di unire aeque principaliter la sede recanatese con quella maceratese.

Al vescovo, e poi cardinale, Angelo Cino si deve la ricostruzione della cattedrale.

 

Nel 1507 papa Giulio II sottrasse il santuario di Loreto alla giurisdizione del vescovo di Recanati e lo diede in amministrazione a un governatore pontificio.

 

Il 7 gennaio 1516, le diocesi di Recanati e di Macerata furono nuovamente divise, anche se per un certo periodo furono amministrate congiuntamente dal cardinale Giovanni Domenico de Cupis. La divisione delle due sedi durò fino al 1571 quando l’unione fu ripristinata.

Il 17 marzo 1586 la diocesi di Recanati fu soppressa e contestualmente fu eretta la diocesi di Loreto, che ne incorporò il territorio. Nello stesso anno 1586 i territori di Castelfidardo e di Montecassiano, appartenenti in precedenza ad Osimo, furono ceduti alla diocesi di Recanati/Loreto.

Su istanza degli abitanti di Recanati, papa Innocenzo IX decretò con una bolla del 19 dicembre 1591 il ristabilimento della diocesi di Recanati, ma morì il 29 dicembre senza poter dare attuazione alla sua decisione. Così spettò a papa Clemente VIII con una nuova bolla del 9 febbraio 1592 confermare l’erezione della diocesi e stabilirne l’unione aeque principaliter con quella di Loreto.

L’unione durò fino al 15 settembre 1934, quando, con la bolla Lauretanae Basilicae di papa Pio XI, fu soppressa la diocesi di Loreto e il suo territorio incorporato in quello di Recanati, a eccezione della basilica lauretana che, in base agli accordi presi con il governo italiano nel 1929, fu data in amministrazione diretta alla Santa Sede; a ricordo dell’antica diocesi, ai vescovi di Recanati fu concesso il titolo di Recanati-Loreto. Inoltre la bolla concesse al vescovo Aluigi Cossio l’utilizzo del pallio, già in uso in precedenza ai vescovi di Loreto, nel territorio della propria diocesi.

 

L’11 ottobre 1935 il territorio dell’intero comune civile di Loreto fu sottomesso all’autorità religiosa dell’Amministratore Pontificio e sul medesimo territorio venne di conseguenza sospesa la giurisdizione del vescovo di Recanati-Loreto. Il 24 giugno 1965 Recanati cedette formalmente le parrocchie della città di Loreto alla neo eretta prelatura territoriale di Loreto e contestualmente assunse il nome di diocesi di Recanati.

Nel 1984 Castelfidardo fu ceduta nuovamente alla diocesi di Osimo, incorporando in cambio il comune di Montefano.

 

La diocesi di Macerata, con territorio ricavato dalle diocesi di Fermo e di Camerino, è stata eretta il 18 novembre 1320 con la bolla Sicut ex debito di papa Giovanni XXII a spese della ghibellina Recanati, di cui incorporò il territorio. Quando Recanati riottenne la sede episcopale nel 1356, le due diocesi furono unite aeque principaliter. Ad eccezione del periodo 1516-1571, l’unione perdurò fino a marzo 1586.

La diocesi in origine era immediatamente soggetta alla Santa Sede e si estendeva fino al mare comprendendo, con Recanati, anche il territorio di Loreto.

Il 17 marzo 1586 cedette una larga porzione di territorio per l’erezione della diocesi di Loreto, comprensiva della regione di Recanati. Questo ridusse di molto il territorio maceratese che fu ingrandito da papa Sisto V nel 1588 con i comuni di Pollenza e di Urbisaglia sottratti alla giurisdizione del vescovo di Camerino.

Il 10 dicembre 1586 fu eretta la diocesi di Tolentino che fu unita aeque principaliter alla sede di Macerata. Il 24 maggio 1589 le due diocesi divennero suffraganee dell’arcidiocesi di Fermo, contestualmente elevata al rango di sede metropolitana. Per compensare Macerata della perdita dell’immediata soggezione alla sede romana, Sisto V istituì in quello stesso anno nella città il tribunale della Sacra Rota a cui sottopose lo stesso arcivescovo di Fermo.

 

All’inizio dell’Ottocento le due sedi di Macerata e Tolentino furono rette dal passionista Vincenzo Maria Strambi, elevato agli onori degli altari nel 1950 da papa Pio XII, che lo proclamò patrono delle diocesi il 7 settembre 1957, con la lettera apostolica Plurimi floruerunt.

Dopo il concilio Vaticano II ai vescovi di Macerata e Tolentino furono concesse in amministrazione apostolica le diocesi di Cingoli (1964), Treia (1966) e Recanati (1968), ponendo così le basi per l’unione delle cinque sedi marchigiane.

Nel 1984 la diocesi di Macerata acquisì il territorio del comune di Appignano che era appartenuto alla diocesi di Osimo.

 

Tolentino fu un’antica sede episcopale del Piceno, legata alla memoria di san Catervo, patrono della città e della diocesi. Secondo un’antica iscrizione Flavius Iulius Catervius ricevette il battesimo dal vescovo Probiano di Tolentino, vissuto all’incirca nella seconda metà del IV secolo. 

Con l’invasione dei Longobardi, la diocesi scomparve e il suo territorio venne assorbito da quella di Camerino.

La diocesi fu ristabilita da papa Sisto V il 10 dicembre 1586 con la bolla Super universas, ricavandone il territorio dalla diocesi di Camerino, e unita aeque principaliter alla diocesi di Macerata. La diocesi era molto piccola e comprendeva solo 5 parrocchie, di cui 2 nella città di Tolentino; primitiva cattedrale era la chiesa matrice di Santa Maria, ma già nel 1653 fu trasferita nella chiesa di San Francesco, fino al trasferimento definitivo nell’attuale sede nel 1817.

 

Primo vescovo delle diocesi unite di Macerata e Tolentino fu Galeazzo Moroni, già vescovo di Macerata, che morì il 1º settembre 1613

 

Cingoli, città romana, è stata un’antica sede vescovile, legata alla memoria del santo vescovo Esuperanzio, patrono della città; di questa diocesi la tradizione tramanda i nomi di alcuni vescovi, fino alla seconda metà del VI secolo, epoca in cui, in seguito all’invasione dei Longobardi, la diocesi scomparve e il suo territorio venne assorbito da quella di Osimo. L’unico vescovo storicamente documentato di questo periodo è Giuliano, che accompagnò papa Vigilio a Costantinopoli nel periodo compreso tra il 548 e il 553. 

Il 19 agosto 1725 con la bolla Romana Ecclesia di papa Benedetto XIII la diocesi fu ristabilita e unita aeque principaliter alla diocesi di Osimo da cui era stata scorporata. Tuttavia, nel corso del Settecento e dell’Ottocento nessuno dei vescovi risedette stabilmente o per un periodo prolungato a Cingoli, a causa della povertà della mensa episcopale.

Alla morte del vescovo Domenico Brizi nel 1964, le due diocesi rimasero vacanti e di fatto furono separate: mentre la sede di Osimo nel 1972 fu unita in persona episcopi con l’arcidiocesi di Ancona e Numana, la sede di Cingoli fu data in amministrazione apostolica a vescovi di altre diocesi marchigiane (Cassullo 1964-1968, Sabattani 1968- 69, Tonini 1969-1975, Cecchi 1975-76) fino al 1976.

Nel 1984 la diocesi acquisì cinque parrocchie in territorio cingolano, che erano appartenute all’arcidiocesi di Camerino.

 

Molto probabile che l’antica città di Treia, che fu municipium romano, sia stata già sede vescovile, come attesta lo storico Colucci, anche se non sono stati tramandati nomi di vescovi, poi scomparsa con le invasioni dei Longobardi. La diocesi di Treia fu eretta l’8 febbraio 1817 con la bolla Pervetustam locorum di papa Pio VII ricavandone il territorio dall’arcidiocesi di Camerino, ai cui arcivescovi fu concessa in amministrazione perpetua. Primo amministratore fu l’arcivescovo Nicola Mattei Baldini.

A causa della distanza da Camerino, il 4 novembre 1913 la diocesi fu concessa in amministrazione ad nutum Sanctae Sedis ai vescovi di San Severino Marche, fino a che l’unione divenne definitiva il 20 febbraio 1920 con la bolla Boni Pastoris di papa Benedetto XV. I vescovi di San Severino mantennero l’amministrazione perpetua di Treia fino al 1966, anno in cui anche la sede di San Severino restò vacante; da allora la diocesi di Treia fu affidata in amministrazione per dieci anni ai vescovi delle diocesi limitrofe.

 

L’11 febbraio 1976 Francesco Tarcisio Carboni fu nominato vescovo di tutte e cinque le sedi marchigiane che furono così unite in persona episcopi; con questa nomina ebbero formalmente termine le unioni di Treia con San Severino Marche e di Cingoli con Osimo.

Il 25 gennaio 1985, con il decreto Quo aptius della Congregazione per i Vescovi, Macerata, Tolentino, Recanati, Cingoli e Treia furono unite aeque principaliter.

Il 30 settembre 1986, con il decreto Instantibus votis della medesima Congregazione per i Vescovi, è stata stabilita la plena unione delle cinque diocesi e la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale. Contestualmente, la diocesi è divenuta suffraganea dell’arcidiocesi di Fermo.

 

 

Nota di Mario Carassai, Bruno Fracasso e Massimo Ghirardi

Si ringrazia Giuseppe Quattrociocchi per la gentile collaborazione

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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“D’azzurro, alla spada d’argento posta in sbarra, accostata dal trigramma IHS, la lettera H attraversata da una croce patente pieficcata in palo, sormontante i tre chiodi della passione di Cristo posti in banda, in palo e in sbarra il tutto d’oro nel canton destro del capo e dalla stella (8) d’argento nel cantone sinistro della punta”.

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