Adriano VI – Florentzoom


Adriano VI – Florentzoom

Adriano Florisz d’Edel (figlio di Fiorenzo) nacque ad Utrecht il 2 marzo 1459 da Fiorenzo Boeyens, falegname specializzato in costruzioni navali. Mortogli assai presto il padre, fu dalla madre, Geltrude, inviato presso i Fratelli della Vita comune, che gli ispirarono quel sentimento religioso e quella severa concezione della vita, rimasti anche in seguito costanti fondamentali del suo agire.

 

Entrò all’università di Lovanio nel 1476, ove studiò filosofia, teologia e diritto canonico. Nel 1491 ottenne una cattedra di filosofia nella stessa università. Le sue lezioni universitarie erano seguite anche da Erasmo da Rotterdam.

 

Questo periodo di successo accademico coincise con un’intensa produzione di commento ed esegesi di teologia morale dove dimostra dottrina e notevole abilità dialettica, ma scarsa profondità di pensiero.

 

Il futuro papa si battè contro l’infallibilità papale, ma soprattutto per una vita pura per il clero e contro la dilagante simonia.

 

Intorno al 1507, l’imperatore Massimiliano gli affidò l’educazione di suo nipote, il futuro Carlo V; e nel 1515 la principessa Margherita, che già gli aveva mostrato il suo favore, lo chiamò a far parte del suo consiglio. Una svolta decisiva nella sua vita fu l’incarico politico e diplomatico che il Chièvres gli affidò nell’autunno del 1515: il difficile compito di assicurare a Carlo, suo allievo, l’eredità al trono e di assumere, in caso di necessità, personalmente la responsabilità del governo. Trovò un insperato protettore e alleato nel cardinale F. Ximenes, cui l’univa la comune aspirazione di riforma nell’ambito della Chiesa e insieme ressero lo stato dopo la morte di Ferdinando il Cattolico.

 

Nel 1516 fu eletto vescovo di Tortosa e, nel novembre dello stesso anno, inquisitore di Aragona e Navarra. Carlo V riuscì ad ottenere da Leone X, nel luglio 1517, l’elevazione alla porpora. A., però, restava sempre distaccato per abito e capacità dalla vera e propria azione politica. Era ancora luogotenente in Spagna, quando in Roma, il 1° dicembre 1521, morì il pontefice Leone X.

 

Il conclave, iniziatosi il 27 dicembre 1521, in un momento di grave tensione politica e di difficoltà finanziarie per lo Stato pontificio, era diviso e incerto: ai cardinali “imperiali”, guidati da Giulio de’ Medici, che costituivano un terzo dei voti, si contrapponevano quelli filofrancesi e veneziani e i cardinali anziani, molti dei quali aspiravano al pontificato, ostili tutti al giovane e ambizioso Medici. Questi appoggiò la candidatura di Farnese fino al decimo scrutinio. Constatata l’impossibilità di una tale elezione, lo stesso Medici, all’undecimo scrutinio, propose il nome di Adriano, assente, che ottenne quindici voti.

 

Determinante per l’elezione fu l’adesione del cardinale Caetano, quindi il Colonna e gli altri.

 

L’elezione al pontificato di A. provocò diverse reazioni: ostilità da parte dei Romani, perché era stato eletto uno straniero, un barbaro; timori fra gli stessi cardinali, in parte antimperiali, per l’elezione di una creatura di Carlo V e per le possibili conseguenze del loro gesto; preoccupazioni negli ambienti di Curia per la fama di austerità del nuovo pontefice; aperta esultanza da parte imperiale; malcelata ostilità dei francesi, che contavano su un protrarsi dell’interregno.

 

I continui differimenti della partenza di Adriano VI per l’Italia, dovuti all’instabilità della situazione politica, il ritardo dei legati da Roma per la pubblica accettazione della elezione da parte del pontefice, il rifiuto dell’invio dell’anulus piscatoris per timore che fissasse definitivamente la sua residenza in Spagna, furono tutti sintomi della difficile situazione.

 

Alle pressioni e richieste da parte imperiale per la partecipazione alla lega antifrancese, il papa rispose con fermezza, rivendicando l’indipendenza della sua altissima funzione.

 

Imbarcatosi infine nel luglio del 1522, evitando accortamente un incontro personale con Carlo V, sbarcò a Civitavecchia il 25 agosto.

 

Il 31, fra l’esultanza di buona parte della popolazione, stanca dell’interregno, venne finalmente incoronato in San Pietro.

 

Lo attendeva il riordinamento dello Stato della Chiesa con la grave questione delle terre pontificie occupate dagli Estensi, Baglioni, Della Rovere e Malatesta; la lotta contro la riforma luterana che si espandeva rapidamente in Germania con l’appoggio dei principi; il tentativo di giungere alla pace tra Francesco I e Carlo V e di unire le forze cristiane contro il pericolo turco, che premeva minaccioso nei Balcani e nel Mediterraneo.

 

Adriano Vi si mostrò deciso ad affrontare prima di tutto i problemi della Curia e della riforma del clero.

 

Mirava a due punti: una limitazione delle spese di corte e l’opportunità di entrate fisse per gli impiegati di Rota; da altri cardinali si spingeva per ridurre gli abusi delle indulgenze.

 

Adriano VI modificò le regole della Cancelleria e ridusse i vari privilegi cardinalizi. S mostrò severo per l’amministrazione della giustizia e per la condotta dei cardinali e iniziò la riforma della Rota, comminando la perdita dell’ufficio agli uditori indegni e venali.

 

Una riduzione e riorganizzazione della Curia venne effettivamente iniziata e condotta una forte riduzione delle spese.

 

Fu più cauto, invece, nello spinoso problema delle indulgenze.

 

Il rigore verso gli eccessi mondani, l’ostilità verso molti cardinali che mal si adattavano alla nuova atmosfera di austerità e di controllo, l’incertezza che egli mostrava nel decidere le questioni sottopostegli e la lentezza, dovuta forse a imperizia dei suoi collaboratori più vicini suscitarono altre critiche e malcontento.

 

La sua incomprensione dell’arte e della poesia rappresentava per i contemporanei il contrasto più netto col mecenatismo e lo splendore del pontificato mediceo. Rimase isolato nella sua opera o coadiuvato da pochi.

 

Nei riguardi di Lutero, Adriano VI, da cardinale, aveva assunto posizione, aderendo con una lettera del 4 dic. 1519 alla censura dell’università di Lovanio e, in occasione della dieta di Worms, aveva invitato Carlo V a sostenere i diritti della Chiesa. Somma preoccupazione, da pontefice, fu di giungere al componimento della vertenza con gli Stati tedeschi, al soffocamento dell’eresia luterana, ad una grande riforma del clero tedesco. Alla dieta di Norimberga, nel 1522, si appellò alla “sua” nazione tedesca per la repressione dell’eresia, riconoscendo al tempo stesso coraggiosamente gli abusi della corruzione romana, di cui prometteva lenta, ma sicura riforma.

Le speranze di A. andarono completamente deluse: la dieta dichiarò impossibile l’applicazione della sentenza contro Lutero.

 

Allora il papa cercò, senza successo, di legare più profondamente alla Chiesa romana quel settore impersonato da Erasmo che gli chiedeva di riportare la pace nel mondo cristiano. A lui Adriano VI chiedeva un pronunciamento contro Lutero, Erasmo rispose declinando l’invito di impegnarsi nella controversia antiluterana e invocando la pacificazione religiosa.

 

Adriano VI abbandonò allora la linea erasmiana.

 

Il papa, nelle ultime settimane di pontificato, sembrò inclinare di nuovo alle soluzioni dell’evangelismo erasmiano tanto che venne chiesto a Erasmo di definire il progetto avanzato precedentemente per presentarlo al papa.

 

Nel frattempo anche i rapporti con gli svizzeri Zwingli iniziava il suo distacco da Roma e con i paesi scandinavi precipitarono rapidamente.

 

In sostanza, la politica di Adriano VI verso la riforma fu contrassegnata da una serie di insuccessi.

 

Intanto lavorava alla pace nella Cristianità quale preludio alla crociata contro i Turchi, sempre più minacciosi. Egli pensò a pacificare lo Stato della Chiesa per non avere preoccupazioni interne. Ma molto più difficile era trovare una formula di compromesso che permettesse l’inizio di trattative dirette fra Francesco I e Carlo V, la cui alleanza era necessaria per salvare Rodi.

 

La caduta di Rodi (21 dicembre 1522) determinò un’attività intensa per la pacificazione tra i principi cristiani.

 

L’episodio della congiura del cardinale Soderini segnò una svolta nella politica di Adriano. Il Soderini aveva agito accortamente in senso filo-francese. Nel marzo 1523, il Medici, da Firenze, denunziava l’esistenza di una congiura guidata dal Soderini favorevole a Francesco I favorevole a un’invasione francese dalle Alpi. Il ritorno del Medici a Roma (23 apr. 1523), l’arresto e il processo del Soderini mutarono profondamente le direttive e la vita della Curia e spinsero Adriano VI a sentimenti più favorevoli verso Carlo V.

 

Il 29 luglio si concludeva la pace tra Venezia e Carlo V e si stipulava un’alleanza tra Carlo, il fratello Ferdinando, Venezia e Milano. Il cambiamento dei rapporti di forza in Italia, provocò la reazione di Francesco I. L’urto con la Francia e le pressioni del Medici, degli inviati spagnoli e inglesi indussero Adriano VI, timoroso anche di un’invasione francese in Italia, ad abbandonare la neutralità e ad entrare nella lega difensiva antifrancese. Tramontavano così le aspirazioni e i programmi di pace di Adriano.

 

La salute del papa, già cagionevole per il clima di Roma e per l’eccessivo lavoro, peggiorò rapidamente ai primi di agosto; verso la metà del mese parve migliorare, tanto che il papa tornò a dir messa e a dare udienza. Ma, al principio di settembre, gli giunsero le prime notizie sulla guerra in Lombardia, mentre in Vaticano era venuto a rifugiarsi il vinto di Rodi.

 

Il papa s’ammalò di nuovo e il 9 settembre era già grave. Morì il 14 settembre 1523.

 

Lo stemma di papa Adriano VI si blasona “Inquartato: nel primo e nel quarto d’oro, a tre trappole di lupo di verde, disposte 2 e 1; nel secondo e nel terzo d’argento, al leone di nero coronato d’oro”.

Il leone presente nello stemma, già presente in molti stemmi fiamminghi, potrebbe anche riferirsi alla reggenza del trono di Spagna.

 

Nota di Bruno Fracasso

 

Liberamente tratta dall’enciclopedia Treccani

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Profilo araldico


“Inquartato: nel primo e nel quarto d’oro, a tre trappole di lupo di verde, disposte 2 e 1; nel secondo e nel terzo d’argento, al leone di nero coronato d’oro”.

Colori dello scudo:
argento, oro
Partizioni:
inquartato
Oggetti dello stemma:
leone, trappola di lupo
Attributi araldici:
coronato, disposto 2-1

LEGENDA

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